Il teatro degli orrori alla XVII Festa della Musica di Chianciano Terme: l’intervista

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L’album omonimo de Il teatro degli orrori, il quarto, arrivava a tre anni di distanza da Il mondo nuovo per raccontare la decadenza del paese che coinvolge istituzioni e prima ancora persone. Un lavoro diversamente feroce rispetto ai capitoli precedenti, più sottile e allusivo, ma con la stessa intensità artaudiana a fare da tessuto connettivo. Sarebbe sufficiente ascoltare un brano come Slint per comprendere l’evoluzione di un suono, riferimenti espliciti a parte, diventato più narrativo, ma senza dover rinunciare alla forza dirompente che ha sempre caratterizzato la musica di Pierpaolo Capovilla e Soci.
Convinti che il miglior luogo per godersi la musica de “Il teatro” sia il palco, abbiamo fatto alcune domande a Capovilla prima della sua esibizione del 22 luglio con Il teatro degli orrori nella suggestiva cornice del Parco Fucoli per l’edizione 2016 de La Festa della Musica di Chianciano Terme, un evento da non perdere ad ingresso totalmente gratuito e organizzato dal Collettivo Fabrica insieme ad Arci Caccia. Ecco cosa ci ha raccontato

Ciao a tutta la band e benvenuti su Indie-Eye. Inizierei l’intervista chiedendovi qualcosa sul concerto che terrete il 22 luglio alla Festa della Musica di Chianciano Terme: cosa dobbiamo aspettarci dal live? La scaletta verterà più sull’ultimo disco o ci sarà molto spazio anche per i brani precedenti?

PPC: La scaletta del concerto sarà dedicata principalmente al nuovo disco, ma non mancheranno i nostri cavalli di battaglia.

Negli anni il vostro pubblico si è molto ampliato, ricordo per esempio di avervi visto live all’interno del Magnolia nel 2007-2008, mentre ora riempite l’Alcatraz o locali simili. Come vi spiegate questo aumento di interesse negli anni, che non è scontato per chi fa musica non propriamente pop?

PPC:Riempiamo l’Alcatraz? Magari! Credo che la spiegazione stia nella qualità e nella bontà della nostra proposta. Il teatro degli Orrori quando sale sul palco fa sul serio.

Cosa pensate invece di chi partendo dal mondo indipendente guarda molto al pop, come accade a molti cantautori?

PPC: Quali “cantautori”? Non ci sono cantautori in Italia. Non più, e non ancora.
Ci sono alcune rare e lodevoli eccezioni. Meno male.

Come vi ponete davanti alla crisi del mercato discografico e alla crescita dello streaming? Spotify è il male oppure no?

PPC: Per come la vedo io, Spotify e Applemusic andrebbero portati in tribunale, costretti a pagare gli autori, e fatti sparire per sempre. A causa di questa gente, internet non è più un’occasione di libertà, nella quale ad esempio chi non ha soldi trova comunque il modo di ascoltare e vedere ciò che vuole, ma il regno di un manipolo di tycoon che si sono appropriati di ciò che non era e non è loro. Dei ladri, per capirci. Auguro loro ogni virus possibile, e spero che i loro server s’inceppino ogni giorno, ogni ora ed ogni minuto, per sempre. Prego il padreterno di affondare i loro yacht, precipitare i loro jet, distruggere le loro ville e piscine. Amen.

A proposito dell’ultimo album, perché avete scelto di non dargli titolo, o meglio di intitolarlo con il nome della band? Mi sembra una scelta particolare, soprattutto perché è il vostro quarto disco e solitamente il disco omonimo è tra i primi di una band…

PPC: Abbiamo risposto a questa domanda in centinaia di interviste, fin dall’uscita dell’album. Mi sorprende ti sia sfuggita. Te lo dico con un sorriso, … ma sai che palle dover rispondere alla stessa domanda per la centesima volta, con il disco uscito ormai un anno fa… Per altro ne scrivemmo nello stesso comunicato stampa del CD.
Ma va bene. Giusto per cambiare risposta: il disco non ha un titolo perché quando lo abbiamo cercato non l’abbiamo trovato. Tutto qui. E non è una bugia, anzi.

Mi ha molto colpito l’omaggio agli Slint, a cui avete intitolato una canzone. Cos’ha rappresentato per voi quella band? È una passione che condividete tutti?

PPC: Gli Slint sono fra i nostri gruppi preferiti di sempre. Ci hanno insegnato che si può fare rock nel segno della poesia.

Ci sono altre band o solisti a cui intitolereste una canzone?

PPC:Non credo, ma non si sa mai. Forse NO MEANS NO. Mi ha sempre affascinato questo nome, senza parlare della potenza del gruppo. Un vero punto di riferimento. Mi piacerebbe tanto suonare una cover, ma in italiano, del loro pezzo “Dad”. La conosci? Parla di un padre violento, una storia terribile, ma come tante. Credo avrebbe un effetto devastante oggi in Italia.

Il vostro suono è cambiato negli anni, con inserti elettronici e di synth che hanno guadagnato importanza su una base che rimane comunque rock e noise. Cosa vi ha spinto a sperimentare in quella direzione?

PPC: Ci ha spinti la voglia di cambiare, e di non fossilizzarci in un suono già suonato e in un sentiero già percorso.

Le esperienze esterne al gruppo che più o meno tutti avete fatto, come solisti, produttori o musicisti in altri progetti, hanno avuto un ruolo nell’evoluzione musicale de Il Teatro Degli Orrori? O sono invece serviti per fare cose che non c’entravano con la band?

PPC:Come è ovvio e naturale, le esperienze artistiche esterne al gruppo contribuiscono alla crescita culturale, umana e politica di ognuno di noi, e quindi anche della band. Non è che quando non suono con Il teatro degli Orrori mi dimentico di esso e quindi di chi sono, della mia storia, del mio progetto artistico. Il Teatro degli Orrori è parte del nostro vissuto collettivo e individuale da più di dieci anni, impossibile sbarazzarsene e pensare ad altro.

State lavorando a un nuovo disco? O per ora pensate solo ai concerti?

PPC:Per il momento pensiamo ai live. Ma ameremmo registrare qualcosa di nuovo appena possibile.