venerdì, Aprile 19, 2024

Herself – Herself (Deambula Records, 2012)

Vi sono artisti che riescono ad esprimersi al meglio in una dimensione minoritaria, isolata e nascosta, in virtù della quale stabiliscono un contatto profondo ed esclusivo col proprio pubblico d’elezione. Un rapporto intimo e profondo che matura poco per volta e si fa legame, conoscenza profonda; come se quelle note, quelle parole, quei singoli suoni, avessero un solo destinatario, un solo ascoltatore che sei tu, tu e nessun altro. Come per Melodium o i Belle & Sebastian di Tigermilk, ad esempio. Per non dire di Nick Drake che in più di un occasione sembra affiorare tra queste tracce.

Così, di album in album, Gioele Valenti è riuscito a plasmare il suo progetto in uno stile esemplare, fedelissimo a se stesso, a suo modo unico e subito riconoscibile, anche se mai adagiato sulle sicurezze della formula ma al contrario sempre aperto a nuovi stimoli, sempre connotato da nuove cangianze. Divenendo detentore di un linguaggio tutto personale, un cantautorato schivo, che placidamente attende quello spirito affine che sia pronto a comprenderlo. La natura brillantemente solipsistica dei lavori precedenti, qui cede alle lusinghe di una sorta di vera e propria band aperta che coinvolge, fra gli altri, anche l’ex Ulan Bator Amuray Cambuzat, che viene espressamente omaggiato in Here we are, riecheggiante l’Etoile d’astre di quel capolavoro assoluto (ed assolutamente sottovalutato) che fu Ego Echo. L’allargamento dell’organico, questa volta, fa assumere ai brani un aspetto più “indie-rock”, con le radici ben piantate su terreni fine novanta/primi duemila. Così Violence is for leaders è il brano mancante a Whatever, mortal di Papa M e The river, con le sue inattese aperture alt-country, non può non ricordare un Will Oldham più tradizionale. L’apertura, però, è affidata ad un brano classicamente Herself, Strangler who’s me: intreccio di chitarre acustiche, suoni indefiniti sullo sfondo, cantato soave e sottilmente morboso, come da lezione Young God, ed una melodia che fa bene al cuore e che trova corrispondenza negli arpeggi cupi e nei moniti paramillenaristi di Tempus fugit, che il violoncello di Aldo Ammirata contribuisce a tingere di colori wave; non fosse, però, che il brano evolve sino ad un gotico americano (Angels of Light, appunto, ma anche Gravenhurst) rischiarandosi poi nelle linee rette del finale. Con Tempus fugit, Gioele impone confronto per ben due volte, riproponendo il brano in veste diversa (meno folk e dalle aperture rumoriste): che l’ascoltatore operi la propria scelta (Tempus fugit #2 per sempre!).

Perché le strutture non hanno mai lo svolgimento che si attenderebbe: prendono traiettorie imprevedibili, si fanno complesse, barocche, e quella che un attimo prima appariva come una scheletrica ballata sepolcrale, subito dopo è divenuta un ostinato ricolmo di ogni suono possibile (Luna Park) che passa anche attraverso un inciso puramente Cure. C’è, anche, il tempo per il brano pop da college radio U.S.A alla Wilco, altezza Yankee hotel foxtrot (Funny creatures), ma l’andamento disimpegnato del brano cela in realtà la solita beffarda amarezza (But all those funny creatures/they can’t get out of my head). L’anima di Herself, comunque, sta altrove: nei tormenti distorti e caotici della conclusiva How you killed me che s’immagina strappata al canzoniere di, ancora una volta, Michael Gira. Nel mezzo Outside the church, che personalmente considero l’apice del lavoro, perché adoro quando Herself lambisce territori folktronici e qui si arriva sino ai Notwist di The Devil, You+Me, con un loop insistito chitarra/batteria circondato da ogni sorta di suono ed effetto: synth, trombe, mani, suoni d’ambiente ed una melodia adesiva.

Ciò che più importa è che Herself, pur com’è ovvio tra mille richiami ed influenze, resta creatura atipica che trova pochi paragoni anche all’estero. E poi c’è la scrittura di un cantautore (perché di canzoni, in fondo, si tratta) sottile, coltissimo, per inciso uno dei migliori autori in circolazione, che con afflato postmoderno ed aura negativa, narra del mestiere di vivere e delle tentazioni d’esistere, passando da Aleister Crowley a Don de Lillo, con la rara forza espressiva del notevole scrittore che realmente è. Lo scrittore solitario e sfuggente la cui sanguinose parole sono dirette a te. A te e a nessun altro.

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Herself su Deambula

tracklist:

Strangler Who’s Me | Here We Are | Funny Creatures | Tempus Fugit | Violence Is For Leaders | Outside The Church | The River | Tempus Fugit #2 | Passed Away | Luna Park | Sugar Free Punk Rock | Something In This House | How You Killed Me [/box]

 

Alessio Bosco
Alessio Bosco
Alessio Bosco - Suona, studia storia dell'arte, scrive di musica e cinema.

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