In una città x, in un tempo x, scoppia una strana malattia contagiosa, il cui unico sintomo è appunto la cecità . Sulle prime il governo centrale ci metterà una pezza internando i malati, confinandoli in uno stato di anarchia e illegalità , che ben presto travalicherà i confini fisici delle case di riposo per riversarsi nelle strade.
Ci sono voluti tredici anni a convincere José Saramago a dare l’approvazione per un film sul suo Cecità . Non voleva che diventasse un film di zombie e (chissà perché, poi). Voleva mantenere la coralità dell’azione, nelle sue caratteristiche aspaziali e atemporali: cast multietnico, luoghi e persone senza nomi propri, mancanza di riferimenti storici. C’è voluto molto per convincerlo ad usare una voce narrante non-onnisciente, che avrebbe potuto tradire l’intento scientifico-antropologico di base.
Insomma, il film l’ha fatto Saramago, e la regia è stata affidata a uno che nei suoi precedenti lavori ha dimostrato di saper adattare abilmente (o comunque in maniera accattivante) opere letterarie sul grande schermo senza troppe velleità artistiche ; un ottimo artigiano insomma, uno che quello che gli dai lo fa bene e quello che fa lo vendi bene: Fernando Mereilles (City of God, The Constant Gardener). Questo è il contesto produttivo in cui è nato il film, e da questi rapporti di forza si capisce tutto il bene e il male del film. A livello « letterario », essendo fedelissimo al libro, ne prende tutto il bene; la concezione di spettatore-giudice e le ciniche riflessioni sulla natura umana che emergono in contesti di anarchia e di caos; (in questo Saramago è molto simile a Romero, ma non diteglielo) e tutto il male : la polidirezionalità , un’opera centrifuga che assorbe personaggi e storie e lancia in ordine sparso riflessioni interessanti ma incompiute (morali, antropologiche, sociologiche, sentimentali, economiche, politiche, ambientali). A livello tecnico, il film fa il suo sporco lavoro, giocando molto sui ritmi narrativi e sull’alternanza dei personaggi, evitando sia il distaccamento cinico che il buonismo a cui il finale avrebbe potuto facilmente indurre, arruffianandosi un po’ la platea premendo a tavoletta sul pedale della desaturazione. Un po’ tagliato grosso nella sua coralità indotta, i difetti principali del film stanno appunto in primo luogo nel suo non saper trascendere un libro cinematografico nella descrizione degli eventi ma non dei sentimenti umani ; in secondo luogo di non avere il coraggio di sfruttare al meglio la potenzialità espressiva racchiusa nella sfida di fare un’opera visiva sulla cecità , la complessità di indagine che una visione che parla di visioni può fornire a un regista. Opportunità che Mereilles non coglie, limitandosi a confezionare un film in realtà già girato. Cecità è un film che andava fatto ed è stato fatto, siamo tutti abbastanza soddisfatti, produttori scrittore regista pubblico e critica, andiamo oltre. Un capolavoro di cerchiobottismo cinematografico.