venerdì, Dicembre 6, 2024

Henry Mancini – Wait Until Dark: recensione

Film Score Monthly stampa in versione integrale uno dei capolavori di Henry Mancini, "irreperibile" e "invisibile" per alcuni decenni. L'esperienza completa di "Wait until dark" viene fatta per la prima volta ed è un must have per tutti gli appassionati di musica per il cinema

La sfortuna discografica di Wait Until Dark è di quelle caratterizzate da segni ricorrenti nella storia della musica per il cinema, si potrebbe fantasticare un tracciato negativo fatto di master scomparsi, suoni riallocati in virtù della loro funzionalità, score interi destinati allo smembramento e quindi alla riduzione a livello di libreria sonora.
Di Wait until Dark viene pubblicato solamente un 45 giri dalla Rca Victor nel 1968, ovvero un anno dopo l’uscita del film di Terence Young; il lato A contiene una nuova registrazione del tema che farà da unico attrattore della memoria per tutte le stampe successive all’interno di raccolte manciniane, greatest hits, omaggi sonori ad Audrey Hepburn.

Al disinteresse commerciale si aggiunge un doloroso detournament senza nessuna intenzione teorica; i master originali vengono ri-utilizzati dalla Warner nel 1972 come colonna sonora per The Eyes of Charles Sand, pilot di un serial senza fortuna beffardamente concepito a partire dalle facoltà precognitive, quindi oltre la visione, di un personaggio dotato di capacità paranormali. In tutta questa storia di interpolazioni repentine e non autorizzate, Henry Mancini non viene accreditato.

Incuneato nel doppio oblio, il classico status di culto di una colonna sonora capace di influenzare in modo in-visibile tutta una generazione di musicisti e di fare da sintesi definitiva per una sorta di futuro anteriore Manciniano.

Film Score Monthly contribuisce ad alimentare il passaggio temporaneo di Wait Until Dark pubblicando per la prima volta lo score intero e limitandone le quantità disponibili a sole 3000 copie, operazione di rigorosa impermanenza condotta a partire dai master delle session originali, remixati, rimasterizzati e organizzati secondo una strutturazione filologica. Ne viene fuori un impressionante pezzo di musica estrema proprio nella forzatura di quelle possibilità materiche e concrète che fanno parte del campionario Lounge di Mancini. Gli elementi della seduzione immaginifica ed Exotica ci sono quasi tutti; Novachord, Harpsichord, la presenza di un Autoharp in alcune tracce, un Whistler inquietante capace di evocare numerose appartenenze, un Sitar, uno Sho. Se gli esempi migliori di Lounge music sono quelli che si inventano paradisi illusori e simulacri di tradizioni strumentali stridenti, questa partitura sulla cecità s-materializza nei termini del discorso sonoro quella promessa falsamente ingegneristica che si annidava nello slogan di una delle serie diffuse dalla RCA nei primi 60, The sound your eyes can follow.

Il disorientamento prospettico della musica più riuscita di Esquivel, quella che separa gli elementi di tradizioni bastarde in una ricerca materica e astratta dell’effetto sonoro è in Wait Until Dark un procedimento ancora più estremo; persino l’emersione di alcuni episodi latini è minacciata da suoni estranei e dalla sovrimpressione di timbri parassitari (organo/sho in Radio Source); ad accentuare questa disintegrazione dell’appeal cocktail contribuisce la presenza beffarda di tre momenti esplicitamente Bossa, fonti distanti marcate come diegetiche, materiale funzionale al racconto, semplice musica d’arredo.

Il propulsore di Wait Until Dark è la deviazione e la distorsione, è storia nota il tune pianistico che si trascina lungo tutto quel che resta dell’elaborazione tematica, realizzato facendo collidere due pianoforti accordati con un quarto di tono di differenza; il bellissimo main title libera la forma di questo incedere sinistro e ossessivo risucchiando nella spirale orchestrale il whistler, il novachord, gli strumenti acustici suonati come elettrici (tipico del mancini prima e dopo) e i fiati della tradizione giapponese.

È incredibile come in un dialogo sostanzialmente free Mancini riesca a trovare una coesione capace di seminare intuizioni che potremmo rintracciare nel Jazz atemporale di Badalamenti, nei cluster orchestrali di Howard Shore fino a quella timbrica ormai addomesticata e davvero trasformata in un’innocua loungerie da luna park nell’universo di Danny Elfmann o in una revèrie fanciullesca nelle ossessioni strumentali di Yann Tiersen.

Il doppio piano di Wait Until Dark è qualcosa di più di un toy piano, nonostante l’effetto più apparente sia quello di appiattimento della profondità; sulla carta, le intenzioni di Mancini erano quelle di creare una distorsione dell’apparato percettivo, un’eco cieca e dal funzionamento asincrono che potesse accentuare il senso di dislocazione materializzato dallo scontro visione-cecità / Audrey Hepburn-Alan Arkin.

Il climax sensoriale è senza dubbio Bulbus Terror, un esempio impressionante di mutazione timbrica che precorre di quasi dieci anni i cluster orchestrali dell’ultimo Herrmann, quello che trasforma la sua retorica spiraliforme e impasta organo e archi nel caos sensoriale di Obsession; la sequenza è nota ed è quella dove la Hepburn risucchia Alan Arkin in una visione cieca e sovraesposta schiantando lampadine nell’oscurità, la materia sonora che gli occhi possono vedere è fatta di violente esplosioni orchestrali che si appiattiscono al livello di un suono secco e senza profondità creato dalla sovrapposizione di piano e Novachord con l’unica fuga possibile disegnata dal sax soprano.

Ritorna l’elettricità di Peter Gunn deprivata dalle lusinghe Jazzy, viene recuperata la tensione di Experiment in Terror, si ripropone la disintegrazione del tema in dispositivo ritmico che era già di Touch of Evil e di Arabesque, secondo una priorità rovesciata e con una durezza d’impatto basata sullo spostamento minimale, sulla potenza dei pieni e dei vuoti e sulla defunzionalizzazione di strumenti dall’identità forte in una deriva lontana da qualsiasi genere di appartenenza.

La soluzione melodica di Wait Until Dark inseguita per 40 minuti di musica sperimentale approda ad uno splendido e tragico tema sulla dissoluzione e sulla perdita, in questo caso mi aiuta un trittico cinematografico immaginario costituito dallo stesso film di Young, Blind Terror che è la bellissima versione di Richard Fleischer e il meno noto Fear in The Night di Jimmy Sangster, tre film sull’inganno del visibile, tre film sulla morte della visione amorosa.


Who cares how cold and grey the day may be
Wait until dark and we’ll be warm

Wait Until Dark è stato stampato da Film Score Monthly in un’edizione limitata a 3000 copie corredata da un booklet di 10 pagine con note esplicative di Lukas Kendall, traccia per traccia. E’ un’edizione splendida, anche dal punto di vista della qualità audio. Lo score originale ha la durata di 45 minuti circa e arriva a 50 minuti con alcuni bonus tracks inseriti nell’edizione di Film Score Monthly, inclusi due minuti di piano tests dove è possibile sentire la voce di Henry mancini mentre setta l’accordatura del doppio pianoforte utilizzato come elemento di traino di tutta la colonna sonora. Il cd si acquista direttamente da questa pagina di Screen Archives, l’e-store di Film Score Monthly; il valore seminale di questa Colonna Sonora la rende un oggetto appetibile non solo per chi non può fare a meno di un tassello fondamentale nella carriera di Henry Mancini, ma anche per chi, legato alle derive strumentali di certo Rock che ama contaminarsi con altri derivati, sia alla ricerca di radici (im)possibili e decisamente poco battute.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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