sabato, Luglio 27, 2024

Videocracy – di Erik Gandini (Svezia 2009)

Si rimane delusi dalle immagini “mai viste” di Videocracy, inquietante Mondo Movie filmato da un punto di vista privilegiato, troppo vicino a quelle che sono state definite “immagini dell’orrore” per non farne direttamente parte.

Invece delle esecuzioni brutali di Africa Addio è il cazzo ben unto di Fabrizio Corona e le suonerie fasciste di Lele Mora che violentano la possibilità di guardare chiudendo almeno un occhio; Gandini non riesce ad andare a fondo più di quanto sia in grado di fare un numero di Novella 2000 in un’operazione sconcertante che non può aver seriamente colpito un gruppo di selezionatori preparati e nutriti a pane e Debord se non per un calcolo ben preciso e se si vuole “legittimo” in termini di risonanza; ovvero mettere in piedi la solita farsa interpretata da un’opposizione inerte preoccupata di consenso veloce e incassi proficui, irrimediabilmente già assorbita da un immaginario che vorrebbe confutare, in linea con l’ottimo lavoro a favore di quel linguaggio che Repubblica sta levigando ormai da mesi, consegnando ai suoi lettori uno spettacolo  infame di cui fa parte, lontano dagli orrori di un paese dove lo stato di diritto è un’opzione.

Tagliati fuori da qualsiasi forma di conoscenza da destra e da “sinistra” non esiste più nessuna possibilità di deliberare; non rimane che assimilare due movimenti apparentemente opposti come l’aderenza e il rifiuto, una sovrapposizione della stessa idea di indignazione che nel montaggio di Gandini è perfettamente compiuta.

Videocracy genera la stessa depressione dei noti gossip illustri nazionali, scatta una foto dall’alto, viaggia nel nostro sistema politico con Google-Map, è un’immagine congelata e capace di annichilire.

Non ci preoccupa il lavoro sulle superfici, il corto circuito dei simulacri, infastidisce casomai la pretesa di  maltrattare e travisare Baudrillard con un’operazione che vale quanto un commento politico su facebook e che fa apparire il Buon Michael Moore come l’allievo migliore di Christian Metz.

Non c’è niente di nuovo in Videocracy, niente che non si sappia, niente che sia più tagliente di un cut up improvvisato tra le immagini di repertorio dei Tg Nazionali; e ancora, come in un Mondo Movie privato della scellerata genialità  preconizzatrice di Jacopetti e Prosperi, tutto il visibile è orientato da una narrazione fuori campo che ci condurrà dove ci aspettiamo; la messa in abisso della stessa immagine, il loop del grande fratello Orwelliano riproposto dal banalissimo Metropia (film proveniente dalla stessa Factory di Videocracy, presentato a Venezia all’interno della Settimana Della Critica).

L’episodio vile e razzista che segue i sogni di Riccardo, appassionato di arti marziali e con il sogno di cantare, presente in alcuni format Mediaset e  provinato da alcune delle maggiori trasmissioni Nazionali è una didascalia disturbante, un grimaldello cinico utilizzato senza la forza del cinismo puro, quello che per esempio permette a Ciprì e Maresco di distanziarsi e immergersi fino al collo nell’orrore più puro pagandone tutte le conseguenze.

Videocracy è un documentario aziendale, è la promozione che potrebbe (potrebbe) aver pagato Corona, è l’invito più infido del potere; quello che ti illude di partecipare (alla conoscenza, alla costruzione di un linguaggio, etc.) senza esserci.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi

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