martedì, Marzo 19, 2024

L’uomo nell’ombra di Roman Polanski

“Who are you?” “I’m your ghost”. Botta e risposta tra Adam Lang (Pierce Brosnan), ex primo ministro britannico, e il suo fantasma (Ewan McGregor). Fantasma nel senso di prestapenna, di biografo ufficioso, ma anche, alla lunga, nel senso scespiriano di voce dal (proprio) passato, di monito molesto. Di verità sepolte che riprendono a camminare scrollandosi di dosso le zolle. Il nostro ghostwriter senza nome riceve un compito difficile, forse impossibile, ma ben pagato: scrivere My Life, l’autobiografia dell’ex inquilino del 10 di Downing Street, attualmente coinvolto in uno scandalo che lo vedrà processato all’Aja per crimini di guerra compiuti nel contesto della lotta al terrorismo. Il giovane scrittore deve sostituire Mike McAra, scomparso in circostanze poco chiare, e la sua innata curiosità lo porterà a spalancare un vaso di Pandora. Come in ogni thriller che si rispetti, ogni accenno alla trama sarebbe imperdonabile. Inutile negare che la figura di Lang sia vagamente ricalcata su Tony Blair, e vale la pena di sottolineare che gran parte del film è ambientata sull’isoletta atlantica di Martha’s Vineyard dove Lang ha il suo buen retiro, cioè a dire un piccolo bunker in mezzo al nulla. The Ghost writer segna il ritorno di Polanski dopo il deludente Oliver Twist (2005). Il regista ha scritto la sceneggiatura insieme all’autore del romanzo uscito nel 2007, Robert Harris, quello di Fatherland (1992) ed Enigma (1995). Pare che Polanski abbia bocciato l’ipotesi di portare sullo schermo un altro titolo di Harris, ambientato nell’antica Roma, mentre si sia innamorato a prima vista di questo plot hitchcockiano, davvero rimarchevole e senza un filo di grasso. Polanski non è estraneo all’alta tensione: ricordiamo il classico Chinatown (1994, scritto con Robert Towne pensando a Chandler) o Frantic (1988, scritto con Gérard Brach pensando a Hitchcock). Di norma, il regista polacco naturalizzato francese predilige i luoghi paranoici e i Kammerspiele in cui ci scappa il morto, etichetta che per quanto un po’ lasca abbraccia buona parte della sua filmografia, dal corto Mordstwo (1957) al Coltello nell’acqua (1962), da Che? (1973) allo splendido La morte e la fanciulla (1994), forse il suo ultimo lavoro davvero polanskiano. Dinanzi a un thriller levigato e ad alto budget come questo, ci si può chiedere quanto di Polanski ci sia nella pellicola. A conti fatti, non granché. L’isola vale indubbiamente come un cul de sac, con i personaggi che vagano solitari sulla spiaggia e occupano ambienti o mal messi e oppressivi (il motel, la baracca del vecchio) o ben messi e oppressivi (la residenza di Lang, la villa nel bosco del professor Emmett). Inoltre, l’idea di un personaggio senza nome che “sostituisce” una persona misteriosa e comincia a seguirne i passi ricorda il canovaccio dell’Inquilino del terzo piano (1976). Il protagonista si caccia in un labirinto di filo spinato e ci si immerge sempre di più convinto di avere il coltello dalla parte del manico. Non ce l’ha, così come non ha un nome. The Ghost writer funziona, e alla grande. È un film solido, serrato, calibratissimo, senza sbavature, punteggiato da momenti di sottile ironia – comunque lontani anni luce dal campionario beffardo a cui ci ha abituato Polanski. Il cast è perfetto, da McGregor a Brosnan, da Kim Cattrall (Amelia Bly, fedele segretaria di Lang) a Olivia Williams (sua moglie Ruth), fino a Tom Wilkinson (l’ambiguo Emmett) e alle comparsate straordinarie di Timothy Hutton, Jim Belushi ed Eli Wallach. Nota di merito per la colonna sonora di Alexandre Desplat, che a tratti regala momenti da rito satanico. Il film, quindi, c’è. Polanski, un po’ meno. Lo si può rintracciare, come abbiamo tentato poc’anzi, cercando di sovrapporre alcuni topoi tratti dai suoi film al sentiero già tracciato del romanzo di Harris. Lo si può riconoscere nella terz’ultima inquadratura, un piano che insegue di mano in mano il viaggio del bigliettino che risolve l’enigma, fino al volto del colpevole che lo legge e sfodera occhi di bragia. Oppure si può semplicemente concludere che se il film funziona, è merito di Polanski (regista, co-sceneggiatore e co-produttore) e della sua esperienza cinquantennale. La stessa conclusione che incoraggia un film come Il pianista (2002), adattamento tanto impeccabile quanto impersonale – a patto di non pensare al passato della famiglia Polanski. The Ghost writer è intrattenimento neutro e professionale di ottima fattura, anche se la regia potrebbe benissimo essere di Tom Tykwer, del Pollack del Socio (1993)… o di un geniale ghost director.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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