venerdì, Ottobre 4, 2024

Out Of Cold Storage – l’Universo Sonoro dei This Heat

In sei anni di attività i This Heat sono rimasti virtualmente degli sconosciuti per il grande pubblico. Gli stimoli sonori seminati dalla formazione britannica, tuttavia, hanno segnato profondamente le successive generazioni di musicisti. Anticipando fenomeni come la new wave, l’industrial, certi settori dell’elettronica, il math-rock e il post-rock, il trio londinese ha esteso la propria influenza fino ad alcune fra le più interessanti realtà musicali contemporanee. Quanto affermato da Brian Eno riguardo ai Velvet Underground (“non furono in molti ad acquistare il loro primo album, ma tutti coloro che lo fecero in seguito formarono un gruppo”) riflette perfettamente la parabola di Heyward, Bullen e Williams: se mai c’è stato complesso che ha meritato la qualifica di cult band sono i This Heat. La ristampa tutto sommato recente (2006) dell’intero catalogo del gruppo ad opera della This is – etichetta dei membri fondatori Heyward e Bullen – ci permette di svelare uno dei segreti meglio custoditi nella storia della musica rock.
Attivi già da alcuni anni nel giro del progressive londinese, Charles Heyward (voce, percussioni, tastiere, nastri) e Charles Bullen (chitarra, clarinetto, viola, percussioni, nastri, voce) formano i Dolphin Logic nel 1975. Poco dopo invitano ad entrare in organico il non musicista Gareth Williams (tastiere, basso, chitarra, nastri, voce) e la formazione cambia nome in This Heat. I tre si dedicano da subito ad una musica dalle forti connotazioni sperimentali. Se echi del sound di Canterbury sono ancora percepibili nei momenti più lirici della loro produzione – soprattutto per quanto riguarda la dolente voce alla Robert Wyatt di Heyward – il devastante estremismo sonoro di alcuni episodi evidenzia piuttosto l’influenza del free-jazz, del krautrock, e di generi “alti” come la musica aleatoria, il minimalismo e la musica concreta.
Lo stile percussivo di Heyward amalgama il funk con il jazz, rielabora influssi etnici provenienti dall’Africa e dal Sud Est Asiatico. Bullen è un dotato polistrumentista. Eppure il virtuosismo non riveste un ruolo fondamentale nell’economia del gruppo, al contrario di quanto succede nella maggior parte delle formazioni progressive. Heyward stesso non può essere definito un cantante tecnicamente dotato. L’approccio di Williams allo strumento, poi, è più vicino a forme d’arte come la pittura che alla musica: si potrebbe quasi affermare che egli suoni l’organo allo stesso modo in cui Jackson Pollock dipinge (!).
In definitiva, il gruppo abbraccia con entusiasmo un’attitudine energica, sfrontata e semi-dilettantistica. Sempre pronti ad imboccare nuove strade e a considerare ogni possibilità, abilissimi nell’evitare i vicoli ciechi compositivi o i vuoti sfoggi di tecnica, i This Heat contribuiranno in maniera sostanziale ad abbattere i confini fra musica “colta” e musica “popolare”. Così facendo – complice la presenza del non musicista Williams – ribalteranno le premesse stesse del genere progressive, rivelandosi in netto anticipo sui tempi. Come ha affermato Stefano Bianchi su Blow Up: “…non furono i più grandi perché furono i primi, furono i più grandi perché non sapevano di esserlo. Erano, cioè, punk”.
Muovendo i primi passi nel paradiso degli squatter londinesi – il multiculturale quartiere di Brixton – i tre rinsalderanno i propri legami con il punk a livello ben più che ideale, entrando in contatto e collaborando con la crema delle formazioni new wave affiliate alla Rough Trade: dal Pop Group alle Raincoats, dagli Scritti Politti ai 23 Skidoo. A questo proposito Charles Heyward ha affermato: “Quella sorgente di possibilità punk ci accolse e ci nutrì, anche se non ne facevamo parte”.
Ancora privo di un contratto discografico il gruppo viene notato da John Peel, guadagnandosi l’opportunità di incidere una sessione alla BBC nell’Aprile del 1977: la devastante performance che seguirà è testimoniata da Made Available (pubblicato postumo nel 1996). Poco dopo, i tre ottengono in gestione quello che diventerà il loro laboratorio sonoro per i successivi sei anni, una ex cella frigorifero nel cuore di Brixton ribattezzata Cold Storage. Come l’Inner Space Studio nel caso dei Can, il Cold Storage diventerà un formidabile strumento di libertà, grazie al quale il gruppo potrà sviluppare e perfezionare il proprio approccio iconoclasta alla materia musicale. Ispirati dai produttori Dub giamaicani e dagli esperimenti sui nastri condotti nei primi anni ’70 da Faust, Neu! e dagli stessi Can, i tre si specializzeranno nell’arte dell’editing. Registrando ore di libere improvvisazioni, in un continuo processo di taglio e assemblaggio del materiale fissato su bobina magnetica, creeranno gli stupefacenti paesaggi sonori che affollano i loro lavori in studio. Le registrazioni diventeranno una parte integrante anche degli spettacoli dal vivo: il gruppo comincerà ad utilizzare i nastri come sorgenti di suono sul palco, anticipando le moderne tecniche di campionamento.
L’ omonimo esordio “This Heat”, pubblicato nel 1979 dalla Piano Label di David Cunningham (primo manager del gruppo e mente dietro al progetto Flying Lizard), è una raccolta di improvvisazioni eterogenee, registrate tra il febbraio 1976 ed il settembre 1978. Si tratta di un’opera che stupisce ed intimidisce al primo ascolto, rendendo subito evidente la statura di un gruppo eccezionale persino per i parametri dell’epoca, quel quinquennio 1976/1982 non certo povero di novità discografiche sbalorditive. Se anche la grafica minimalista della copertina avesse fatto presagire le aspirazioni Art-Rock del gruppo, mai avrebbe potuto preparare l’ascoltatore a quanto conteneva.
L’assalto sonoro della strumentale Horizontal Hold, posta in apertura, si regge tutto sull’impalcatura percussiva di Hayward, una ritmica sincopata dalla cadenza implacabile. La torturata chitarra di Bullen partorisce riff monocordi affilati come rasoi mentre l’organo, da cui Williams sembra intenzionato a cavare ogni sorta di possibile dissonanza, irrobustisce la trama armonica. La portata innovativa di questa sinfonia industriale è immensa, vengono in mente gli Shellac di “At action Park”.
Not Waving è al contrario lirica, crepuscolare e sofferta. L’organo abbozza una melodia, accompagnato da un flebile clarinetto. Campane spettrali sembrano risuonare nella nebbia mentre Heyward, con voce lamentosa, intona: “Eccomi nell’oceano: non sto salutando, affogo…non c’è nessun domani”.
Twilight Furniture ruota intorno ad una figura melodica estremamente rarefatta – poche note di chitarra che si intrecciano al canto rassegnato di Hayward – ed è sostenuta da uno splendido tappeto poliritmico, ipnotico e suggestivo nell’evocare immagini di assoluta desolazione. Con in mente la lezione dei maestri Can e Amon Duul, il pezzo anticipa quanto fatto dai Liars trenta anni dopo.
Con 24 Track Loop si entra nel territorio dell’elettronica pura. Come suggerisce il titolo, la traccia è ottenuta processando frammenti d’improvvisazione ritmica – pattern di pochi secondi – con un mixer a 24 canali. Il sound non è lontano da quella che sarà la moderna Drum’n’Bass ed evidenzia un utilizzo delle tecniche di campionamento ed editing davvero avveniristico per l’epoca.
In chiusura, la splendida The Fall of Saigon rivela il lato più esplicitamente politico del gruppo, fra soluzioni percussive che rimandano al Gamelan e droni di chitarra Velvetiani. Nonostante la tenebrosa linea vocale, il testo rievoca con linguaggio estremamente ironico la disfatta americana in Vietnam. Heyward dà voce ai pochi diplomatici rimasti a Saigon, asserragliati all’interno dell’ambasciata Statunitense mentre la città viene invasa dalle truppe Nordvietnamite: “Ci siamo mangiati Soda, il gatto dell’ambasciata…alla moglie dell’ambasciatore è toccato il fegato…ci siamo mangiati la Tv, la poltrona, il telefono, il cellophane…Mio Dio, come abbiamo fatto ad arrivare così lontano per cadere così in basso?” (continua nella pagina successiva)

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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