Alina Orlova – Laukinis suo Dingo (Naive, 2010)

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Alina Orlova ha 22 anni, arriva dalla Lituania e in molte delle sue canzoni canta in lituano. Questo può essere un limite, ma al tempo stesso diventa una risorsa, perché il suono della sua voce diventa uno strumento, potente e capace di sbalzi e cambi di tonalità rari da trovare in una ragazza poco più che adolescente. Non è solo la voce a rendere più che apprezzabile il suo disco d’esordio Laukinis Suo Dingo (traducibile più o meno come “un dingo selvaggio”, dal nome di un libro russo per adolescenti): Alina pare infatti avere già le idee ben chiare su come scrivere delle ottime canzoni, basate essenzialmente sull’interazione tra il piano e, appunto, la voce, con inserti di vari strumenti, come violini, glockenspiel, fisarmonica. La giovane esteuropea si pone nella scia di altre “ragazze col pianoforte”, che negli scorsi decenni hanno accoppiato songwriting e ricerca musicale. Il primo nome che viene in mente è quello di Kate Bush, ma anche altre possono essere citate, ad esempio Regina Spektor e Frida Hyvonen per restare dalle parti dell’ex-Urss e del Baltico, oppure un’altra giovanissima, l’austriaca Soap&Skin, quando si allontana dall’elettronica e resta sola davanti ai tasti. I 16 brani di Laukinis Suo Dingo sono dei quadretti che non superano mai i tre minuti di durata: una scelta tutto sommato azzeccata, perché Alina dimostra di saper concentrare idee ed ispirazione in composizioni brevi e scattanti, rifuggendo il rischio di esagerazioni, che spesso si trovano in dischi e canzoni basate sugli incroci tra piano ed altri strumenti. Qui invece vincono la semplicità e l’intelligenza, l’equilibrio negli arrangiamenti, che riescono a far risaltare nel giusto modo la bellissima voce di Alina, e un songwriting (nella forma, non nei testi, su cui è difficile esprimersi, chiaramente) già maturo e abbastanza vario, anche se un po’ troppo legato ai nomi citati prima (in particolare Bush e Spektor). Tra i brani in scaletta spiccano in particolare Vaiduokliai, una specie di filastrocca con la fisarmonica a dare un tocco folk e circense; Lijo, dove il violino crea pathos adagiandosi su un piano gentile; Transatlantic Love, con Alina canta in inglese su un tappeto ritmato e quasi punk-cabaret; Slepynes, la canzone più lunga del disco e la più elaborata, con un paio di cambi di ritmo e l’ingresso di un po’ di elettronica prima del finale con il solo piano a farsi largo nel silenzio, una moderna suite in meno di tre minuti.

www.myspace.com/alinaorlova