Paranormal Stories di Aa. Vv. – la recensione

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Un carrello lento fluttua in una stanza stracolma di pupazzi e modellini. Sono i mostri appartenenti all’intero immaginario horror hollywoodiano, da Godzilla all’Enigmista, dallo Slimer di Ghostbusters alla casa vittoriana di Psyco. Tutti raccolti e condensati nella buia stanza di un ragazzino intento a leggere un fumetto da collezione di Mister No “Viaggio all’Inferno”. Un prologo che non ci introduce semplicemente ai cinque episodi di cui è composto il film, ma che ci immette in un ricco contesto di rimandi e citazioni su cui sembra trovare fondamenta l’intera struttura dell’opera

Tutti elementi questi che non possono non rimandare al Creepshow firmato Romero/King. Perché Paranormal Stories vuole essere un omaggio altrettanto valido a quei modelli dell’orrore da cui i sei registi (e il produttore Gabriele Albanesi stesso) attingono, così come l’accoppiata americana aveva celebrato i fumetti horror EC Comics che avevano accompagnato la loro infanzia. Il potere esorcizzante che assumeva il giornaletto viene quindi qui sostituito da un’energia propulsiva altrettanto forte rintracciabile nei film horror di culto.

Questo film collettivo quindi si libera da quell’estetica fumettistica del film di Romero, per virare su una cura fotografica all’insegna di un maggiore realismo. E l’aspetto originale è infatti individuabile proprio nel tentativo di conciliare tematiche estremamente vicine alle drammatiche realtà dell’attuale società italiana. Dall’inquietante e ironico “Offline” di Andrea Gagliardi, che riflette sui suicidi insensati dei giovani dalle vacue esistenze e gravose responsabilità, a “La Medium” di Roberto Palma, che suona come dura critica a quegli avvoltoi del dramma, insensibili e avidi impostori che lucrano su dolore e speranza, fino a “Fiaba di un Mostro” di Stefano Prolli, che con sguardo poetico ci induce a meditare sulla relatività del male e sulle catene di violenza generate dal pregiudizio (superbo il lavoro fotografico, ma non altrettanto la costruzione narrativa e la prova attoriale), e il conclusivo “Urla in Collina” di Omar Protani e Marco Farina, un vero e proprio crogiuolo citazionista che spazia da So cosa hai fatto di Jim Gillespie a Non Aprite Quella Porta di Tobe Hooper, dal Blair Witch Project di Myrick/Sanchez allo Psyco di Hitchcock; senza dimenticare l’episodio di apertura “17 Novembre” di Tommaso Agnese, che trova forza nel suo stravolgente finale dall’impatto destabilizzante, e sembra rappresentare efficacemente quel trait d’union che collega tutte queste storie paranormali, che si configurano più come la manifestazione di una dimensione mentale, la fenomenologia del mondo inconscio, il palesarsi di paure, fobie e forze imperscrutabili; come già nella produzione Albanesi in questi giorni nelle sale, Surrounded.

L’adozione di rimandi intertestuali, recuperati dal cinema horror ed immessi in un contesto prettamente italiano, contemporaneo, sembra quindi il punto forza di questo film, che si propone con coraggio nel panorama cinematografico italiano di genere.

Il ricorso, inoltre, di elementi intermediali (schermi pc, foto, giornali digitali in Offline e la videocamera in Urla in Collina), rafforzano il concetto di attualizzazione del topos classico, sfruttando le peculiarità stranianti di questi mezzi come fulcro di situazioni angosciose. L’epilogo si ricongiungerà al prologo conchiudendo i cinque episodi e accentuandone la dimensione da incubo manifesto, come fosse la proiezione tangibile di una realtà agghiacciante assiepata nei recessi della mente. Un film da vedere, per constatare come in buone mani,  la via italiana all’horror sia vivissima e possa ancora riuscire a trovare nuove forme, nuovi sguardi e un nuovo senso.