lunedì, Aprile 29, 2024

Morte di un professore (Unman, Wittering and Zigo) di John Mackenzie: recensione

Distribuito in Italia con il titolo di "Morte di un Professore", "Unman, Wittering and Zigo" è un piccolo grande film dimenticato diretto nel 1971 dal regista scozzese John Mackenzie. Interpretato e prodotto da David Hemmings descrive la trasmissione ereditaria del potere, esercizio collettivo che passa dalla cattedra alle aule.

Il debutto radiofonico di Unman, Wittering and Zigo viene programmato nel novembre del 1958 su BBC Third Programme. Giles Cooper, l’autore, in quell’anno scriverà molti drammi per il mezzo, confermando un talento pionieristico sviluppato fino al 1966, anno della morte prematura a soli 48 anni.

Tra scrittura originale e drammatizzazioni dei grandi classici della letteratura inglese, il suo stile si configura come una disamina feroce della società britannica del dopoguerra, tanto da assorbire tra le pietre angolari del suo lavoro “Il signore delle mosche” di William Golding, pubblicato nel 1954 e da lui adattato per la radio.

Unman, Wittering and Zigo è probabilmente il lavoro di Cooper maggiormente influenzato dal primo romanzo dello scrittore e insegnante britannico Premio Nobel nel 1983, perché ne replica dinamiche drammaturgiche simili, pur spostando la riflessione dal piano di una metafisica negativa che domina l’orizzonte umano, ad una convinzione radicalmente materialista che definisce l’espressione del male come costruzione sociale e culturale collettiva.

Ai preadolescenti naufraghi su un’isola e sospesi tra nuova civiltà e barbarie, si sostituisce la scolaresca di un liceo maschile isolato e ubicato sulle colline sopra l’oceano. John Ebony è il nuovo docente di letteratura incaricato di seguire i ragazzi, giunto nel luogo insieme alla giovane moglie.
Sullo sfondo la rigidità di una scuola formale, superficialmente legata a principi reputazionali e soprattutto la morte del professore precedente, Mr. Pelham, il cui cadavere era stato trovato riverso tra gli scogli. Mistero che cresce durante il dramma, investendo di una luce sinistra lo stesso gruppo di studenti, uniti nel segno di una mascolinità omertosa, violenta e predatoria e organizzati secondo regole di convivenza parallele rispetto a quelle della società civile. La scuola, istituzione eretta sul prestigio dei padri, protegge le attitudini peggiori cresciute in seno al sistema educativo, con la silente indifferenza dei docenti e del preside.

Il primo adattamento televisivo del dramma viene diretto nel 1967 per la serie antologica Theatre 625 da Donald McWhinnie, veterano del genere e regista dell’originale radiofonico trasmesso nel 1958, oltre che di una serie di opere scritte dallo stesso Cooper. Una diffusione che ne farà un piccolo classico in patria, fino alla versione per il cinema diretta quattro anni dopo da John Mackenzie, regista formatosi con Ken Loach nella seconda metà dei sessanta e che proseguirà il suo apprendistato con il mezzo televisivo fino al 1971, quando dirigerà i primi due titoli per il pubblico delle sale, One Brief Summer, dramma a sfondo sentimentale che si addentra delicatamente nei territori dell’incesto e appunto Unman, Wittering and Zigo.

La connessione produttiva tra il dramma originale e la versione di Mackenzie è la Gregson & Wigan, l’agenzia di proprietà di Gareth Wigan e Richard Gregson che aveva curato per anni gli affari di Giles Cooper e che si trovava in quest’occasione a produrre il primo film per il cinema, poco prima degli accordi con la EMI e del relativo trasferimento a Los Angeles dove il duo affronterà una brillante carriera. Nuovo inizio anche per David Hemmings parallelo al percorso come attore, che nel film oltre ad interpretare la parte del professor Ebony, si occupa della produzione esecutiva.
Se la sceneggiatura del film viene assegnata a Simon Raven, nome televisivo che rimarrà sostanzialmente in quell’ambito, tanto da offrire un contributo fedele e compilativo rispetto al testo di Cooper, montaggio e fotografia portano la firma di due straordinari veterani del cinema inglese.

Il primo è firmato da Fergus McDonell, regista di The Small Voice, uno dei più bei noir inglesi degli anni quaranta e montatore tra gli altri per Carol Reed, Clive Donner, Basil Dearden.
La seconda viene curata dall’occhio visionario di Geoffrey Unsworth, a tre anni di distanza da 2001: a space Odissey per Kubrick e prima di Zardoz per Boorman. Direttore della fotografia “impressionista”, come lo definirà l’operatore Peter MacDonald, Unsworth si rivela più volte capace di utilizzare le migliori lenti sul mercato e allo stesso tempo di distruggere la percezione “chiara” dell’immagine con l’impiego di filtri, fumo e altre forme di alterazione del campo visivo.
La regia solidamente realista ed essenziale di Mackenzie e l’approccio visionario dei suoi più illustri collaboratori, caratterizzano la genesi di un prodotto assimilabile ad altre esperienze di genere nel cinema britannico intorno agli anni settanta, dove il basso costo della produzione espande le possibilità di sperimentare sulle forme del racconto, sui movimenti di macchina, sull’utilizzo delle soggettive.

Se nella caratterizzazione della scuola come arena di una formazione violenta è quindi evidente ed inevitabile l’influenza di Blackboard Jungle di Richard Brooks, sicuramente un riferimento per lo stesso Cooper nel 1958 così come il quasi coevo The Midwich Cuckoos, il romanzo di John Wyndham da cui è tratto Village of the Damned di Wolf Rilla, è completamente diverso il contesto sociale descritto allusivamente da Mackenzie. Più vicino alla stagione di rivolta appena precedente, la stessa che successivamente muterà nella sistematica adozione della violenza come codice sociale e privato dopo il fallimento delle istanze rivoluzionarie, sarà rappresentato in modo esplosivo nel cinema anglofono a venire, tra paranoia, difesa dei confini identitari, rottura del patto di fiducia con le istituzioni tradizionali, confronti distruttivi tra culture e tradizioni.

Non solo If…. di Lindsay Anderson del 1968, più esplicito nel definire la deflagrazione del sistema religioso, politico, sportivo ed educativo come principali veicoli di alienazione, attraverso il rifiuto delle nuove generazioni, ma anche Walk a Crooked Path di John Brason del 1969 che ricalca l’intreccio del dramma scritto da Cooper, A Clockwork Orange di Kubrick uscito tre mesi dopo il film di Mackenzie e soprattutto Straw Dogs di Sam Peckinpah, nelle sale un mese dopo rispetto a Unman, Wittering and Zigo e che con il film del regista scozzese condivide numerosi aspetti. Innanzitutto l’ambientazione in Cornovaglia, teatro di scontro tra asperità del paesaggio e cultura urbana, ma anche quella stessa insostenibile tensione tra erotismo ed abuso che mette al centro le figure femminili interpretate da Susan George e Carolyn Seymour nei rispettivi film, in relazione ai desideri del branco.
Strettamente connessa anche la distanza coniugale di entrambi i professori Hemmings/Hoffman rispetto alla libertà inintegrabile e naive delle mogli, ed infine l’assimilazione regressiva del maschio colto ai codici della mascolinità tribale e violenta nella resa dei conti conclusiva, che con diverse modalità ma conseguenze identitarie simili, disattende il ruolo positivo del personaggio principale, processo che nel film del regista scozzese si innesca con una graduale discesa verso la propria immagine allo specchio.
In questo senso non è forse stata indagata a sufficienza la possibile influenza del dramma di Cooper sul romanzo dello scrittore scozzese Gordon Williams da cui è tratto il film di Pekinpah, ma in termini di intreccio e anche di prospettive dello sguardo, le similitudini tra The Siege of Trencher’s Farm, pubblicato nel 1969 e Unman, Wittering and Zigo, sono numerose.

Il lavoro di Mackenzie insieme ad Unsworth tende a creare un montante disorientamento percettivo, che si riflette anche sul percorso del personaggio interpretato da Hemmings a contatto con l’ambiente secluso e isolato del college.
Alla simmetria geometrica degli interni e delle aule, spesso inquadrate come spazi vuoti secondo una prospettiva dello sguardo che evidenzia l’immutabilità di una storia educativa, sociale e politica, viene contrapposto l’utilizzo improvviso e selvaggio della camera a mano secondo quelle modalità fisiche che avevano cominciato a registrare i movimenti instabili e accidentali dell’occhio nel cinema britannico degli anni sessanta. Unsworth guarda anche al Roeg direttore della fotografia, alla natura del Dorset frammentata in Far From the Madding Crowd quando Troy mostra a Bathsheba la sua abilità con la spada, all’instabilità del punto di vista sperimentata in Petulia di Lester. Ed è ancora Roeg, questa volta regista, a stabilire con il suo Performance (1970) un canone legato alla mutazione identitaria dei personaggi che popoleranno i neo-noir, dove il contatto con un territorio alieno, complica il percorso di ricerca del protagonista, calandolo in un processo di trasformazione non binaria. La forma scelta da Mackenzie è per certi versi più classicamente orientata verso le intuizioni Free del decennio precedente, senza tendere alla non linearità degli esempi citati, ma proprio per questo riesce con forza a rappresentare l’irregimentabile fisicità dell’adolescenza maschile e la ferinità di un ambiente che eccede la cornice stessa entro cui viene allestita la pantomima del potere.
In questo contesto primario è inserito l’accidentato percorso identitario del professor Ebony.
Prima di tutto un’identità culturale incerta, tanto da far diventare la missione letteraria una prospettiva parziale secondo i progetti didattici del luogo. Assunto per coprire numerose falle educative, incluse le lezioni di chimica, si trova a dover affrontare il coeso rifiuto dei suoi studenti. La regola d’oro è non interferire, non ostacolare pulsioni e desideri, non contrastare la violenza e la delegittimazione esercitata contro i soggetti più deboli.

Visivamente e per l’impianto rigoroso di ascendenza BBC, uno dei frutti dell’apprendistato di Mackenzie, il film anticipa il lavoro di Alan Clarke sulle comunità ristrette, Boarstal, carceri o sistemi sociali che siano, senza estremizzare la frammentazione dello spazio visivo che l’autore di Scum porterà alle estreme conseguenze proprio all’interno delle logiche produttive televisive, rinnovandone linguaggio e possibilità.

Il punto di vista qui viene delineato in modo rigoroso e spesso ellittico, secondo alcuni principi del noir Hitchcockiano filtrati dalla filmografia Hammer, dove la relazione tra oggetti e corpi, fuori campo e sguardo, viene descritta per caricare al massimo il senso di minaccia e di tensione.
Ebony è un anti-eroe Hitchcockiano, di quelli a cui nessuno crede tranne lo spettatore e allo stesso tempo, recita le parti dell’eroe, nel senso di un noto assunto Benjaminiano legato ad una delle tante definizioni della postmodernità, dove ogni simulazione svela uno spazio vacante.
Ebony non potrà esercitare il suo ruolo e come un altro professore, il John Grant di Wake in Fright, altro film fondamentale del 1971 sullo scontro traumatico tra culture e territori, sarà costretto a cedere alle regole del luogo, mutando lentamente prospettiva e assumendo su di se le responsabilità interiori di una condotta corrotta.
Tutte le sequenze in cui fa da tramite ai ragazzi per le scommesse, tra scambi clandestini di denaro e sguardi fugaci negli spogliatoi, descrivono anche la mutazione di una coscienza in lotta con le proprie pulsioni. La mascolinità tossica e cameratesca cela una dimensione omoerotica fortissima che Mackenzie ci mostra come forza centripeta indicibile, puntando alla rappresentazione dei corpi spiati, alle allusioni periferiche dello sguardo, all’improvviso scontro fisico che a un certo punto per Ebony diventa desiderio e sogno più pregnante di un amplesso condiviso con la moglie. La distanza con il corpo e le sollecitazioni di Silvia sono infatti la conseguenza più evidente di una crisi matrimoniale che fa da sfondo all’intero film, un processo di agnizione che deflagra nella dimensione quasi insulare del luogo.

Il climax di questa dissoluzione del sogno coniugale, come in Straw Dogs, è la violentissima sequenza del tentato stupro di gruppo. L’ingenuità del personaggio interpretato da una splendida Carolyn Seymour, corrisponde alla sua stessa libertà rispetto agli schemi sociali di conservazione del potere ed è per questo che la fiducia di Silvia nel patto sociale, entra in cortocircuito con la gestione maschile dello sguardo.
Messo in scena nella palestra dell’istituto, il rituale dello stupro bilancia la violenza improvvisa della camera a mano con il disorientamento generato dalle luci puntate sul corpo di Silvia Ebony. Un momento di brutale efficacia espressionista che si deve anche al talento di Unsworth.

Il corpo appunto, bottino di guerra di un sistema di potere regolato su logiche di sopraffazione, è l’unico linguaggio che il branco può comprendere, dove la minaccia sostituisce ogni possibilità di trattativa rispetto all’imposizione delle logiche istintuali.
Al personaggio di Silvia viene assegnata tutta quella forza di volontà che manca al professore, attraverso un rifiuto che prende improvvisamente il controllo del set, rovescia le prospettive belliche del branco e ci mostra tutto l’orrore di quello spazio, campo di battaglia improvvisamente denudato.
La palestra vuota, dopo la fuga dei ragazzi, riempita solamente dal pianto isolato di Silvia, racchiude tutto il senso di un racconto di disillusione che sarà recuperato nel 1972 per uno dei film più belli di Jimmy Sangster e in assoluto della Hammer, quel Fear in the night che deve moltissimo ad Unman, Wittering and Zigo e che gioca con gli spazi vuoti dell’edificio educativo con grande capacità combinatoria, rileggendo le intuizioni disgiuntive tra suono e immagine delle nuove onde cinematografiche, alla luce del cinema di genere.

E sul vuoto e l’assenza è fondato quindi il film di Mackenzie, a partire dall’ultimo nome nella triade dell’appello scolastico suggerita dal titolo. Zigo, identità assente, soggetto vacante ormai espulso dall’organismo che regola il potere e la sopravvivenza del gruppo. Sulla relazione tra la scomparsa di Pelham, il precedente insegnante e l’immaginata leadership della sezione Lower-B è incentrata la detection impossibile di Ebony. Trovare un responsabile che dia corpo alle forme immateriali del potere.
E il corpo sfugge, viene soppresso, ucciso più di una volta, assimilato alla definizione di un racconto condiviso, riscritto ogni volta per ragioni di conservazione.
Se il gruppo si ritiene responsabile della morte di Pelham, rivelando solo ad Ebony le fasi dell’omicidio, lo scopo è strettamente legato al mantenimento delle regole di potere attraverso l’intimidazione. L’assunzione di responsabilità eccede la rivelazione stessa e diventa collettiva dal momento in cui è la stessa presidenza a declassarne l’importanza, invitando a concentrarsi su altro. L’autorità è figlia dell’obbedienza e il motto che l’autorità scolastica introduce durante la prima visita di Ebony nei locali dell’istituto, principio fondativo di tutte le società repressive basate sulla violenza.

Rispetto alla dialettica di Golding che rende visibili i segni del potere attraverso l’impiego di precisi oggetti simbolici nello scontro traumatico tra democrazia e nascita di un possibile regime, Unman, Wittering and Zigo è già all’interno dell’autocrazia dove l’esercizio dell’autorità è un arcanum sottratto alla vista. La contraddizione flagrante è allora quella tra eguaglianza formale e sostanziale, che consente l’incorporazione accettata del fascismo nel cuore del sistema educativo democratico.

Chi è allora Zigo? Chi è davvero Zigo, la cui assenza risuona in modo recursivo per tutto il film durante il rituale dell’appello? Un chiaccherone vacuo come Wittering, il cui nome, tradotto letteralmente, ha proprio quel significato? Un corpo estraneo disintegrato dalla virilità unificante del gruppo? Un nome di fantasia per sottolineare l’espulsione di ogni alterità? L’enigma di un potere Unman, cioè che ha dismesso ogni componente umano-razionale? Semplicemente l’ultimo della lista fino a quel momento?

Su quel vuoto il personaggio interpretato da Hemmings insiste fino a negare la sostanza della sua relazione coniugale e della sua identità sociale. Viene allora assorbito progressivamente da quel sistema basato sulla conservazione di un potere istintuale a conduzione maschile. Si ubriacherà con i colleghi fino a tarda notte, leggerà indifferente il giornale mentre il povero Wittering sarà brutalizzato dai compagni durante l’ora di lezione ed infine, proprio quando quest’ultimo diventerà il nuovo corpo assente, sancirà un patto di fratellanza con il branco. Il ritratto di un uomo medio in fondo, che ha imparato ad incorporare il monopolio della forza.

L’espulsione di Silvia dall’orizzonte maschile condiviso è allora definitiva.
Il personaggio interpretato da Carolyn Seymour, condivide la stessa solitudine con la Susan George di Straw Dogs e la Judy Geeson di Fear in the Night. Tutte e tre diventano testimoni della disgregazione di un sogno dove il recinto della protezione coniugale viene infranto. Rispetto allo spaesamento di Peggy e Amy, Silvia cerca di determinare il proprio spazio in aperto contrasto con le prospettive del marito, mentre riesce ad esercitare un rifiuto più vicino alla capacità delle figure femminili carpenteriane di ribaltare la soggettiva omicida e afferrare il controllo del punto di vista.
In una realtà sociale così configurata, l’unica possibilità è infine l’uscita di scena.

Nella desolata configurazione militare del corteo funebre che conclude il film, Mackenzie restituisce una delle immagini più chiare e allo stesso tempo ambigue sulla trasmissione ereditaria del potere.
Quelle cattedre inchiodate al soffitto nei sogni immaginali della rivoluzione, hanno ormai incorporato tutte le gradazioni della violenza utili alla formazione della nuova classe dirigente.

La marcia funebre è in realtà un motivo squisitamente marziale e la morte solo un fantasma.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi

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