David Byrne – live a Fiesole, Anfiteatro Romano – 18-07-2009

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Messi da parte i tropicalismi più evidenti e con una manciata di nuovi brani elaborati insieme a Brian Eno nel nuovo e a mio avviso sbilanciato Everything That Happens Will Happen Today, David Byrne si presenta sul palco con una formazione ridotta all’osso tra Chic e l’elettricità graffiante à la The Name of this band is talking heads facendoci intendere in meno di quindici minuti perchè un live di questo tipo funziona meglio dei giochi di prestigio degli Yeasayer (qui, su IE)
Tre coristi, Paul Frazier al basso, Mauro Refosco alle percussioni, Graham Hawthorne alla batteria, Mark Degli Antoni alle tastiere, la splendida Lili Baldwin alle danze seguita da Natalie Kuhn e Steven Reker, sferrano un attacco funk secco e coinvolgente rivitalizzando i brani migliori dell’ultima produzione  Byrne e sciorinando in percentuale superiore il repertorio Talking Heads che sognavamo di ascoltare, soprattutto con questo approccio e con questo suono.

La schizofrenia di Byrne rimane sullo sfondo e si riverbera nei corpi dei ballerini; poteva rappresentare un rischio o un semplice fattore di ridondanza, in realtà il movimento dei corpi è geometrico e spontaneo allo stesso tempo, allude in parte ai disegni nevrotici di La la la Human steps, ma li dissolve in un gioco grottesco e scombinato, tanto che i primi a divertirsi e a integrarsi con il tessuto musicale sono proprio loro.

Il pubblico dell’Anfiteatro Romano di Fiesole, uno degli spazi più belli e naturalmente funzionali nei dintorni di Firenze, per Byrne praticamente gremito,  è parte di quest’onda; in un luogo abituato ad una compostezza formale e istituzionale, il via libera di Byrne a scattar foto e a ballare suona come l’invito ad un baccanale. I Zimbra è una delle prime avvisaglie, dopo di che la memoria ferma una dirompente House in Motion, lo straziante lirismo di Heaven, un’incendiaria Born Under Punches e l’esecuzione rigorosissima di Once in A lifetime. Sulla via della conclusione e nelle tre uscite extra arriva il gospel di Take Me to the river quello sporcato di country di Road to nowhere e una versione esilarante e ventricolare di Burning Down the house. Fuori dal peso della sperimentazione, la capacità di Byrne di sintetizzare musica e performance si è fatta più semplice e diretta, a dispetto di chi ama masturbarsi invece di partecipare ad una liberatoria orgia collettiva. Imperdibile.