Egokid – Ecce Homo (Novunque, 2011)

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Sarebbe facile liquidare il gruppo guidato da Diego Palazzo e Piergiorgio Pardo come degli emuli dei Baustelle: facile e sbagliato, aggiungerei. Se è vero, infatti, che in un paio di episodi la vocalità e le ritmiche veloci e sbarazzine possono ricordare la band capitanata da Bianconi (mi riferisco a L’uomo qualunque e Con stile), il resto di Ecce Homo è fatto di altra pasta e altri riferimenti: in primis, al migliore pop di matrice anglosassone uscito nei primi anni 90, parlo di gente come Blur (assolutamente micidiale Ragazze+Ragazzi, adattamento da Girls & Boys) e i Pulp dei felici tempi di Different Class, aleggianti, con la loro gaia decadenza, su tutte le composizioni dell’album. Ed ancora, la solarità malinconica dei nostrani anni 60 (Mina, Tenco), compressi, pressurizzati in una sensibilità ultra-pop maledettamente catchy, che vi conquisterà al primo ascolto. Ma non è finita qui, perchè gli Egokid sono capaci anche di mettere il naso in sperimentalismi elettro wave dal taglio discretamente autoriale, come nel caso di Non si uccidono così anche i cavalli? (con la presenza di Fausto Rossi). Dicevamo poc’anzi degli anni 60: sono sicuro che se Mina sentisse Sirene non potrebbe esimersi dal farla sua; brano struggente come pochi, da carta vetrata sul cuore. È questo, forse, l’acme di Ecce Homo, insieme all’altro numero dal refrain killer (Una vita) e da Credo, zeppa com’è di nostalgie post- Ivan Graziani. Ulteriore valore aggiunto è l’apparato testuale, amare e sarcastiche riflessioni su religione e miserie italiche ( la già citata Credo e Parabole, la sorprendentemente attuale L’uomo qualunque), richiami romantici a letture giovanili (Come un eroe della Marvel), sofferte considerazioni su rapporti troppo complicati (Non mi hai fatto male). Un disco che esprime una raggiunta e felice maturità: con esso gli Egokid si candidano ad essere uno dei gruppi più rappresentativi della scena rock-pop nazionale.