sabato, Aprile 27, 2024

A mon seul désir di Lucie Borleateau: recensione

Racconto promiscuo di formazione erotica, A mon seul désir è il nuovo film della francese Lucie Borleateau. Lo strip club, campo minato dal dibattito femminista, diventa luogo di consapevolezza. Il fuoco è quello del proprio piacere. Visto e visionabile online per la nuova edizione di MyFrench Film Festival 2024.

La mobilità e la fluidità del desiderio è un aspetto centrale nel cinema di Lucie Borleateau. Interessata ai personaggi femminili raccontati nell’attraversamento di spazi non convenzionali, riesce ad individuare derive ed eccedenze positive rispetto alla dimensione concentrazionaria dello spazio domestico e famigliare. Il precedente Chanson Douce era il doppio negativo e distruttivo della promiscuità libera e creativa che caratterizzava l’odissea di Alice nel suo primo lungometraggio, ed è appunto l’unico film della regista francese che penetra a fondo le dinamiche della famiglia nucleare, per mostrarne tutto l’orrore intrinseco.

Torna quindi a promuovere la leggerezza e l’impermanenza dei sentimenti, scegliendo l’ecologia di uno strip-club come luogo elettivo per descrivere la riappropriazione degli sguardi, dei corpi e dei desideri femminili. Un campo minato, al centro del dibattito femminista e che tra ostilità militante e difesa di uno spazio liminale fuori dai codici normativi della morale, include questioni sociali legate alla sicurezza sul lavoro, allo sfruttamento dei corpi, alla sindacalizzazione dei sex workers, ma anche alle modalità con cui la percezione di genere riesca o meno a svelare le strutture culturalmente orientate dello sguardo dominante.

Borleateau sacrifica coraggiosamente il rigore monastico di tutti questi aspetti e ne incendia la materia con il fuoco dell’edonismo. Entra nello spazio teatrale di un burlesque creativo attraverso lo sguardo di una nuova Alice, mentre si lascia alle spalle le delusioni del mondo universitario, l’ipotesi tradizionale di famiglia e affronta la conoscenza del proprio corpo e del proprio desiderio insieme ad un eterogeneo gruppo di sorelle nel piacere. Insieme alla co-sceneggiatrice Clara Bourreau si fa ispirare dal sesto arazzo del ciclo fiammingo de “La dama e l’unicorno”, da cui desumono il titolo del film e il nome del club.

A mon seul désir, fuoco ardente che assimila la qualità di tutti i piaceri al sesto senso, potere soggettivo innato, ma anche forza generatrice capace di creare una connessione amorosa con il mondo.
Tra tutte le interpretazioni possibili, quella delle due autrici si avvicina maggiormente alla rielaborazione di Tracy Chevalier nella descrizione di un percorso di consapevolezza.

Le quinte del drappeggio da cui esce la dama vengono svelate come l’interno di una capanna destinata alle ritualità di passaggio, tanto da determinare un nuovo asse del mondo proprio a partire dalla riacquisizione del proprio sguardo su se stessi.
Nel gioco di specchi che anticipa gli show mentre le ragazze si guardano, si preparano, rielaborano ogni sera se stesse e in quello rimesso in circolo dalle videocamere a circuito chiuso che separano il teatrino principale dal Parlor, la prospettiva non articola la significazione dello sguardo maschile, questo perché Borleateau sovverte i codici del potere, determinando lo svolgimento dei piccoli racconti incorporati sulla scena attraverso il punto di vista di questa piccola comunità femminile. I volti maschili nell’ombra, colti nelle loro fragilità e insicurezze, rimangono impotenti in balia di un’energia erotica fortemente soggettivizzata, che non scende mai a patti con la dimensione oggettuale del contatto.

Cambia anche la morfologia dello spazio controllato dal voyeur, sostituito da una ribollente fisicità che non può essere arginata né assoggettata.

Su questi aspetti Borleateau è chiarissima e sostituisce la teoria con il piacere vissuto, il moralismo con una promiscuità liberatoria e libertaria, il pericolo del giudizio con una rappresentazione acuminata della fedeltà coniugale, quella sì, luogo di violenza, coercizione e controllo dei corpi.

Il teatro erotico inteso come massima espressione dei limiti soggettivi entro cui rappresentare corpi e desideri, a dispetto delle dimensioni ridotte, diventa uno spazio-mondo capace di indicarci le vie per godere e godersi, comprendersi e confessare le proprie fragilità all’interno di un ventre familistico espanso e allargato.

E se le figure maschili sembrano irrimediabilmente confinate nello spazio della meraviglia “cortese”, inebetite da apparizioni meravigliose, forme della fantasia così vicine eppure virtualmente fantasmatiche e intangibili, A mon seul désir sembra offrire una risposta non riconciliata alle forme diffuse di scopofilia virtuale.

I colori accesi e a tratti brutali della fotografia curata da Alexis Kavyrchine, insieme ad una regia che evidenzia il contatto e la diversità tra corpi, rilancia un’idea di teatro e di spettacolo come generatore di empatia. A mon seul désir allora si avvicina molto alle prospettive di Reese Piper, la scrittrice che più di altre ha lavorato per la decriminalizzazione del sex work e le possibili connessioni tra questo e il mondo delle disabilità. Lo strip Club, per entrambe le autrici, è un luogo che trascende i limiti di classe, mette al centro la gioia e l’espressione senza limiti della propria soggettività, consente di costruire nuove e insospettabili reti relazionali, fuori dalle anguste pareti domestiche del possesso.
Tra le luci e i suoni della disco-pop più erotica e avvolgente, Borleateau conferma la sua propensione per un cinema confessionale e amorale, che insegue la leggerezza come se fosse un Rohmer più obliquo, trasversale e impudico oppure un Paul Vecchiali deprivato dalle straordinarie aporie del Melò.
Il suo è un registro più lieve che all’apparente persistenza del dolore nelle nostre vite, preferisce con decisa forza amorale, l’esplosione di una gioiosa ricerca del piacere.

Puoi Vedere “A mon seul désir” sul sito ufficiale di MyFrench Film Festival, creando un account e scegliendo il tuo film attraverso una delle piattaforme italiane che aderiscono alla diffusione del festival. I film sono sottotitolati anche in lingua italiana


A mon seul désir di Lucie Borleateau (Francia 2023)
Cast: Zita Hanrot, Louise Chevillotte, Laure Giappiconi, Pedro Casablanc, Sième Miladi, Yuliya Abiss, Tokou Bogui, Céline Fuhrer, Sipan Mouradian, Thimotée Robart
Sceneggiatura: Lucie Borleateau – Clara Bourreau – Laure Giappiconi
Montaggio: Clémence Diard

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi

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