Baby Dee – la fotointervista in esclusiva; Londra, 13 Marzo 2011

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Da certi artisti non sai davvero cosa aspettarti. Cerchi di pensare alle domande giuste da fare, ma hai la sensazione che ogni domanda specifica risulti restrittiva e che non ci siano dinamiche promozionali che tengano: finirà comunque per prevalere la loro personalità imprevedibile e il loro carisma. È proprio il caso di questa domenica londinese di pioggia in cui ad aspettarci non molto lontano da Camden Town è Baby Dee, artista poliedrica e per definizione fuori dal comune che, entrata da relativamente poco nel mondo discografico, ha accumulato nel tempo le esperienze di vita e d’arte più disparate, tutte condensate e generosamente offerte all’ascoltatore nella sua musica. Classe 1953, originaria di Cleveland, Ohio, dove ancora adesso vive dopo molto peregrinare, Dee è passata da ritrattista a musicista, dal conservatorio lasciato a metà strada a direttore musicale di una grande chiesa cattolica della sua città. Poi la transizione all’altro sesso, il trasferimento a New York e le performance di strada, l’”arruolamento” come finto ermafrodita del Coney Island Circus sideshow e gli spettacoli nei club gay della grande mela, l’incontro con Antony e via via l’intensificarsi di collaborazioni e concerti con Current 93, Dresden Dolls e un plotone di altri artisti diversissimi tra loro. La scrittura, intensificatasi dopo un primo ritorno nella città natale in concomitanza con un fallimentare tentativo di lavorare come potatrice d’alberi, si è rivelata per Dee il luogo ideale per esprimersi, accompagnata dai suoi due strumenti d’elezione, il piano e l’arpa. Contro chi persiste nel decifrare i suoi lavori accostandoli alle fortunate collaborazioni con grandi artisti con cui ha avuto modo di misurarsi, Dee a partire dal suo primo disco Little Window (2000) all’ultimissimo Regifted Light (N.D.R. recensito da questa parte su indie-eye network) uscito per Drag City, ha saputo costruire uno stile riconoscibile e inevitabilmente personale, che riesce magistralmente a unire una sensibilità e una visceralità sopraffine a una vena comica, spesso grottesca, di estrema godibilità. Abbiamo chiacchierato con Dee nella lounge di un elegante hotel, affiancati da un austero pianoforte a coda: in barba a un brutto raffreddore ci ha accolti con estrema gentilezza e con tanta voglia di raccontarsi.
Come stai, Dee?

Malata.

Impossibile non ammalarsi con questo clima e in questa città!

Già. I raffreddori non sono mai gli stessi una volta che hai avuto la polmonite. L’anno scorso in questo periodo l’ho avuta e per altro ho dovuto cancellare delle date proprio in Italia. Da allora la polmonite non mi ha lasciato per… beh, diciamo che ne ho sentito gli effetti fino allo scorso Settembre. Quando ti capita poi ogni volta che prendi il raffreddore temi sempre il peggio!

Stasera suoni al concerto di Marc Almond qui a Londra. Suonerai l’arpa?

Sì, l’arpa e la fisarmonica. Aprirò il concerto con un paio di canzoni mie e poi mi unirò agli altri suonando l’arpa e la fisarmonica in alcuni pezzi. Membro della band e amica di famiglia!

Un peccato non esserci. Per altro è un evento molto atteso, è andato sold out in pochissimo…

Esatto. Non è andato solo sold out, ma over-sold out! Per altro Marc darà gli incassi di questi due concerti in favore del teatro [Wilton’s Music Hall], che è davvero davvero bello.

È anche piuttosto antico se non sbaglio.

Assolutamente, è la più antica music hall di Londra. E un bellissimo posto in cui suonare.

E lunedì uscirà il tuo nuovo album, Regifted Light. Un binomio perfetto, direi.

Sì, ne sono molto felice.

L’album è decisamente incentrato sul pianoforte, l’adorato Steinway D che hai in casa a Cleveland. È il tuo strumento preferito in assoluto, vero?

Lo è eccome. Non capita spesso di poter vivere con un pianoforte del genere in casa. Negli ultimi tre anni sono stata ossessionata da quel piano, è così maestoso. È stato molto divertente mettere insieme i pezzi. Tutti coloro che hanno collaborato hanno detto la stessa cosa, che è stata l’esperienza più divertente che avessero mai avuto in una session di registrazione. È stato tutto molto spontaneo, non abbiamo mai suonato più di una volta un pezzo, né abbiamo riascoltato di continuo le registrazioni per assicurarci che andassero bene. Al massimo abbiamo risuonato due volte la stessa porzione di brano. Andrew W.K. si è occupato di tutta la parte di editing e di mixing dell’album ed è davvero un maestro nel farlo. È sempre stato presente e appena sentiva qualcosa che secondo lui poteva funzionare la fissava, rendendo il procedimento nel complesso molto facile. È stato tutto spontaneo e vivo, oltre che divertente. Abbiamo registrato tutto in tre giornate, a casa mia; era tutto coperto di neve fuori, ci portavamo cibo e alcolici dentro… davvero delizioso.