venerdì, Dicembre 6, 2024

Thanatomorphose, il gore-hardcore di Eric Falardeau in Blu Ray: approfondimento

Il cult di Eric Falardeau in una versione Blu Ray pubblicata da Tetrovideo insieme a buona parte della filmografia "corta" del regista canadese. Thanatomorphose rimane a tutt'oggi il suo unico lungometraggio ed è un'avventura visiva infernale e liberatoria. L'approfondimento e la recensione di tutti i contenuti speciali

Thanatomorphose, il Blu Ray Tetrovideo con quasi tutto il cinema di Eric Falardeau

Tetrovideo, label apolide britannica, pubblica in Blu Ray una bella edizione di Thanatomophose, il lungometraggio d’esordio del canadese Eric Falardeau, che a partire dal 2012 aveva fatto il giro dei festival specializzati con questa fantasia porno-gore estrema, memore solo in parte del cinema underground di Jörg Buttgereit.

L’edizione Tetrovideo è un full HD 1:85:1 con Audio Inglese 2.0 e sottotitoli anche in lingua italiana, oltre a quelli in lingua spagnola, francese e tedesca, piccolo grande segno della cura di Tetrovideo nel proporsi ad una fetta di mercato internazionale.

Oltre al film, più di un’ora e quaranta di materiale extra, che esaminiamo più avanti in questo articolo di approfondimento e che tra le altre cose contiene buona parte dei cortometraggi e dei videoclip realizzati dal regista quebechiano dal 2006 al 2020. Consigliatissimo.

Il film è disponibile nelle versioni Thanatomorphose Blu Ray Standard, la cui confezione è un semplice amaray e Thanatomorphose ultralimited, costituito da un combo due dischi Blu Ray + DVD contenuto in un bel bookbox. I contenuti speciali sono gli stessi.

Thanatomorphose, artwork del Blu Ray Standard pubblicato da Tetrovideo

Eric Falardeau, gore vs. hardcore

Eric Falardeau si è laureato in “film studies” presso l’università di Montreal, con una tesi sui fluidi corporei nel cinema porno e gore; una ricerca, come ha avuto modo di raccontare in alcune interviste, che ha ispirato la scrittura di Thanatomorphose, concepito lungo un ampio percorso di gestazione, mentre concludeva i suoi studi e girava una serie di cortometraggi, diffusi attraverso numerosi festival internazionali. Alcuni di questi anticipano in forma sperimentale temi e ossessioni che costituiranno l’ossatura del primo lungometraggio.

Le petite mort per esempio, contenuto tra gli extra del Blu Ray Tetrovideo e introdotto originariamente dalla frase promozionale “Une femme. Un homme. Une lame. La mort est-elle orgasmique?“, simula l’amplesso tra un uomo e una donna sostituendo alla penetrazione, una serie di coltellate al basso ventre. Falardeau ringrazia Dario Argento nei titoli di coda e indaga la relazione tra morte e sessualità che subirà un altro tipo di trattamento teorico, meno semplificato, nel racconto di abiezione che anima Thanatomorphose.

Thanatomorphose, da Kierkegaard alla Guild of Funerary Violinists

Kayden Rose è Laura, un’artista contemporanea in crisi. La sua vita sembra chiusa tra le mura dell’appartamento dove vive. Ad animare le sue giornat, la relazione con Antoine, basata quasi esclusivamente sul sesso.

Falardeau introduce questo aspetto un attimo prima dei titoli di testa, filmando un amplesso in dettaglio e con ossessività porno, servendosi di alcune immagini dalla qualità termografica, e di una colonna sonora a metà tra electro-house e le frequenze disturbanti di un rumore bianco. Queste immagini torneranno un paio di volte, ma in questa posizione contrastano in modo evidente l’introduzione del primo dei tre capitoli in cui è suddiviso il film, intitolato “Despair“.

Il commento musicale è affidato agli archi della “Guild of Funerary Violinists“, ensamble di ricerca che recupera suoni e composizioni sviluppate intorno ai Violinisti Funerari a partire dalla fine del 1600; una scelta certamente non casuale che divide in capitoli la discesa agli inferi di Laura attraverso veri e propri interludi meditativi sul senso della morte.

I Violinisti Funerari, nati principalmente in seno alla cultura protestante, sostituivano le funzioni di intercessione con la dimensione extrasensibile, ricercando un suono rituale che potesse riempire il senso di vuoto spirituale che invade l’animo umano di fronte alla morte. La struttura tripartita del film (“despair” , “another” ,  “oneself” ) è infatti direttamente ispirata a “Sygdommen til Døden” di Søren Kierkegaard. “La Malattia per la morte” non è semplicemente la dissoluzione biologica, ma la distruzione della vita e dello spirito, per Kierkegaard stesso la malattia per la morte è la disperazione.

Organico, orgasmico

Laura Lavora ad una strana scultura, una testa fatta di resine e materiale probabilmente organico, è una creatura che protegge con una serie di bende e che rappresenta in qualche modo il suo impasse creativo. Durante una festicciola tra amici incontra Julian, un ragazzo con una sensibilità diversa da quella di Antoine, con lui, sempre nel teatro del suo piccolo appartamento, c’è un fugace scambio affettivo. Ma ciò che spinge verso il basso l’esistenza di Laura è qualcosa di inesorabile. Quasi fosse quello di Marina De Van in Dans ma peau, il suo corpo comincia a coprirsi di ecchimosi, escoriazioni, lividi sempre più visibili, e la carne comincia a marcire dall’interno. Eric Falardeau avvicina spesso il processo di decomposizione all’orgasmo, tanto che la fragilità dei tessuti di Laura, spesso è associata ai momenti di masturbazione, moltissimi durante il film, e legati ad una necessità che supera e va oltre il declino biologico.

Quando Julian tornerà a casa di Laura, troverà un corpo ricoperto da larve e da mosche, il cui ronzio viene trasformato in una presenza disturbante e tridimensionale dal sound design di Paul Hébert, attento ad accompagnare tutte le mutazioni con un vero e proprio suono della putrescenza. Il rifiuto di Julian verrà ostacolato da Laura con una fellatio, una performance che a Falardeau interessa dal punto di vista dei fluidi, massa da vomitare, come tutti i liquidi e i solidi alimentari che il suo corpo non riesce più ad assimilare. La forma di nutrimento reciproco che è il sesso orale, viene sovvertita da Falardeau in un’immagine mortifera e quindi per niente ipocrita della pornografia, “piccola morte” il cui livello estremo di rappresentabilità oltre il rappresentabile, diventa la “malattia per la morte” dell’immagine contemporanea.

Cinema orgogliosamente prostetico

Con il lavoro massivo sulla prostetica curato da David Scherer e Rémy Couture, Falardeau si avvicina in parte al gore degli ottanta e in particolare al cinema di Jörg Buttgereit, dal quale riprende alcune tecniche di mutazione “a vista” derivate dal cinema d’animazione, ma anche la relazione stretta tra pornografia e morte.

Ma rispetto all’humor del regista Berlinese, Falardeau sceglie una via più disperata, interessato com’è alla trasformazione tanatologica. Thanatomorphose è un film estremo sul concetto di mutazione e non contiene nessuna distrazione dello sguardo se non quella che possa riferirsi alla percezione di un organismo vivo che si decompone lentamente dall’interno. Quando Laura comincerà a perdere le unghie, a contemplare lo sfaldamento delle dita, a defecare materiale organico, ad esplorare la materia cerebrale con un dito, mentre le ossa craniche si sono appena spaccate, cercherà di adattarsi a questo nuovo stato, fotografando il processo e catalogandolo,  rafforzando gli arti con alcune bende, smontando la sua opera d’arte fatta di resina per innestarne alcuni pezzi nel suo corpo, come per esempio alcune unghie artificiali, quasi a suggerire una relazione diretta tra il suo corpo e quel pezzo d’arte di cui ha curato la creazione, in uno scambio molto meno lirico e più strettamente funzionale rispetto al transfert che Nacho Cerdà filma nel suo Genesis.

Thanatomorphose è un film disturbante ed ossessivo, anche nel suo recupero “archeologico” di un cinema che si faceva più di vent’anni fa, perché riduce le funzioni dell’occhio all’osservazione vitrea e impotente di un processo inesorabilmente organico. Gli unici appigli esistenzialisti, li si possono scorgere nel riverbero di questa mutazione sull’architettura dell’appartamento, con quelle crepe sul soffitto che sembrano vagine marcite o come avevamo accennato, attraverso l’utilizzo della musica dei Violinisti Funerari che accompagna l’isolazionismo estremo di Laura. Sono leggeri accenni simbolici di un trattato sulla disperazione, che saranno presto annientati dal grido terribile e grottesco di uno scheletro in frantumi.

I cortometraggi di Eric Falardeau e gli extra del Blu Ray Tetrovideo

L’edizione Tetrovideo di Thanotomorphose è corredata di ben 104 minuti di materiale aggiuntivo, utilissimo per comprendere il percorso creativo del regista canadese.

In testa un making of di 24 minuti che consente di avvicinare il suo artigianato estremo e il lavoro di trasformazione fatto sul corpo e sul volto di Kayden Rose.
Segue un breve Q&A di tre minuti filmato al prestigioso festival di Sitges nel 2012.

Dopo il trailer ufficiale e un teaser, vengono proposti in sequenza una selezione dei cortometraggi realizzati da Eric Falardeau tra il 2006 fino al 2020. Thanatomorphose, uscito nel 2012 è a tutt’oggi l’unico lungometraggio del regista canadese e i corti selezionati da Tetrovideo, consentono di comprenderne i presupposti di partenza e quelli di approdo.

Crepuscule (2011) introduce la selezione ed è un esperimento estremo di puppet animation di circa nove minuti. Ispirato al butō giapponese, costruisce un mondo creaturale apparentemente mostruoso, ma in perfetto equilibrio biologico. Un eden rovesciato dove la conoscenza carnale attivata dalla presenza estranea di una coppia funzionerà come catalizzatore distruttivo e rigenerativo. La dedica a Kazuo Ohno rivela una dimensione spirituale raramente individuata nel cinema di Falardeau e allo stesso tempo una relazione tra corpo, natura e spirito, anti apologetica.

Crepuscule, di Eric Falardeau

Le Cycle (2008) è uno dei primi corti di Falardeau, presentato al Festival di Clermond Ferrand. Realizzato in video a definizione bassissima sfrutta il topos della foresta come luogo di incontro del doppio e dell’altro da se.

La foresta, luogo dove emergono anche le creature di Crepuscule, è al centro di The Forest, recente videoclip (2020) realizzato per la band quebechiana The SerVant, costituita dallo stesso Éric Falardeau, dal fratello Daniel e da Samuel Chouinard. L’animazione torna ad essere un elemento centrale in termini tecnici ed espressivi, per quanto riguarda la relazione con i corpi e con la materia, ma a differenza dello stop motion e della puppet animation, tutto viene realizzato in cut-out, recuperando lo spirito di ombre e luci vicino a certo immaginario protocinematografico.

The Fores, di Eric Falardeau

La petit mort (2006), primo corto di Falardeau, come abbiamo già scritto è un omaggio a Dario Argento. Isola infatti la pulsione omicida che attraversa alcuni aspetti dell’immaginario argentiano, taducendola esplicitamente verso la dimensione brutale e necessaria dell’amplesso; tanto semplice quanto efficace e positivamente “sgarbato”.

La Petite Mort, di Eric Falardeau

Pulpo Pulquero è il secondo videoclip scelto da Tetrovideo, tra quelli realizzati dal regista canadese. Il video è stato prodotto nel 2019 per il primo singolo di R41ÑB0W TR4$H, musicista e atipico sound designer concittadino di Falardeau. Artefice di una techno surreale che tende verso i suoni a 8bit, produce i propri strumenti modificando giocattoli obsoleti e cortocircuitando il Nintendo Game Boy con suoni organici, synths, Theremin. Un tappeto sonoro che Falardeau utilizza per elaborare un vero e proprio esercizio di internet-art dove agli artefatti della cultura digitale dismessa un paio di decenni fa, contrappone una divertente e divertita passione per le creature mostruose, tanto da sfondare la quarta parete virtuale con il suo personale teatro creaturale.

Pulpo Pulquero, di Eric Falardeau

Purgatory è un balzo indietro agli esordi; realizzato nel 2006 in video a bassa definizione è una dissertazione sul dolore e sui limiti del corpo che contiene già in nuce alcuni elementi di Thanatomorphose.

Chiude la selezione Tetrovideo Coming Home, il lavoro più lungo tra i corti di Falardeau (20 min), realizzato nel 2008, acerba ispirazione Shakespeariana che elaborerà in modo più estremo con il suo primo lungometraggio

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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