mercoledì, Aprile 24, 2024

Il buco di Michelangelo Frammartino: recensione, #Venezia78 – Concorso

Il buco prosegue il discorso de "Le quattro volte", continuando ad elaborare un cinema di enorme fascino. Sul nuovo ipnotico film di Michelangelo Frammartino in concorso a #Venezia78

Come si può parlare di un film come Il buco? Un film fatto di immagini e di suoni che non vogliono raccontare ma avvolgere lo spettatore, coinvolgerlo in un mondo naturale antico, materico, ieratico.

Michelangelo Frammartino segue due fili: la vita di un pastore calabrese e la prima esplorazione dell’abisso del Bifurto, una delle grotte più profonde del mondo. Siamo in pieno boom economico, l’unica televisione nel paesino di Cerchiara trasmette un servizio sul grattacielo Pirelli, da poco inaugurato. Ma fuori dal paese accade qualcosa di speculare. Un gruppo di giovani speleologi si immerge negli abissi rocciosi della grotta, sprofondando lentamente, giorno dopo giorno, metro dopo metro, fino al suo fondo. Il montaggio alterna questa avventura alle ultime settimane di vita di un pastore nella sua baracca alle pendici della montagna dove ogni giorno, all’alba, porta il bestiame al pascolo.

Ci sono metafore evidenti nel parallelo tra la discesa nelle viscere della Terra e la perdita della vita, come si può facilmente pontificare sul contrasto esplicito tra l’entroterra calabro e la moderna Milano del Pirellone. Eppure sarebbe scorretto nei confronti del film.
Il precedente lungometraggio di Frammartino risaliva addirittura a dieci anni fa, quando aveva realizzato Le quattro volte, sempre ambientato nel mondo rurale della Calabria.

Il buco, nonostante il tanto tempo passato, continua da dove Le quattro volte aveva lasciato, continuando ad elaborare un cinema di enorme fascino. Le inquadrature sono poche, fisse, quasi sempre prive di un punto focale; sta agli spettatori decidere dove muovere gli occhi nei tanti secondi che ogni immagine ha a disposizione. Si alternano fotogrammi luminosi brulicanti di vita, dove in ogni angolo si trova un essere umano o un animale o una pianta, ad altri fatti solo di buio da cui emergono frammenti di roccia tra i quali vediamo strisciare gli esploratori.

Frammartino lavora molto e bene anche sul sonoro, sui suoni delle montagne e della grotta, sugli echi, sui versi degli animali, sulle pozze d’acqua, sui richiami del pastore, sui respiri, sul vento. Ogni rumore è un pezzetto di una partitura sonora scritta sul silenzio, un silenzio che forse non c’è mai ma è sempre presente sullo sfondo di questo mondo quasi preistorico.

Frammartino si conferma come un grande metteur en scène della natura, dove per natura non si intende solo l’ambiente naturale, ma tutta la realtà di cui l’uomo fa parte e che contiene ogni cosa e il suo contrario, dalla vita alla morte.

Vedere Il buco è un’esperienza, tanto che forse sarebbe più corretto dire che è un film da guardare. Non perché sia un film estetizzante, ma perché chiede agli spettatori di viverlo dall’interno. Può essere sfiancante, soprattutto per chi è abituato solo al cinema narrativo più tradizionale, perché Il buco chiede al suo pubblico di partecipare “vivendo” ogni inquadratura.

Se si decide di farlo, di porre il proprio sguardo sullo schermo come se lo schermo fosse una piccola porzione del mondo attorno a noi, può rivelarsi un viaggio ipnotico.

Ora si può solo sperare che non servano altri dieci anni per il nuovo film di un autore del quale l’Italia deve essere orgogliosa.

Il buco di Michelangelo Frammartino (Italia, Francia, Germania – 2021 – 93 min)
Sceneggiatura: Michelangelo Frammartino, Giovanna Giuliani
Fotografia: Renato Berta
Montaggio: Benedetto Atria
Scenografia: Giliano Carli
Costumi: Stefania Grilli
Suono: Simone Paolo Olivero
Effetti visivi: Gilberto Arpioni

Marcello Bonini
Marcello Bonini
Marcello Bonini nasce a Bologna nel 1989. Insegnante, fa il montatore per vivere. Critico Cinematografico, ha scritto per diverse riviste di cinema e pubblicato una raccolta di racconti. Fa teatro e gira cortometraggi.

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