domenica, Maggio 5, 2024

Frank di Lenny Abrahamson: la recensione

Un cantante con un'enorme testa di cartapesta e la sua band fuori dagli schemi tanti gli spunti offerti dal film di Abrahamson, dal senso dell'essere artista al potere dei social network sulle nostre illusioni

Jon è un giovane impiegato che sogna di diventare musicista ma non possiede molto talento. L’occasione arriva inaspettata, quando diventa per caso il tastierista dei Soronprfbs, una strampalata band psichedelica il cui cantante, Frank, indossa un’enorme testa di cartapesta. Jon decide così di abbandonare il lavoro e di unirsi a loro per registrare un album.

Sono passati sette anni da quando l’esordiente Lenny Abrahamson conquistò il Festival di Torino con Garage. Sette anni durante i quali il regista irlandese ha affiancato l’esperienza cinematografica (nel 2012 è uscito il suo secondo film, What Richard did) ai lavori in Tv e sulla sperimentazione audiovisiva.

La sua nuova opera, Frank, è prima di tutto un omaggio a Christoper Sievey e al suo alter-ego Frank Sidebottom; ma è anche altro, è un film sulla musica, sulla fascinazione dei social media, sulla difficoltà a trovare nella vita una strada che soddisfi le proprie ambizioni.

Tanta carne al fuoco, ma tutta trattata bene. Perché l’abilità di Abrahamson è quella di non cadere nell’errore del già visto o del già detto. Non ci vuole molto per accorgersi infatti che Frank non è un film come gli altri. Non stiamo parlando della fuga dagli stereotipi di genere, né della linearità di un film che si avvale di una splendida e intensa fotografia. Lo sforzo maggiore compiuto da Abrahamson è sui personaggi, sulla loro visione delle cose e sulla loro sensibilità, sul significato dell’essere artista in una società che tende a omologare anziché rispettare le differenze e i vari punti di vista. Jon non è un artista, si illude di esserlo e insegue principalmente il sogno di diventare qualcuno, di esibirsi di fronte ad un pubblico. Nella prima sequenza lo vediamo camminare nelle strade ordinate del suo quartiere: lo sguardo vuoto, assente fa da contraltare alla frenesia interiore espressa dalla voce over. Vorrebbe creare, Jon. Vorrebbe scrivere musica e parole. Ma non ci riesce. Al contrario Frank e gli altri componenti dei Soronprfbs fuggono dalla realtà, la evitano, hanno bisogno dell’isolamento come salvaguardia per la loro espressività. Per registrare l’album si rinchiudono per oltre un anno in una casa sulle colline irlandesi. Ma a causa di Jon, che carica su Internet i video della band, l’isolamento è solo apparente e in poco tempo la band diventa popolare sulla rete. E se i cinguettii di Twitter che compaiono sullo schermo smascherano la falsa illusione di pensare di diventare qualcuno solo attraverso il numero dei follower, la riflessione di Abrahamson sui social media si fa più profonda quando s’intreccia con le aspirazioni represse dei personaggi. Tutto si muove sul crinale dell’apparenza, niente più.

L’inganno della facile celebrità regalata dalla condivisione dei video crea una frattura nel gruppo: Frank è combattuto, vorrebbe togliersi metaforicamente la maschera, vorrebbe andare incontro al mondo, vorrebbe comporre musica più orecchiabile. Il gruppo si sfalda, Frank scompare e Jon rimane solo. Ma l’isolamento non è una scelta di vita, è una condizione esistenziale dalla quale non si può uscire. E allora, alla fine, la circolarità del film si manifesta quando la sequenza iniziale, con Jon che cammina lungo le strade pulite del suo quartiere, si ripete mentre è in Kansas per ritrovare Frank. Solo che questa volta, come in un uno specchio, l’immagine è opposta e Jon sembra compiere il tragitto inverso, come un ritorno (e un’accettazione della sua vita). La macchina da presa non segue più da vicino il personaggio, lo osserva da lontano, quasi con distacco.

 

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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