lunedì, Aprile 29, 2024

Verbrannte Erde di Thomas Arslan: recensione, Berlinale 74

Arslan rivisita il genere Krimi nel suo film più riuscito dal 2010. Visto nella sezione Panorama della Berlinale 74

Idea ottima, quella di Thomas Arslan di tornare a casa. Una casa metropolitana nella forma di Berlino. Una casa abitata da malfattori ben vestiti, criminali da strapazzo e scorci disperati, rarissimi da trovare nel bel mezzo della gentrificazione imperante.

Avevamo lasciato Arslan in Norvegia per Helle Nächte (2017), film rispettatissimo e noiosissimo, tentativo di applicare il “weniger ist mehr” della Berliner Schule nella cornice già minimalista di una vignetta familiare. Fallito, a detta di chi scrive, perché non sempre la regola d’oro di togliere alza la qualità: a volte crea solo dei buchi tutti uguali. Un problema che aveva azzoppato anche la ricezione di Gold (2013), western teutonico troppo esangue, e troppo pulito, per essere un western.

L’ambito in cui il metodo della Berliner Schule, o semplicemente il talento di Thomas Arslan, funziona meglio è quello del romanzo criminale per immagini fiondato tra le pieghe di una città stanca, notturna nel senso del sonno, grigia e meschina. Ad Arslan il Krimi piace e si vede, tant’è che questo ritorno a casa – e alla forma – riprende il personaggio principale del suo ultimo film in tema, Im Schatten (2010), Trojan, interpretato da un Mišel Matičević meravigliosamente sfatto.

L’intreccio conta il giusto: quel che conta, nell’economia del film, è il polso sicuro paradossalmente accoppiato con la “vecchia mano tremolante” dell’Old Shatterhand di Karl May. Criminale sì, ma senza gli steroidi dei film di Scorsese o le furberie delle mille serie tedesche a base di sbirri scapestrati e Scientifica rampante.

Inutile aspettarsi esplosioni, giravolte degne di Ethan Hunt o tripli finali da Verbrannte Erde, la cui terra bruciata è tutta interiore. Certo, la stilizzazione dei titoli sembra un’ironica strizzata d’occhio agli anni Ottanta, a un videogioco, forse a Winding Refn.

La stilosa musica elettronica di Ola Fløttum ci mette del suo. Le sequenze d’inseguimento al volante non mancano. Ma a trainare il film è il corpo pesto di Trojan, che taglia il traguardo quasi per miracolo e non riesce a fermarsi, nemmeno per godersi qualche spicciolo e una eventuale conquista amorosa.

Trojan entra nel film e ne esce come attraversando un’unica inquadratura da sinistra a destra, arrivandoci come un ladruncolo e andandosene come un ladruncolo. Le informazioni ufficiali sul film parlano del secondo capitolo di una trilogia. Se è questa la condizione affinché Arslan continui a girare a Berlino, scrivendo come sa scrivere e trovando location scoranti come solo lui le sa trovare, allora che trilogia sia.

A confermare il ritorno a casa c’è anche Tamer Yiğit in una piccola parte, volto che riporta subito alla memoria i primi due imperdibili film di Arslan, Geschwister (1997) e Dealer (1999).

Verbrannte Erde di Thomas Arslan (Titolo internazionale, Scorched Earth – Germania 2024 – 101 min)
Interpreti: Mišel Matičević, Marie Leuenberger, Alexander Fehling, Tamer Yiğit
Sceneggiatura: Thomas Arslan
Direttore della Fotografia: Reinhold Vorschneider
Montaggio: Reinaldo Pinto Almeida

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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