mercoledì, Maggio 1, 2024

Le origini del male di John Pogue: la recensione

Il conflitto tra scienza e paranormale in un film che mischia found footage e elementi tradizionali del genere, proseguendo sulla scia dell’horror d’atmosfera. Pogue torna alla regia dopo l’esperienza di Quarantena 2

Da un lato il positivismo scientifico, la convinzione quasi incontrovertibile che tutto possa essere spiegato e dimostrato; dall’altro lato la presenza di forze oscure, di elementi che sembrano appartenere al soprannaturale e che minano le certezze consolidate. Da questa dicotomia nasce e si sviluppa Le origini del male, film prodotto dalla Hammer, storica casa di produzione di pellicole horror, e diretto da John Pogue, alla sua seconda esperienza da regista dopo Quarantena 2. La vicenda è ambientata nella culla del sapere, Oxford: siamo a metà degli anni settanta e un professore universitario, Joseph Coupland (Jared Harris), coadiuvato da due studenti del suo corso avvia in una casa di campagna un esperimento su una ragazza, Jane (Olivia Cooke, giovane attrice di cui sentiremo ancora parlare), convinta di essere posseduta da uno spirito maligno. L’obiettivo è quello di evocare la presenza e rimuoverla dal corpo della ragazza. Ogni particolare dell’esperimento viene ripreso con una cinepresa da Brian, ragazzo timido e introverso che instaura una relazione particolare con Jane.

Fino a qui il canovaccio, tratto da una storia vera, come ci viene ricordato dalle didascalie iniziali. Pogue rimane fedele alla tendenza emersa in quest’ultimo decennio, quella dell’horror d’atmosfera che indaga su fenomeni paranormali. Niente più mostri, niente più serial killer assatanati, niente più splatter. La paura diventa una lotta tra ciò che la ragione nega e ciò che al contrario si palesa senza un barlume di logicità. A rafforzare il rapporto con l’horror paranormale vi è anche il ricorso frequente al found footage, giustificato dalla presenza nella storia del giovane operatore che prende parte all’esperimento. Ed è proprio nella commistione tra gli specifici consueti dell’horror, che Pogue mostra di saper utilizzare (la suspense creata dal fuori campo, la negazione del raccordo sullo sguardo, per rendere parziale e incerta la percezione dello spettatore, la tensione acuita dalla musica over) e la nuova corrente del found footage horror movies, che Le origini del male cerca di trovare la propria peculiarità, in una “strategia della tensione” che cresce di livello durante le varie fasi dell’esperimento, gioca con sapienza con la claustrofobia dello spazio chiuso, isolato dal resto del mondo, fino ad esplodere nel concitato e febbrile finale, che però consapevolmente non chiude il cerchio e cede alla tentazione di aprire le porte ad un sequel. Alla fine, se è innegabile la padronanza stilistica e narrativa del regista (non è un caso che Pogue nasca sceneggiatore e proprio la sceneggiatura è una delle cose meglio riuscite di tutto il film), qualcosa di più era lecito attendersi.

Un’esperienza cinematografica oltre ogni immaginazione”. “Il film che ha terrorizzato il pubblico americano”. Recitano pressappoco così alcuni slogan promozionali che hanno accompagnato l’uscita del film. A parte le stolide operazioni di marketing che trattano lo spettatore cinematografico alla stregua di un consumatore facile da impressionare e da influenzare (per fortuna, in molti casi, non è ancora così), resta inesorabile la sensazione del già visto. Peccato, perché il film parte da un’idea di fondo ambiziosa e intrigante ma rimane in superficie, senza riuscire a scombinare e assemblare i canoni del genere, in quel gioco di suspense che vive grazie al rapporto performativo che si crea tra regista e spettatore. Un gioco ipnotico alla ricerca della pura adrenalina, immerso in uno scenario sospeso tra irreale (la finzione cinematografica) e reale.

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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