giovedì, Aprile 18, 2024

Mister Morgan – non è mai troppo tardi per ricominciare di Sandra Nettelbeck: la recensione in anteprima

Matthew Morgan è un ex professore inglese che risiede a Parigi. Dopo la morte dell’amata moglie Joan attraversa un periodo di forte depressione, incastrato in una triste routine tormentato dal ricordo dei felici momenti trascorsi in quei romantici luoghi, che ora gli appaiono alieni e vuoti, della presenza della moglie così come di un senso per l’esistenza. L’incontro con una giovane donna francese farà rinascere in lui la voglia di vivere. Ma l’impossibilità di staccarsi dal ricordo della moglie gli sarà fatale.

Mr Morgan’s Last Love è una commedia romantica dai toni tragici. Un viaggio nella mente e nei ricordi del vecchio Mr Morgan. Gli intenti introspettivi si palesano spesso con efficacia, grazie ad emblematici movimenti di macchina della Nettelbeck, che però risultando, ad un occhio un po’ più critico, risoluzioni alquanto facili ed ingenue. Movimenti lenti, al limite del soporifero, arrancano in pretenziosi piani sequenza, nel goffo tentativo di celare il cambio scena, giocando sull’effetto in quadro/fuori quadro ormai trito e ritrito ed a cui il pubblico è ormai avvezzo, tanto da non essere più disposto a lasciarsi ingannare da comodi espedienti per una mise en scene di siffatta banalità.

Ma tralasciando tali trascurabili punti deboli, una nota di merito è senz’altro rintracciabile nelle sagaci modifiche attuate alla trama originale da cui il film prende spunto: il romanzo di Francoise Dorner La Douceur Assassine. Modifiche in cui risiede il maggior punto di forza e fulcro della sceneggiatura. Mentre, infatti, nel racconto di Dorner il protagonista è l’anziano francese Monsieur Armand, nella riscrittura della Nettelbeck assume l’identità dell’americanissimo Mr Morgan. Un americano trapiantato negli ameni territori di Francia, in cui però non attracca radici. Tali luoghi gli resteranno eternamente alieni e a tratti ostili. Un’incapacità, rifiuto e impossibilità di adattamento che, chiaramente, assume un valore speculare alla sua condizione emotiva. Mr Morgan è straniero in terra straniera, ormai solo dopo la dipartita dell’unico contatto con la realtà aliena.
In un flashback rilevante Joan e Matthew Morgan sono seduti su una panchina, mentre lei si sforza nel tentativo di insegnare la lingua al marito. Nella sua ostinata indolenza Matt, addentando famelico una baguette, confonde l’espressione “J’ai faim” con “Je t’aime”. La fame – richiesta di sostentamento da parte dell’organismo, per il suo nutrimento, per la sopravvivenza, e necessità vitale – è confusa e fusa con l’amore. Ecco che per Mr Morgan i due concetti assumono lo stesso significato, o meglio, la stessa valenza vitale, essenziale, necessaria, per poter andare avanti nella vita. Perdere l’amore è come rinunciare al pasto, dando il via al declino fatale, al lasciarsi andare, alla morte.
Il termine “fame” ritorna in una scena successiva, nell’incontro al ristorante con un’amica francese con la quale vicendevolmente si insegnano la lingua. Ella lo invita ad ordinare usando il francese per esercitarsi, ma lui dirà di non voler usarlo in momenti di fame impellente. La smania d’amore, intenso e sincero, come quello provato per la moglie, è quindi paragonabile ai morsi della fame, a cui bisogna rispondere, noncuranti delle altre urgenze. Tutte in secondo piano, rispetto al dedicarsi totalmente all’amore.
Michael Caine non delude. L’interpretazione è perfetta, e nell’abilità di alternare recitazione drammatica, gioiosa e struggente in un unico personaggio, si dimostra grande artista. Un elogio che si vede però costretto a smorzare i toni nell’accennare a Justin Kirk (alias Miles Morgan), su cui volentieri si sorvolerebbe se non rappresentasse un personaggio principale e a cui, a circa metà del film, viene delegato addirittura il punto di vista della storia. Ma, di contro all’eccelsa sobrietà di Caine, l’ingessato incedere da zombie del giovane Kirk lo rende indegno di un simile compito.
Ad ogni modo, le due figure: padre e figlio, risulteranno complementari, stimolando le più profonde riflessioni sulla fatalità del tempo attraverso un passaggio generazionale che si espleta tramite la condivisione di uno stesso “oggetto del desiderio”, verso cui Mr Morgan sarà attratto con la stessa morbosa trazione del Mathieu della pellicola di Bunuel. Un parallelo ignobile, sì, ma col quale si può giocare, azzardandone delle similitudini nell’aspetto che vede il rapporto tra la giovane donna e l’anziano professore come un continuo rincorrere di quest’ultimo qualcosa che costantemente gli sfugge. L’idealizzazione di Pauline, da parte di Mr Morgan, darà vita ad una serie di situazioni che si stravolgeranno entrando in contrasto. Tutto sembra filare liscio: cene romantiche, gite in barca, passeggiate romantiche e pranzi frugali consumati sulla panchina di un parco. Ma poi subentra l’imprevisto e puntualmente un uomo, immancabilmente più giovane, che lo sostituisce. Fino alla beffa finale, in competizione col proprio figlio (sorta di se stesso  giovane), a calcare la tragica consapevolezza di un tempo che non tornerà perché non può tornare.
Il punto di vista di Miles si sostituisce a quello del padre, quindi. E le due figure risulteranno presto simmetriche, entrambe in crisi per una perdita e legati in qualche modo alla figura surrogale di Pauline. Pauline assume quindi tale funzione compensativa. E allo stesso tempo rafforza il legame padre figlio assurgendo alla funzione simbolica di materializzazione del legame tra i due uomini, rintracciabile nell’eguale affetto verso la moglie/madre defunta. Ma Mr Morgan, seppur persosi nelle illusioni di cambiamento, resterà legato indissolubilmente alla moglie, ed inevitabilmente finirà col raggiungerla dopo il terzo e definitivo tentativo di suicida attuato nella toilette. Dopo aver staccato l’onnipresente immagine della moglie dalla cornice e posto sul letto il vestito preferito di lei, rievocandone la presenza, e serenamente lasciandosi andare per  rincontrare la sua amata. Una staffetta padre-figlio che vede entrambi vincitori, anche se il primo si fermerà per lasciare il taglio del traguardo e la gloria al suo successore. Ma il premio è condiviso.
Bella è la trovata dell’ammasso di giornali all’ingresso dell’appartamento di Mr Morgan: immagine esplicativa di una vuota routine in una realtà da cui si è isolati. Divertono, infine, gli intermezzi comici nel negozio di francobolli – in cui il nostro eroe si muove come un pesce fuor d’acqua – ed il piacevole coincidere tra la sua ricongiunzione con le stereotipe tradizioni americane – il ballo della quadriglia in abbigliamento western e la degustazione di hot dog – ed il suo ritorno alla vita; una voglia di vivere che è ritorno alle origini, all’identità.
Una riconquista della voglia di vivere, un ritorno a respirare l’aria esterna e ad aprirsi al mondo, simboleggiato efficacemente nella scena del bagno (luogo in cui lo abbiamo visto tentare il suicidio). La mdp si sposta lentamente dallo specchio – simbolo del riflesso dell’uomo che non guarda oltre se stesso, chiuso nel suo mondo e alle esperienze di vita – alla finestra, scrostata dallo strato colloso accumulatosi negli anni di totale chiusura, forzata e finalmente aperta sullo splendido paesaggio parigino con l’immancabile torre Eiffel a stagliarsi nel cielo vivido.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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