giovedì, Maggio 2, 2024

Sarà un paese di Nicola Campiotti: la recensione

Ci sono mille modi per raccontare l’Italia a un bambino. Ci si può affidare ai racconti orali, alle immagini o alla scrittura. Si può partire dallo sfascio generazionale che ci sta portando sempre più a fondo, dalla crisi morale di un paese in cui tutto sembra perduto. Si può al contrario celebrare il passato, nella speranza che torni per capovolgere il presente e dare un nuovo slancio al futuro. Oppure, semplicemente, si può scegliere la strada intrapresa dal giovane regista Nicola Campiotti, una strada semplice e immediata: quella di non mettere le briglie all’immaginazione e lasciare che lo sguardo del bambino prevalga sulla realtà fino a trasfigurarla.

Sarà un paese è un docu-film che non lascia indifferenti proprio perché racconta il nostro paese attraverso il punto di vista e gli occhi di un bambino di 10 anni, Elia, che assieme a suo fratello Nicola, trentenne come ce ne sono tanti, troppi in Italia, laureato, di belle prospettive ma senza lavoro, parte per un viaggio alla scoperta dei luoghi e dei posti di questa Italia in ginocchio.

Campiotti adotta i codici del mito e del gioco, i registri meglio conosciuti dai bambini. Elia diventa così un moderno Cadmo, l’eroe fenicio fondatore della città di Tebe e inventore dell’alfabeto, che abbandona la sua terra per andare a cercare la sorella Europa, rapita da Zeus. Gli occhi di Elia scoprono così l’Italia grigia e tossica degli inceneritori, l’Italia della contrapposizione tra il Dio del profitto e il Dio dell’umanità, l’Italia delle diversità religiose, dei paletti al processo d’integrazione, l’Italia della disoccupazione, dei giovani che fuggono all’estero, l’Italia privata dei diritti. La misera realtà diventa una scintilla nella fantasia di Elia i cui occhi, nonostante tutto, continuano a guardare le cose con la brama e il desiderio del fanciullo. È qui che Campiotti riesce nel suo intento, non limitandosi ad un semplice documentario sulle cose che non funzionano: lo sguardo del bambino diventa infatti lo sguardo dell’artista che crea e distrugge ciò che ha davanti e che segue l’istinto della propria curiosità. La purezza di Elia è in netta contrapposizione con lo sguardo di chi guarda l’Italia con rassegnazione, convinto che l’estemporaneo abbia lasciato posto all’artificio, al costruito. Su questa dicotomia si sviluppa il viaggio di Nicola e Elia, in cui l’alfabeto inventato da Cadmo torna utile per elencare i grandi temi fondamentali per la (ri)costruzione di un paese civile. Perché, diciamo la verità, a tutti noi verrebbe da accartocciare e buttarla nel cestino, questa Italia, stravolgerla per poi ricomporla come nuova, attraverso l’epos che Campiotti utilizza per raccontare la contemporaneità: un’antitesi stridente che però non si abbandona alla rassegnazione.

Alla fine, dopo tanto girovagare, gli occhi di Elia trovano quello che cercavano, ovvero la virtù ancora viva e presente da qualche parte. Sì, perché in questo sgangherato paese ci sono ancora cose che funzionano, piccoli esempi di come, in fondo, una possibilità di riscatto esiste e va alimentata.

Campiotti è un regista giovane ma dimostra di saperci fare con la cinepresa. Il film è quasi interamente girato con dispositivi leggeri, in modo da favorire la fluidità delle riprese a mano; nella capacità di mescolare documentario e finzione, inchiesta e narrazione, Campiotti dimostra di aver assimilato la lezione di Wim Wenders, con il quale ha collaborato come assistente nella realizzazione di Non bussare alla mia porta.

Sarà un paese è un film dal forte impatto sociale: non a caso è stato scelto dall’Unicef come film da proiettare durante la Giornata Mondiale del Bambino e in questi giorni l’Agiscuola sta ultimando un progetto per portare l’opera nelle scuole. Non sarà facile invece vederlo nelle sale. Ma, se lo trovate da qualche parte, non perdetelo perché è un modo sincero, spontaneo e in alcuni casi commovente di raccontare la nostra Italia, le ingiustizie e i paradossi filtrati attraverso gli occhi di un bambino. La funzione educativa, per i ragazzi, è fondamentale. Saperla mischiare con il racconto mitico e con la fantasia è la strada migliore che si possa percorrere.

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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