The Zen Circus – Visited By The Ghost Of Blind Willie Lemon Juice Hamington IV / Doctor Seduction (Black Candy, 2011)

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Prima di sbancare ed entrare nell’olimpo dell’indie rock nazionale col best seller – giustamente osannato da critica e pubblico – Andate tutti affanculo, e con il recente Nati per Subire,  i toscani Zen Circus hanno pubblicato un bel po’ di dischi. La Black Candy ha recentemente ristampato in agile formato digipack il secondo ed il terzo, in cui ascoltiamo Appino e soci cimentarsi ancora con l’idioma inglese. Visited By The Ghost Of Blind Willie Lemon Juice Hamington IV è ancora fascinosamente ben attaccato alle influenze folk punk degli esordi, spigoloso ed acerbo nel voler tributare i giusti onori agli eroi ispiratori (Violent Femmes ovviamente, ma anche qualcosa di Billy Bragg). Si macina punk acustico e sbronzamente bucolico sin dalla didascalica Folk Punk Rockers, ci si diverte parecchio nella melodica ed anticipatrice dei tempi che saranno Milk Legs, The Green Fuzzy Thing puzza un pochino di garage grunge, andando a lambire i territori marchiati di piscio dei Mudhoney. In generale si flirta con un suono profondamente americano, ma è quell’America off piena di sputi di tabacco sotto le suole che a voi amanti del rock’n’roll dovrebbe piacere. Disco compatto, che si permette anche uno strumentale surf (I Trains Over Delft) ed uno blues (HF Modulator Blues).

Con il successivo Doctor Seduction le cose cambiano: lavoro ambizioso, concettualmente parecchio pop, meno omogeneo rispetto ai precedenti, dove assistiamo comunque ad una maturazione impressionante del songwriting . Dieci brani tutti – o quasi – riusciti, strutturati mirabilmente a livello armonico e melodico, in cui l’idea di pop abbracciata è molto affine a gruppi del calibro di Pixies (Welldone, Sailing Song) e R.E.M. (Sober, Sweet Me). Il terzo album dei Zen Circus risponde in maniera piuttosto netta ad un’evidente esigenza di smarcarsi definitivamente da certi riferimenti stilistici sin troppo evidenti in Visited By… Ciò si traduce in una maggiore eterogeneità, passando dalla leggerezza di Time Killed My Love e dalla ritrovata acustica in History Lesson Part III (che però esplode nel finale) al college rock in stile Lemonheads della travolgente It Turns Me On. I nostri sembrano cresciuti, si sono un pochino addomesticati ed hanno affilato le loro armi: si ha la sensazione che possano fare il grande salto. Facile dirlo col senno di poi, ma il salto lo faranno: dovranno aspettare però ancora qualche anno. Ristampe preziose quindi (anche perché i dischi in questione erano difficilmente reperibili) che permette di scoprire le origini di uno dei gruppi più rappresentativi della nostra scena nazionale.