lunedì, Ottobre 7, 2024

Elegy di Isabel Coixet – Berlino 58 – Concorso

coixet1.jpgLeggi del desiderio, regole dell’attrazione: David Kepesh crede di conoscerle tutte, anche se durante le sue lezioni di Practical criticism preferisce parlare di Tolstoj, Camus, o Barthes. Philip Roth soprannominò questo suo ennesimo alter ego – secondo, quanto a longevità letteraria, solo a Nathan Zuckerman – Il professore del desiderio, e intitolò così un suo romanzo del 1977. Se Tinto Brass è un uomo-culo, Philip Roth (o meglio, il suo alter ego) è un uomo-tetta. Tanto da trasformarsi, kafkianamente, in una tetta gigante nel romanzo breve Il seno (1972). Kepesh è anche il protagonista de L’animale morente (2001), che Nicholas Meyer ha adattato per la sceneggiatura di Elegy.

Le ossessioni di Philip Roth sono il sesso, la vecchiaia, la malattia, la morte. Una lista analoga a quella della regista catalana Isabel Coixet, che esordì sotto l’egida di Almodovar per poi trasferirsi a Vancouver. I titoli dei suoi film parlano da soli: Troppo vecchio per morire giovane, Le cose che non ti ho mai detto, La mia vita senza me (dal romanzo di Nanci Kincaid), La vita segreta delle parole. Coixet è una narratrice affezionata alla lettera, con uno spiccato interesse per il rapporto tra giovinezza e malattia. Sulla carta, la persona più adatta per affrontare le cento densissime pagine dell’Animale morente, uno dei romanzi più sferzanti degli ultimi anni.

Detto, fatto. Elegy è la classica produzione indipendente attenta alle leggi del mercato e alle regole dell’attrazione di massa, a cominciare dalla presenza di due star come Ben Kingsley e Penélope Cruz. I quali, per carità, incarnano – verrebbe da dire: ricalcano – alla perfezione i due protagonisti, Kepesh e la studentessa Consuela Castillo. Kingsley è un professore del desiderio credibile, e colpisce una sua certa somiglianza con Philip Roth. Cruz, dal canto suo, è una Maya vestida (e desnuda, limitatamente alle zinne) ben poco glamorosa, che ricorda i suoi personaggi pesti di Tutto sua mia madre e Non ti muovere. La regista si concentra sui due caratteri e infonde pathos autentico nella loro storia, soprattutto nel personaggio di Kepesh, intellettuale “di professione”, marito e padre fallimentare, che rifiuta l’amore sincero di Consuela per paura: il terrore di essere abbandonato e di dover ammettere che la ragazza è molto di più di un’ossessione erotica. Quindi, come gli consiglia l’amico George O’Hearn (Dennis Hopper), sorpassa l’inevitabile e va oltre, lungo la consueta road to nowhere.

coixet3.jpgIl film funziona quasi per tutta la sua durata, e propone una colonna sonora compilativa che va da Leonard Cohen a svariati pezzi di Beethoven eseguiti al piano da Kirill Bolshakov, sotto il segno della malinconia e della disillusione. L’asso nella manica di Elegy è tuttavia Dennis Hopper, nei panni di un vecchio poeta cinico e fedifrago, unico amico del protagonista. Hopper regala una performance toccante, che va ben oltre il suo carisma “a priori”, conquistato sul campo in più di cinquant’anni di ruoli birbanti e ribelli. Ciò che non si può perdonare al film di Coixet è un finale sdolcinato, speranzoso, di fatto negazionista, che ridefinisce l’intera operazione come un bel compito a casa destinato a soddisfare troppi palati.

Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi
Simone Aglan-Buttazzi è nato a Bologna nel 1976. Vive in Germania. Dal 2002 lavora in campo editoriale come traduttore (dal tedesco e dall'inglese). Studia polonistica alla Humboldt. Ha un blog intitolato Orecchie trovate nei prati

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