mercoledì, Maggio 1, 2024

Incompresa di Asia Argento: la recensione

Quando nel 1980 Trini Alvarado e Robin Johnson, seguite dai loro fan, sfasciavano televisori lanciandoli dal tetto di un palazzo Newyorchese avevo dodici anni e per un divieto della censura italiana non potevo andarmi a vedere la loro energia sullo schermo di un Cinema. Di Times Square circolavano i trailer sulle televisioni locali di allora e ricordo benissimo quanto l’immagine dei tubi catodici mentre si schiantavano sull’asfalto esercitasse un enorme potere seduttivo, tanto da spingermi ad immaginare il film, che vidi solo qualche anno dopo, come una ripetizione infinita e liberatoria di corse a perdifiato per la città e gesti positivamente distruttivi. Senza alcuna idea, fortunatamente, di cosa fosse l'”estetica” punk, ne assorbivo il voltaggio attraverso alcune immagini che per me avevano un valore già musicale ed elettrico, quello di un gioco preadolescenziale che può deflagrare solo se lo pratichi con la purezza dello sguardo “infantile”, vicino alla percezione del rumore e del caos come espressioni antecedenti al linguaggio, più che come forme preposte a distruggerlo.
Incompresa mi ha fatto lo stesso effetto, come se avessi ritrovato quelle immagini “mai viste” a dodici anni che la visione integrale del film di Allan Moyle mi aveva fatto quasi completamente perdere, dissolte com’erano in un contenitore più tradizionale e narrativo che le depotenziava.

Non è una considerazione nostalgica, tutt’altro, perchè a differenza di altre suggestioni più connotate nella formazione dell’oleografia anni ottanta, il ricordo ha in questo caso un valore del tutto sensoriale e psichico. Il nuovo film di Asia Argento ha la stessa qualità mnestica e comincia in mezzo ai ritagli di una generazione pre-digitale, poco importa da dove vengano e di chi siano quei volti, occupano interamente lo schermo e sembrano far parte di un’esperienza talmente soggettiva da mantenere intatta tutta la loro ambiguità; se c’è qualcosa di “perduto” in queste prime immagini, è il gesto, la pratica del ritaglio, il collage e la riappropriazione, intima prima ancora che creativa,  di immagini di consumo; perchè il rischio del quadretto di repertorio o una certa falsificante aura vintage, sono totalmente assenti.

Ha allora poco senso mettere Incompresa sul tavolo autoptico per improvvisare una detection gossippara prima ancora che critica, sulla vita privata di Asia Argento, sul modo in cui scrittura e biografia potrebbero interagire, sugli innesti soggettivi e quelli storicizzabili, perchè il suo è un film ricco e debordante che cambia costantemente punto di vista e registro, anche in termini cognitivi, con uno spostamento progressivo di quel confine tra memoria e finzione, sogno e realtà, dove questa stessa linea non è una demarcazione; basta osservare con attenzione il lavoro sul colore e le ottiche di Nicola Pecorini; ci sono alcune inquadrature che da una parte creano quasi uno “split” naturale dello spazio, ma invece di rivelare una spaccatura binaria, questo diventa improvvisamente “caotico” grazie alla disposizione dei colori che generano ulteriori livelli di lettura dell’inquadratura, quasi che all’interno di un’immagine ce ne fosse un’altra e un’altra ancora. Un’architettura dello sguardo completamente aperta, esplorabile e che apre porte del tutto inedite anche nell’ambito dello spazio famigliare per come viene  solitamente disegnato nel cinema Italiano degli ultimi anni; basta una sequenza come quella della festa da ballo organizzata da Aria, tra torte iper-reali e una rigorosa quotidianità dell’ambiente, dove Asia organizza il percorso visivo nel gioco e nel dolore senza soluzione di continuità, fino all’apparizione di quella “stanza del peccato” che ha la qualità del sogno e la forza familiare di una verità collettiva nel romanzo di formazione privato di molte persone.

Allinearsi allo sguardo di Giulia Salerno è un atto di coraggio che consente ad Asia di osservare il mondo e il cinema con la libertà estrema dell’intuizione, una soggettività che  avvicina, prima di qualsiasi altro riferimento, alcune delle figure del film all’occhio surrealista. Sono i piani di realtà che interessano ad Asia Argento: i dettagli e i particolari che invece di descrivere rivelano le contraddizioni del reale, l’ordine di una narrazione classica che non lascia fuori l’irrazionale, lo strutturalismo del racconto fiabesco e al contrario la sua penetrazione nell’inconscio, territori che lo stupore infantile percorre da un lato all’altro senza paura, a patto non incontri l’incomprensione di un occhio che giudica. 

Mi sdraiai su un divano
 e mi diedi a raccontare la mia vita
ciò che credevo fosse la mia vita
(Raymond Queneau)

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker e un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana. È un critico cinematografico regolarmente iscritto al SNCCI. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e new media. Produce audiovisivi

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