Larsen: non c’è mediazione tra ciò che siamo e quello che suoniamo

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L’elenco dei nomi con i quali avete collaborato è la concretizzazione dei sogni di tanti musicisti indipendenti. Oltre ai succitati Bisi e Gira: David Tibet, Nurse With Wound, Jarboe, Z’ev, Lustmord. Fino alla collaborazione attuale con Little Annie (oltre che Baby Dee, Julia Kent, gli Xiu Xiu). Tu stesso con il progetto OpererettAmorale dei Black Sun Production hai lavorato con i compianti Coil ad una delle loro ultime prove in studio. Immagino siano tutti da annoverare tra le vostre influenze, tra i vostri riferimenti. Quanta emozione si porta dietro lavorare con nomi di questo calibro e qual’è stato il loro lascito nell’economia del vostro suono?

David Tibet ha collaborato al nostro progetto Abeceda dimostrando di essere decisamente  l’uomo giusto al momento giusto per unicità del suo linguaggio e capacità di performer. In generale  ogni collaborazione nasce dal rispetto per il lavoro dei musicisti coi quali di volta in volta abbiamo condiviso un progetto, quindi non possiamo che essere contenti di aver potuto lavorare con musicisti di cui siamo in primo luogo  ammiratori. Poi ne sono nati  anche  rapporti di amicizia e sodalizi creativi duraturi e specifici come ad esempio con Annie, Jamie e Julia. Ciò detto ci colpisce  sempre  quanta attenzione venga prestata al fatto  che  Larsen pur essendo un’entità  specifica  con la stessa line up da 16 anni  collabori spesso e volentieri con altre  entità e musicisti quando invece per noi è del tutto normale. Alla fine ci si incontra coi propri “simili”; si è fan del reciproco lavoro; non c’è nessun percorso o progetto segreto ma solo il piacere  di creare assieme.

Com’è ovvio ci saranno ancora tanti artisti coi quali vorreste collaborare o collaborerete di fatto. Qualche nome?

Al momento non abbiamo progetti che coinvolgano altre persone son quelle  già al nostro fianco. Prima o poi ci metteremo al lavoro sul nuovo Larsen. Se  ci sarà  una voce  sarà quella  di Annie, se  ci saranno degli archi saranno  quelli di Julia Kent. Questo non vuol dire  che  ad  un certo punto un nuovo progetto specifico possa  nascere ed in tal caso come successo in passato  le adeguate sinergie  prenderanno forma.

Accanto all’attività consueta avete sempre portato avanti altri progetti di natura più multimediale, come Cartonianimaletti (la sonorizzazione dei cartoni animati d’inizio 900 di Windsor McCay, l’autore di Little Nemo). Quanto mutano i vostri criteri compositivi in casi come questi?

Ogni progetto ha una sua estetica e dinamica  precisa. Comporre  per immagini  ti porta  ovviamente a muoverti su atmosfere specifiche ma credo che la  nostra  musica,  per  sua  natura,  abbia  un’aspetto “ambientale” che  ben si presta al dialogo col linguaggio cinematografico.

Vi è mai stato proposto di lavorare ad una colonna sonora vera e propria?

Capita periodicamente ma ad  oggi nulla con le condizioni adeguate e necessarie ma ci piacerebbe veramente molto

Altro progetto molto interessante è stato quello di ABECEDA cioè l’idea di musicare le lettere dell’alfabeto ispirata al lavoro del surrealista ceco Karel Teige. Come siete venuti a conoscenza del suo lavoro? Peraltro lo stesso Seies presentava titoli identificati da singole lettere.

Siamo affascinati dalle avanguardie storiche, da un estetica in continua  tensione  tra  rigore  formale e follia, tra scienza e “magia”.
Roberto poi non è solo chitarrista dei Larsen ma si occupa anche dell’aspetto grafico di tutte le  nostre  uscite, un’unitarietà estetica è quindi assolutamente voluta e parte dell’identità  del gruppo.

 

Come nasce un brano dei Larsen e quanta influenza hanno le vostre attività parallele in fase di scrittura?

Recentemente ho visto un’intervista a Robert Smith dove affermava  che  non c’è arte senza  vita, condivido pienamente.
In linea di massima  tutta la  nostra musica  nasce da semplici e minimi abbozzi sonori che elaboriamo improvvisando a volte anche in modo caotico fino a distillarne gli elementi per noi interessanti e ricucirli nella  loro forma “finale”. Nei Larsen non c’è il ruolo del compositore: il nostro suono, la nostra musica, nasce dalle dinamiche creative e personali all’interno del  gruppo.

Col tempo il vostro suono ha attraversato varie fasi, si è fatto meno muscolare, più notturno, astratto, per poi arrivare ad una forma canzone, solo un po’, più classica con l’ingresso di Little Annie, laddove in passato la voce era da intendere più come un ennesimo strumento. Quanto c’è di pianificato in questo e quanto è frutto della casualità degli eventi? Quanto è mutato il vostro approccio da Rever a La Fever It e l’ultimo Cool Cruel Mooth (addirittura aperto dalla classica sinatriana It Was a Very Good Year)?

L’approccio in realtà non è mutato per nulla: trovo nei nostri lavori più recenti gli stessi elementi degli esordi. Direi che a cambiare sono elementi strutturali, ritmici, sonici e soprattutto il fatto che avevamo 25 anni ed ora ne abbiamo 45.
Per noi avvicinarci al formato “canzone” è stata forse la scelta  più sperimentale possibile e sperimentare è quello che ci interessa. Non siamo mai stati interessati a fare musica di genere quindi evitiamo d’istinto certezze, stasi e noia.

Come avete conosciuto Little Annie e qual è il suo apporto compositivo in seno al gruppo?

Nel 2007 entrambi siamo stati invitati a suonare all’edizione del Donau festival in Austria  curato da David Tibet. Dopo il nostro set Annie ci ha detto che se non l’avessimo invitata a cantare nel nostro prossimo disco, lei avrebbe buttato giù la  porta dello studio a calci! Inutile dire che non ce n’è stato bisogno!
Noi siamo sempre stati  grandi fan del suo lavoro e proprio in quel periodo stavamo lavorando a La Fever Lit e volevamo per l’appunto ristrutturare alcuni brani in formato più “narrativo”. Quindi l’incontro con Annie si è verificato esattamente nel momento giusto.
A Larsen, Annie, ha dato più ancora che la voce, per quanto assolutamente unica e ricca di colori e di “vita”, soprattutto la  parola. E’ una scrittrice eccezionale, brutalmente onesta ed incredibilmente  divertente (a breve tra l’altro uscirà la  sua  autobiografia che  è assolutamente imperdibile) e poi è una performer eccezionale. Una diva nel senso migliore possibile del termine.

In che misura può dirsi politica la musica dei Larsen? Quanto conta il vostro ruolo sociale, la vostra identità, quando imbracciate gli strumenti?

Una volta ho detto che l’avanguardia e la  sperimentazione sono una questione politica. In realtà non so bene neanche io cosa  intendessi dire ma credo sia  decisamente vero. Larsen non è un gruppo che sventoli bandiere o urli slogan ma c’è un’indubbia consapevolezza del linguaggio usato e dei meccanismi che ne conseguono. Non c’è mediazione tra  ciò che siamo e quello che suoniamo; non vedo perchè dovrebbe esserci e poi se così non fosse non risulteremmo credibili.

Arrivando alla stretta attualità, da poco è uscito il nuovo XXL, in condivisone con i suddetti Xiu Xiu. Com’è nato quest’ennesimo progetto con una sigla all’apparenza così diversa dalla vostra?

Ci siamo incontrati durante un nostro tour americano. Jamie aveva chiesto al promoter locale di poter aprire per noi, essendo rimasto molto colpito dal nostro album su Young God Records. Noi in quel periodo ascoltavamo molto il suo A Promise ma abbiamo scoperto solo il giorno stesso che avremmo condiviso la serata. Di li in poi siamo rimasti in contatto con l’assoluta  volontà di far musica assieme e pochi mesi dopo il progetto XXL ha  preso forma.
In realtà Larsen e Xiu Xiu non sono così diversi come possono sembrare. Da un punto di vista sonoro siamo indubbiamente due band molto differenti ma l’approccio ed il background è il medesimo ed il lavorare assieme dà a ciascuno di noi la possibilità di confrontarsi con territori d’abitudine estranei al proprio. Spesso, infatti, sono di Larsen gli elementi più “pop” di XXL, così come di Jamie  quelli  più cinematici.