Cemeteries – The wilderness (Lefse – 2012)

1110

Se la solitudine espressiva del nostro Cemeteries non sfociasse, quasi sempre, in autoreferenzialità deliberata, sarebbe per tutti più facile plaudire a questo disco come ad un ottimo impasto di melodie sad, suoni dreamy ed approcci pop. Purtroppo, già a partire dall’epiteto scelto per il suo progetto, il giovane Kyle Reigle viene fuori con una certa ostinata appartenenza a taluni paesaggi umbratili, cupi, caliginosi, ben oltre ciò che una landa selvaggia (The wilderness) sarebbe capace di ispirare. Questo, a prescindere dalle indagini che si potrebbero muovere verso le sue intenzioni e probabilmente, anche a prescindere dai costanti riferimenti alla scena di nu-folk pastorale (Fleet Foxes in testa), qui rivista e ornata secondo le declinazioni di casa Lefse (Ganglians, Neon Indian, A Classic Education, Mister Lies), variopinta label attentissima a presenziare l’eucarestia iconoclasta proprio come un diacono alla liturgia della parola.
Un ambito, quello solingo del nostro Kyle, non scevro da alcune brillanti intuizioni, specie quando a proporle s’incaricano i fotogrammi in stop motion di Young Blood, i synth acquatici di Summer smoke, in pieno stile British Sea Power o un certo romanticume chitarristico, scuro e, di certo, meno ispirato di Deerhunter, Big Troubles e Lotus Plaza, ma non per questo meno evocativo (What did you see). Peccato, però, che tale incipit prosegua con una serie quasi grottesca di cassa in quattro e stratificazioni poco suggestive di chitarra prima (The wilderness, Roosting towns, Leland), di synth poi (Brighter colors, A Real Gust Of Wind), interrotta (solo) dall’impalpabile strumentale In the trees, tra echi shoegaze e pattern elettronici. Una digressione molto più simile allo spiegarsi di unico loop che non ad un organicità espressiva faconda.
L’ennesimo lembo, insomma, strappato all’ormai troppo sminuzzata copertina dreamy. Forse, a guisa di ep avrebbe avuto ben altra sorte, ma non sarebbe corretto porlo molto sotto la sufficienza, basterà accostarlo con cura tra quei dischi da ascoltare, magari quando tutto sarà amarcord, ricredendosi, forse…o forse no!