Mimes of wine – Memories for the unseen – (Urtovox, 2012)

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Pur se mutevoli e sfuggenti, gli episodi della vita portano sempre seco la capacità immanente di graffiare l’anima, a prescindere dal come si siano percepiti durante il loro svolgersi. Experentia vivendi necessaria, costante, indefettibile, che ci fa essere molto di più del feuerbachiano “…ciò che mangiamo!”, epitome ed al contempo artefici del nostro stesso vissuto, in una spirale in cui causa ed effetto vengono spesso mescolati, ingarbugliati, se non addirittura complicati.

Con impressionante vigore immaginifico ed un senso estetico fuori dall’ordinario, Memories for the unseen segna il ritorno dei Mimes of wine di Laura Loriga, confermando così tutte le buone premesse dell’ottimo Apocalypse sets in, debutto del 2009. Dodici episodi di intrisa bellezza, autorevoli, magnetici, suggestivi, frutto del ritrovato sodalizio artistico tra la composer bolognese ed il suo nugolo di valenti musicisti ed arrangiatori sparsi un po’ su tutto il pianeta.

Un disco che reverbera gli amori, gli addii, le sconfitte, le speranze di Laura spese nel suo impegno sociale, nel suo continuo peregrinare tra i due Mondi, proseguendo quel percorso fatto di piano-songs dalle ritmiche possenti e nervose, da increspate interpretazioni vocali e deliranti conati jazzistici che tanto l’avevano contraddistinta al suo debutto e che, adesso, prendono coscienza di una propria, irrinunciabile, identità. Sicché, dopo la programmatica Under the Lid, che assurge al ruolo di intro-prologo, con un tema di organo spurio su cui, presto, si staglia un canto potente, sotto il coperchio ci sono proprio il carillon chitarristico dal contrito spessore folk di Altairs of Rain e la indocile trottata di Yellow Flowers. Ancora ed in maniera superba, quel collaudato canovaccio dei Mimi fatto di preziose evoluzioni armoniche e finali epici ed altisonanti.

Un crescendo di intensità che culmina poi con le successive Charade ed Auxilio, anch’esse abili a giocare tra vivaci marcette in ambienti fatati, echi di trombe audaci e slanci irresistibili mentre  l’alba postatomica di Teehtmaker introduce la seconda metà del disco, più riflessiva e pacata della precedente, in quello che può sembrare un calo di intensità ma che, invece, s’inerpica solerte dentro quella porzione d’anima i cui segnali spesso rifuggiamo, troppo angoscianti e funesti per essere accettati e che solo un’interpretazione nobile può magnificare al pari delle cose belle. Le sirene celtiche ed i falsetti accorati di Silver Steps, gli archi di Ester e Aube e l’accennato southern soul de L’incantatore, oltre ai convincenti episodi chitarristici I will marry you ed Hundred birds, con quei vocalizzi alla My Brightest Diamond di There’s a rat, non fanno altro che corroborare un diffuso senso di compiutezza ed eleganza. Sterili associazionismi potrebbero suggerire Marissa Nadler, Soap&Skin e Bat for Lashes, ma i Mimes of wine sono ben altro, ed il loro imprinting nasce prima tra gli studi classici di Bach e Beethoven, cresce poi con ascolti sani e matura, infine, con uno stile personalissimo, in cui i veri tratti distintivi sono la ricercata perizia stilistica della scrittura, mai prevedibile e sicuramente poco derivativa.

…Love could be cruel…” è vero…ma quanto ci danneremmo l’anima se così non fosse? Opere del genere potrebbero non vedere la luce, mai!

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Mimes of Wine su Soundcloud

 Tracklist:

Under the lid | Altars of rain | Yellow Flowers | Charade | Auxilio | Teethmaker | Ester | Silver steps | I will marry You | Aube | L’incantatore | Hundred Birds

 

Musiche e testi: Laura Loriga | Prodotto suonato ed arrangiato dai Mimes of Wine | Arrangiamenti di violoncello di Helen Belangie | Registrato da Enzo Cimino alla Casa nel Vento – Chiesuola, Italia | Mixato nel Marzo 2012 da Adam Moseley, a Los Angeles | Masterizzato da Pete Lyman all’Infrasonic Sound, Los Angeles | Illustrazioni e design di copertina: Brett Erzinger [/box]