giovedì, Maggio 2, 2024

Wu Ming Contingent – Bioscop: la recensione

Se vi state chiedendo se Wu Ming Contigent abbia qualcosa a che fare con il collettivo Wu Ming assiso sugli scaffali di certe librerie, non state sbagliando domanda. Prima di circoscrivere Bioscop entro le parentesi del suo inizio e fine, credo sia necessario un preambolo sulla paternità dell’album uscito per Woodworm lo scorso 18 aprile. Per chi non bazzicasse i territori della cellulosa o per chi si fosse imbattuto nelle poco lusinghiere recensioni che descrivono i cervelli celati dietro la parola in cinese mandarino “wu ming” come scribacchini venditori di fumo e asserviti ad un calamaio prezzolato (a tal proposito rimando alla gustosissima colonna – infame – presente sul Giap, blog ufficiale del collettivo), dicevamo, per tutti coloro che non sono in familiarità con i Wu Ming, anticiperò che stiamo parlando di un collettivo che dal 2000 opera nel campo della letteratura alternando a lavori a più mani, pubblicazioni a titolo personale. Conosciuti al secolo col nome di Luther Blissett (Q), i quattro, poi cinque, poi quattro bolognesi hanno dato alle stampe una serie di pubblicazioni a carattere storico, romanzi che attingono alle fonti dimenticate della cronologia e attraverso una minuziosa e spasmodica ricerca documentale, riportano a galla intrecci che diversamente non avrebbero visto la luce dell’alba. Archeologi delle vicende storiche lasciate nell’ombra dal racconto dei vincitori, disseppellitori di storie dimenticate, scomode e poco ricordate, credo che questo potrebbe essere un corretto sottotitolo all’attività dei Wu Ming

Il 2014 vede l’uscita di due progetti a tutti gli effetti paralleli. L’armata dei sonnambuli, volume vergato Wu Ming, e Bioscop, album interpretato da due dei membri del collettivo, Giovanni Cattabriga (voce) e Riccardo Pedrini (chitarre) dove convogliano alcuni temi trattati nel libro. Nelle dieci tracce di Bioscop si ritrova il cantato alla maniera degli Offlaga Disco Pax o dei Massimo Volume, l’arte declamatoria scardinata dalla musica di sottofondo cui si unisce l’assoluta irriverenza alla Roberto “Freak” Antoni (fra i dedicatari del lavoro). Per mettersi all’ascolto di Bioscop è necessario che l’orecchio sinistro non sia condizionato da quello destro e ciascuno si concentri su quanto gli pertiene; sulla batteria muscolosa di Cesare Ferìoli e il basso di Yu Guerra (già membri degli X-Ray Men), sul sax di Guglielmo Pagnozzi oppure sullo sciorinare di nomi, date e luoghi la cui precisione è fonte di incanto e meraviglia. Con Bioscop la tradizione oi! del punk italiano riemerge a distanza di anni con maggiore impellenza e una maturità contenutistica maggiorata da anni di attivismo sul campo e non a caso entrambi i Wu Ming hanno all’attivo una militanza in gruppi di rappresenta di quel periodo, Frida Fenner per Wu Ming 2 e Nabat per Wu Ming 5. Il “ruvidismo” è il tratto distintivo di ogni traccia dove il suono poderoso, poco conciliante e totalmente energico riempie senza moine l’ascolto, inchiodando – nolenti o volenti – all’ascolto vigile e attento della storia declamata. E non si tratta di storie impalpabili, di amanti senza nomi e di disagi collettivi. E del resto non ci si poteva aspettare niente di diverso. Protagonisti di Bioscop sono personaggi legati al corso storico e calati in vicende politiche, sportive o militari. Individui dove si cristallizzano in forma microscopica, meccanismi la cui eco ha un risvolto mondiale. C’è la vicenda di Bradley Manning (Soldato Manning) soldato americano nell’occhio del ciclone per le dichiarazioni rilasciate a Wikileaks, quella del marxista intergalattico di Peter Kolosimo (Italia mistero kosmiko) fino alle peregrinazioni a partire dall’Indocina francese di Ho Chi Minh (Uno Spettro). Storie che si mischiano ai campi sportivi, quella del “velocista”  Peter Norman (la cui celebre fotografia durante la premiazione delle olimpiadi del 1968 era già stata scelta per la copertina di New Thing di Wu Ming 1), del calciatore brasiliano Sócrates (Sócrates) o di Juan Manuel Fangio pilota argentino (La notte di Chueco). 

Fissare in musica ciò che più volte è comparso nei libri del collettivo o nei post sul loro blog, rendere l’incalzare sgraziato dell’impalcatura punk-rock un martello pneumatico per inoculare a fondo nella mente storie scomode o disgraziate. Non è forse questa la vera essenza dell’urgenza punk?

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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