giovedì, Novembre 7, 2024

Aftersun di Charlotte Wells: recensione

Aftersun è uno dei film inglesi più belli e profondi degli ultimi anni. Charlotte Wells ricerca l'immagine del padre attraverso lo scarto tra ricordo ed evento: amare come mancanza incolmabile.

And love dares you to care
for the people
on the edge of the night

(Bowie/Queen – Under Pressure)

Le riflessioni sollecitate da Charlotte Wells sull’idea di memoria non si limitano ad una cornice strettamente autobiografica. La regista scozzese ricerca l’immagine del padre attraverso i vuoti e gli scarti tra opacità del ricordo ed evento, tanto da suggerirci quanto l’immagine, sia essa una fotografia o un video famigliare, possa occupare uno stato di realtà possibile, la cui intensità si accorda diversamente da un osservatore all’altro.
Calum condivide con la figlia di undici anni Sophie il sole e il mare di una vacanza sulla costa turca.
È nello scorrere delle giornate che riusciamo ad intuire la separazione con la madre della bambina e l’eccezione temporale che i due stanno vivendo.
La presenza di Calum nella vita di Sophie sembra eternata nella parentesi del tempo libero. Un’eccedenza rispetto agli squarci del quotidiano, presenti come ferite sottotraccia e capaci di emergere quando scopriamo il passato come prospettiva osservata dal futuro.
Le marche temporali, ove presenti, affondano nei gesti, negli oggetti quotidiani, nei telefoni a gettone, in uno scatto realizzato con la Polaroid dove il tempo dell’attesa carica il senso del ritratto di quell’unicità decisiva e impermanente legata alla metamorfosi dell’istante.
La ricombinazione di tutti questi elementi, insieme alla consuetudine di Sophie con videocamera e nastri miniDV, colloca l’esperienza dei due protagonisti nello spazio del ricordo.

Se la prospettiva di una donna già adulta di cui poco sappiamo, indirizza tutto verso le memorie di Sophie, Wells stabilisce una comunicazione bidirezionale tra le due falde temporali, aprendo delle finestre vere e proprie che negano la retorica circoscritta e gerarchica del flashback.
L’intermittenza di una luce stroboscopica che rende indistinti i corpi danzanti sul dancefloor è la porta dimensionale che consente a Sophie di avvicinarsi al padre ancora una volta, un movimento più metamorfico che metaforico, dove il destino di Calum rimane incerto, inghiottito nelle spire del tempo e da un dolore tanto palpabile quanto indicibile.

Con Aftersun Charlotte Wells individua le potenzialità dell’immagine cinematografica nelle sfasature tra cosa vista ed incertezza del ricordo, caricando di una tensione estrema tutte le varianti, aurali e scopiche, del fuori campo.

Ed è proprio attraverso i vuoti che si verifica l’espansione del fenomeno, come libertà dell’osservatore di riempirne gli spazi con un carico personale di intensità emotiva.
Mentre l’essenza materica ed elementale di Hoard consentiva a Luna Carmoon di evidenziare le fratture, anche invisibili, con il tempo dell’esperienza, Charlotte Wells scorge le risonanze dell’ineffabile nell’ipnosi espansa della quotidianità. Apparentemente priva di rilevanza, questa cela riflessi, punti di vista, piccoli eventi che dischiudono abissi e terremoti dell’anima.

Li si possono intravedere in un gesto, nella luce che scolpisce i movimenti del Tai-Chi praticato da Calum, nel pianto improvviso che scaturisce dal vuoto, ma soprattutto nell’essenza della perdita rappresentata come scarto tra tempo dell’amore e quello della vita.
Sull’inseguirsi di Sophie e Calum attraverso lo spaziotempo, Wells costruisce un lungo momento notturno di sorprendente naturalezza e complessità.

Quando la bambina si attarda con una serie di compagnie occasionali e il padre annega altrove nel dolore, c’è un’inversione di ruoli nell’esercizio della cura e della protezione, che viene raccontato con la casualità dei movimenti. Il concatenarsi di eventi tragici potrebbe scaturire da un momento all’altro, eppure il disallineamento delle loro vite, ritrova un senso e la possibilità dell’incontro, proprio nel girare a vuoto.
Ciò che invece non si può recuperare rimane fuori dalle possibilità del racconto e dagli strumenti capaci di riattivare le qualità della memoria. La morte è quindi una delle possibilità di lettura, spinta e procrastinata nel futuro.

L’idea di cinema che Wells sembra ricercare è quella di un movimento continuamente eccentrico, dove amarsi corrisponde al mancarsi e le convergenze ad uno spostamento progressivo del ricordo.
Ciò che rimane nelle immagini in movimento legate al consumo dei ricordi è la dimensione soggettiva della presenza, mentre tutto quello che promana da quel centro è un’immagine incerta, opaca, riflessa, ancora aperta al mistero.

Anche le canzoni, dispositivi mnestici per eccellenza, vengono utilizzate come oggetti di sound design, capaci di modificare la percezione del tempo e insieme ridefinire il senso delle immagini in relazione alle liriche. Se Tender dei Blur trascolora dalla preghiera all’attesa di una rivelazione che non si è mai manifestata, immersa com’è nella perdita e in una mancanza sospesa nel tempo, le parole scritte da David Bowie per Under Pressure sembrano caratterizzare tutto ciò che abbiamo imparato di Callum fino a quel momento. Anima fuori luogo, fuori tempo e per Sophie fuori dall’esperienza che non sia quella del ricordo, attende ancora di esser salvato dai margini della notte.

Aftersun di Charlotte Wells (GB, USA – 2022 – 96 min)
Interpreti: Paul Mescal, Celia Rowlson Hall, Frankie Corio, Kayleigh Coleman, Sally Messham, Harry Perdios, Ruby Thompson, Brooklyn Toulson
Sceneggiatura: Charlotte Wells
Fotografia: Gregory Oke
Montaggio: Blair McClendon

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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