venerdì, Aprile 26, 2024

La Bottega dei Suicidi, l’incontro con Patrice Leconte

La Bottega dei Suicidi, il primo film di animazione del regista francese Patrice Leconte (La ragazza sul ponte, 1999), in uscita nelle sale il 28 dicembre e distribuito da Videa Cde, ha già in qualche modo fatto parlare di sé in questi giorni, l’uscita Italiana era prevista con un divieto ai minori di 18 anni a causa delle “tematiche trattate”. Tra il 20 e il 21 Dicembre le notizie a riguardo sono state abbastanza altalenanti, tanto che Videa Cde era ormai pronta per interrompere la distribuzione nelle sale optando per una diffusione destinata al solo mercato home video; l’improvviso passo indietro della commissione censura ha permesso la distribuzione nelle sale senza alcun tipo di divieto. Indie-eye era presente alla conferenza stampa del 19 Dicembre alla Casa del Cinema di Roma per l’incontro con Patrice Leconte, questo è il resoconto.

Il film, ambientato in una realtà dai contorni atemporali, si svolge all’interno di una città sull’orlo di una crisi condivisa, l’angoscia e la depressione fanno da padrone nell’animo degli abitanti, spingendoli al suicidio. In questo mondo così strutturato le morti per suicidio sono quasi norma ma allo stesso tempo vietati in luogo pubblico, in caso contrario la polizia si appresterà a vergare una multa sul corpo inerme come se si trattasse di un qualsiasi divieto di sosta.
La famiglia Touvache svolge in questo contesto un compito “nobile” procurando alla gente ormai sull’orlo di una cronica depressione i mezzi necessari per “farla finita”. Il gusto del tetro è condiviso dai Touvache tanto che, come ha affermato lo stesso Leconte “i riferimenti più immediati e automatici di un film che lavora sulla relazione tra società e morte, sono quelli legati alla famiglia Addams o al cinema di Tim Burton

Questa prima parvenza di stabilità cittadina data dal business familiare dei Touvache viene rotta dalla nascita dell’ultimo figlio chiamato Alan che a differenza dei suoi genitori e fratelli manifesterà un’incontenibile gioia di vivere.

Saltano all’occhio nel film alcune scelte scenografiche ed altre legate alla tecnica di animazione. Leconte ha preferito un segno di impostazione classica ad un’animazione che sfruttasse CGI o l’impiego di pupazzi come per esempio nel primo Tim Burton: “Effettivamente mi sono posto la domanda su quale tecnica d’animazione avrei potuto affrontare, sono molto legato al disegno e volevo che il film avesse un aspetto molto classico e molto disegnato. Ed è per questo che non ho voluto impiegare le agevolazioni della computer grafica, molto di moda e molto utilizzata ma che ha un risultato più levigato facendo cosi perdere  il gusto del disegno. Ho realizzato dei cortometraggi di animazione da adolescente, volevo che questo film rimanesse specificatamente un disegno animato. Soprattutto perché volevo che il risultato fosse molto vivace, ritmato e che i gesti fossero molto rapidi mentre con i pupazzi tutto sarebbe stato molto rallentato. Per questo ho ritenuto che fosse la scelta ideale per La Bottega Dei Suicidi

Riguardo la scenografia: “Ho citato molto spesso il XIII arrondissement. E l’ho rispettato molto poco perché nel tredicesimo ci sono edifici molto alti e molto tristi. L’idea era quella di avere dei palazzi talmente alti che impedissero al sole di penetrare nelle strade”.

Ne La Bottega dei Suicidi c’è una particolare cura nel tratteggiare le differenze tra gli adulti e i bambini, ovvero con i personaggi sostanzialmente positivi del film con i quali un pubblico più giovane potrebbe identificarsi. I Primi hanno un tratto più realistico e al tempo stesso caricaturale rispetto ai secondi, disegnati al contrario con forme più arrotondate e più semplici: “I  disegnatori si sono divertiti a ritrarre persone del loro ambiente, a fare alcune caricature di persone che conoscevano, non si tratta di personaggi famosi, intendiamoci. Ad esempio, c’è un personaggio che visita spesso il  negozio, ha un cappellino, è lo stesso che alla fine ruba una corda e che viene a chiedere una crepe al cianuro; ecco si tratta di un collaboratore, che dopo essersi visto sullo schermo, ha negato totalmente!

Al di là di questo, la scelta del tratto è stato un buon modo per evitare di comunicare messaggi sbagliati ad un pubblico giovane, indicando con tratti pesanti e toni cupi qualcosa da non imitare, approccio già sfruttato ampiamente nell’ambito dell’animazione e in generale in quello dell’illustrazione.
Il film, che in parte è anche una commedia musicale, utilizza le musiche in forma contrastiva: ”Ho lavorato alla musica per La Bottega dei Suicidi con un amico e compositore che si chiama Etienne Perruchon. Ho già realizzato altri film con lui e abbiamo scritto alcune canzoni insieme, ispirandoci in parte alla musica folk dei paesi dell’est e a quella di Kurt Weill. Quando gli ho proposto di lavorare a “La bottega…” ha fatto i salti di gioia, perché da quando fa il compositore ha sempre sognato di poter collaborare ad un film d’animazione, in questo senso gli ho permesso di realizzare il suo sogno. In parte le musiche del film hanno un retrogusto nostalgico, io non lo sono affatto ma nutro un certo piacere per il passato e  volevo che a modo suo il film fosse atemporale e non moderno a tutti i costi. Per evitare di esprimere che è la società moderna a spingerci al suicidio, volevo provare a essere più universale. La canzone dei titoli di testa è abbastanza nota ed è di Charles Trenet,  ho trovato che fosse straordinario utilizzare un brano intitolato Y’a d’la joie (C’è gioia) come inizio per un film che si chiama La bottega dei suicidi. Allo stesso modo, quando Alan salta sul cartellone ho trovato divertente vederlo rimbalzare sul naso di Jean Gabin”.

La Bottega dei Suicidi  tende in un certo senso ad avvicinarsi alla forma di una parabola lavorando maggiormente sul concetto piuttosto che marcando riferimenti spaziali e temporali. Se come dice Leconte, si presenta alla fine come un inno alla voglia di vivere, affrontare la morte può trovare la resistenza delle commissioni di censura di alcuni paesi dove il tema è considerato un taboo, oppure, come in Giappone, dove è sin troppo sentito. In uno scenario senza riferimenti spazio temporali precisi non mancano però quelli culturali e storici; il padre della famiglia Touvache si chiama per esempio Mishima come il noto scrittore morto attraverso il rituale del seppuku (meglio conosciuto in occidente come hara-kiri) e al seppuku stesso farà riferimento il signor Touvache che lo consiglierà a un suo cliente. A proposito di queste problematiche Leconte risponde: “Ho effettivamente pensato che l’argomento potesse essere abbastanza terribile però ho anche pensato che se mi fossi posto troppe domande avrei finito col non fare nulla. Sono assolutamente consapevole che il film possa essere interpretato in modo diverso a seconda delle persone, dei paesi e della cultura ma è proprio quando si cerca di piacere a tutti che si finisce col non piacere a nessuno. A tutti, e anche a me,  è capitato di conoscere persone che poi si sono suicidate e non ho mai avuto voglia di scherzare su una scelta del genere. Ho semplicemente pensato che realizzando un film che affronta con ironia un argomento del genere, sarei riuscito a farlo digerire meglio. Gli aspetti tristi e cupi lo sono veramente anche visti in relazione e in contrasto con una musica molto allegra, ero sicuro che avrebbe funzionato. È vero però che tutto questo, per esempio in Giappone, può essere giudicato molto male, penso in particolare al riferimento al seppuku

Riguardo alla libertà espressiva concessa all’autore, un altro confronto, oltre a quello con il pubblico che recepirà “La bottega dei suicidi”, è quello con l’autore del libro al quale è ispirato,  Jean Teulé. “Quando ci si butta in un nuovo progetto ci vuole una certa dose di incoscienza. Prima di tutto se si riflette troppo sulle cose si rischia di diventare prigionieri delle proprie riflessioni. E quindi preferisco sempre procedere in modo intuitivo nei vari progetti che mando avanti. Ho fatto cosi anche per questo film; non mi è stato imposto nessun tipo di divieto e mi sono sentito assolutamente libero. L’autore del libro non voleva e a questo proposito mi ha detto: «Fa quello che vuoi! è il tuo film prenditi pure tutta la libertà di cui hai bisogno». Una volta terminato il lavoro, gli è piaciuto moltissimo e mi ha fatto un bellissimo complimento: «Questo è un film tuo. Sono contento di non esser stato io a farlo»”.

Proprio in relazione alla sua fonte letteraria, il film si differenzia per esempio nel finale: “Il libro ha un finale assolutamente pessimistico. È talmente pessimistico che il piccolo Alan si butta dal tetto. E questo finale mi è sembrato impossibile. Mi sono divertito a cambiarlo in modo molto positivo, da commedia musicale e quindi per certi versi molto kitsch ed esagerato. Questo perchè speravo di far passare l’idea che “La vita è bella”, anche se non è del tutto vero, la vita non è tutta bella...”

Durante la conferenza stampa Leconte ha accennato ad alcuni futuri progetti: “È stata un’esperienza davvero entusiasmante e mi sono divertito moltissimo a fare La Bottega dei suicidi, proprio per questo con lo stesso gruppo di lavoro abbiamo cominciato a pensare ad un nuovo progetto d’animazione. Una sceneggiatura originale, questa volta, che stiamo finendo di scrivere. Il film si chiamerà “Musica”. Cerchiamo di immaginare come sarebbe la nostra vita se un giorno ci svegliassimo in un mondo senza musica, questa è l’idea a cui stiamo lavorando; anche se non credo sia l’inizio di una nuova carriera, lavorare con l’animazione è una cosa che mi piace molto. È un grosso lavoro dai tempi molto lunghi, ma ti dà anche la possibilità di fare altro contemporaneamente. A volte incontro delle persone che mi chiedono: «è lei che ha fatto i disegni del film?» «Non sono io che ho fatto i disegni». E loro mi dicono: «ma se non ha fatto i disegni cosa ha fatto?». L’unica risposta un po’ intelligente che ho trovato è che nei film che ho fatto prima di questo non ero io che recitavo”.

 

Domenico Fiorito
Domenico Fiorito
Domenico Fiorito si è laureato al corso di laurea Magistrale di "Cinema, Televisione e Produzione multimediale" dell'Università degli Studi di Roma Tre con una tesi su Yasujiro Ozu riguardo i rapporti tra l'autore e la cultura tradizionale; la ricerca di un possibile linguaggio transculturale attraverso una logica biologico-evolutiva e neuro-cognitivista e in ultima analisi il rapporto che lega questo cinema con il concetto di modernità.

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