venerdì, Ottobre 11, 2024

The Sea and Cake – Any Day: tra città e anima, l’intervista esclusiva a Sam Prekop e Archer Prewitt

The Sea And Cake, una delle band più stimolanti e originali tra quelle che hanno incendiato la scena Chicagoana a partire dagli anni novanta. Formatasi a metà di quel decennio grazie ad Archer Prewitt, Sam Prekop, Eric Claridge e John McEntire, capitalizzavano l’esperienza maturata nei rispettivi progetti: The Coctails, Shrimp Boat e Tortoise. Il primo omonimo album della band esce nel 1994, lo stesso anno del debutto sulla lunga distanza per i Tortoise; entrambi i lavori vengono pubblicati dalla Thrill Jockey di Bettina Richards, etichetta con appena ventiquattro mesi di vita alle spalle e che nel tempo diventerà una di quelle nodali per tutto il rock strumentale e non, catalogato con una certa approssimazione nella categoria “post-rock” elaborata da Simon Reynolds proprio durante il quarto anno del nuovo decennio. Cinque anni prima rispetto alla fondazione di Epitonic, il progetto digitale di Justin Sinkovich stanziato a San Francisco e che avrebbe raccolto tutti quegli stimoli nel primo portale mp3 di “rappresentanza” per tutti gli artisti fioriti intorno a quelle intuizioni, la band guidata dalla voce di Sam Prekop sintetizzava con modalità più sottili e impalpabili quella fusione di Jazz, elettronica e avant-pop che spostando polarità, energia e attitudini, sarebbe stata comunque un marchio di fabbrica per molte formazioni a venire. Dal ’94 al 2018 The Sea and Cake pubblicano undici album, l’ultimo dei quali intitolato “Any Day” è uscito per Thrill Jockey la scorsa primavera, consegnandoci uno degli episodi più ispirati della band dai tempi di “One Bedroom” e che ha più di un punto di contatto con il bellissimo album solista di Sam Prekop pubblicato nel 1999 e condiviso con Prewitt, Jim O’Rourke, Joshua Abrams e Rob Mazurek.
“Any day” è il primo album per The Sea And Cake inciso senza Eric Claridge, allontanatosi dalla band per aver contratto la sindrome del tunnel carpale e sostituito dal vivo da un collaboratore di lunga data della band, Douglas McComb, già nei Tortoise e nei “morriconiani” Brokeback. L’album contiene la collaborazione dell’ottimo contrabbassista Nick Macri, oltre a quella di Paul Von Mertens, uno dei polistrumentisti più importanti di Chicago, che aveva già avuto modo di regalare il suono dei suoi flauti nei bei album solisti di Archer Prewitt. 

La band ha appena concluso la prima parte del tour statunitense e prima di ripartire per altre date oltreoceano, abbiamo approfittato di una breve pausa nel loro intensissimo calendario per una lunga conversazione sul nuovo album e sulla loro lunga carriera.

The Sea and Cake su Thrill Jockey

La lunga carriera dei The Sea & Cake, dal mio personale punto di vista, è una stupefacente intersezione tra l’esperienza intima e quella urbana, lungo venti anni di storia musicale. Durante questo periodo, quanto è cambiata la vostra idea di Chicago, in termini di attaccamento, amore e anche distacco, relativamente alla sua storia musicale e culturale, di cui siete una parte importante? 

Archer Prewitt: Ho sempre creduto che il luogo dove scegli di vivere, influenzi in qualche modo il tuo lavoro. Le possibilità e l’offerta culturale che offre una grande città come Chicago continuano a diffondere energie e a provocare stimoli. Non posso dire di amare o di aver amato sempre questa cittá, ma dopo tutti questi anni provo ancora una certa reverenza. C’è Storia in ogni angolo, più di quanto io stesso possa pensare di elaborare. Una bellissima storia musicale che merita rispetto e ricerca. 

Sempre sulla città e su come modelli il nostro sguardo, ho una domanda per Sam. Scatti molte fotografie durante i tuoi tour. Paesaggi urbani e motivi geometrici che in qualche modo richiamano le tue pitture. L’occhio fotografico e la cornice di un quadro, seguono un percorso simile a quello che utilizzi per la scrittura delle tue liriche?

Sam Prekop: Credo ci siano alcune correlazioni, specialmente quando comincio a sviluppare i testi. Quando scatto, non cerco cose specifiche, spero invece di essere piú aperto possibile rispetto a quello che potrebbe ispirarmi o catturare il mio occhio. Quando mi cimento con la scrittura dei testi, improvviso le parole, registro il risultato cosí da ridefinire oppure espandere in fase di modifica, quello che sará la forma della canzone. Quando produco fotografie, lo scatto rappresenta solo il primo passo, mentre valutare e modificare il materiale grezzo è ció che poi diventerà effettivamente la fotografia.

Sam Prekop e la fotografia

E la musica? Modellare e rimodellare, concepire forme e decostruirle. Sam, quando ho visto per la prima volta l’artwork del tuo primo album solista ho pensato che tutte quelle piccole forme cubiche che esprimevano lo spirito globale della città, fossero vicine a quello della tua stessa musica…

Sam Prekop: Mi piace molto quello che dici! Per quanto mi riguarda l’aspetto geometrico delle pitture rappresenta un motivo e un linguaggio utile, in virtù di una certa neutralità delle forme. Queste non sono orientate a diventare più interessanti o espressive di quanto non lo siano già intrinsecamente, in linea con il materiale grezzo che produco, la mia attitudine nei confronti dei testi che scrivo e delle foto che scatto.  E mi piace pensare che il processo di scrittura delle canzoni segua queste idee, in parte dettate anche dalla necessità, se consideri che sono un musicista auto didatta! Quindi spero sempre di imbattermi in qualche idea interessante a livello musicale, in grado di manifestarsi quando non sei sempre sicuro su quello che stai facendo. 

Sam Prekop – l’artwork del primo album solista (Dipinto di Sam Prekop)

Che tipo di rapporto hai con la tua voce. Ormai credo la si possa considerare come un vero e proprio marchio di fabbrica, come altre voci “sottili”, penso a Nick Drake ma anche a molta tradizione folk britannica, per definire comunque una qualità unica che proviene direttamente dall’anima. C’è una tecnica particolare o una lezione specifica che hai messo in pratica per trovare la tua strada durante questi anni di carriera?

Sam Prekop: Penso di aver lavorato in modo molto particolare in questi anni. Ho cominciato a cantare in modo del tutto accidentale, e non ho mai avuto alcuna ambizione di diventare un cantante o un vocalist tradizionalemente “bravo”. Sin dai primi anni ho cercato allora di focalizzare il mio lavoro su ciò che avrebbe potuto diventare qualcosa di unico in relazione alle caratteristiche della mia voce.  Essenzialmente si tratta di quello con cui posso effettivamente lavorare ed è stata davvero una sfida gratificante!

Ancora in relazione alle foto e ai vostri artwork. Chi ha scelto l’immagine del vecchio set televisivo per la copertina di “Any Day”?

Sam Prekop: Stavo consultando il mio archivio di fotografie e questa immagine è venuta fuori immediatamente per il potenziale che aveva come copertina davvero interessante. Quando l’ho scelta non mi sono soffermato troppo a pensare. La foto è stata scattata circa dieci anni fa, il che la rende già di per se interessante. Ma ciò che la rende davvero intrigante è il modo in cui cattura il senso del tempo trascorso senza illustrare il concetto in modo letterale. Guardandola retrospettivamente, crea un’immagine che risuona in modo totalmente differente rispetto al momento in cui è stata realizzata. Mi piace anche che sia una foto “ritrovata” piuttosto che un’immagine realizzata esplicitamente ed esclusivamente per la copertina di un album. Rappresenta un’immagine terribilmente mondana che simultaneamente trascende in modo misterioso il suo stesso oggetto. Sono molto interessato a queste intersezioni; da questo punto di vista è stata una scelta facile. 

Riguardo al contenuto musicale di “Any day”, mi sembra che il vostro nuovo lavoro porti la musica dei The Sea & Cake verso un approccio maggiormente impressionista. Per esempio il contributo di Paul Von Mertens sul brano che da il titolo all’album, oppure l’impressione strumentale di “Paper window”. Questi due brani e altri nell’album, sembrano dischiudere una qualità organica, naturale e allo stesso tempo, astratta…

Archer Prewitt:  Credo si tratti di una diretta e naturale conseguenza di quello che la band ha sempre fatto, a parte le idee e il talento di Eric (N.d.r. Il bassista Eric Claridge, che ha lasciato la band prima della pubblicazione di “Any day” per un problema legato al tunnel carpale). Quindi quello che appare come un cambiamento generale di registro, credo debba essere attribuito al tipo di enfasi impiegata su tutti i brani dell’album, da noi tre che siamo rimasti.  Sento per esempio che adesso il centro è davvero la voce, come dovrebbe essere. Le idee sono più snelle e concentrate. 

A proposito di questo mi sembra che “Paper window” sia una battaglia tra il giorno e la notte. Non ha una qualità totalmente notturna, né si immerge nel mattino, in termini di atmosfera intendo. Direi piuttosto uno stato di transito, che mi fa venire in mente la qualità cinematica dei primi album dei Pell Mell…

Archer Prewitt: Non conosco molto bene gli album che citi e li ascolterò sicuramente. Posso però dirti con certezza che la progressione accordale iniziale appartiene a Sam, ce l’ha proposta mentre io e John stavamo ascoltando l’approccio contemplativo di “Albatross” dei Fleetwood Mac, che è sempre stato uno dei miei ascolti preferiti. Penso che “Paper Window” sia meravigliosamente evocativa e ottimistica.

“Day Moon” mi sembra un altro brano ossimorico. Notturno e un po’ oscuro, uno degli episodi che preferisco dal vostro nuovo album, anche per l’attitudine pop-wave…

Archer Prewitt: Da un punto di vista dello sviluppo è una canzone interessante. Solamente poche canzoni del nostro catalogo sono state riconfigurate drasticamente dopo aver registrato la struttura essenziale. Sam ha cercato di cantare sulla sezione originale per poi capire che non funzionava, per questo sono stati elusi tre accordi dei quattro, lasciando un drone tensivo e insistente sul quale è stato possibile formare le armonizzazioni vocali con una certa libertà. Mi piaceva soprattutto il ritornello, per questo non ho avuto problemi in fase di editing. Mi piace moltissimo anche questo attuale. 

La collaborazione con Paul Von Mertens viene da lontano…

Archer Prewitt: Si, esattamente. Conosco Paul da molti anni. Ha suonato sui miei album solisti e abbiamo fatto diversi concerti insieme. Aveva già suonato e arrangiato gli archi su “One Bedroom”. Credo sia una persona di grande talento e una delle più gentili che io conosca

“These falling arms” è una chiusa commovente e credo contenga lo spirito dell’album per il suo movimento apparente e interiore…

Archer Prewitt: Con Sam abbiamo cementato la struttura della canzone velocemente durante un pomeriggio di lavoro e l’ho sentita subito come un motivo naturale. Alla fine rappresentava un setting assolutamente semplice per le complesse e sofisticate tramature vocali che Sam aveva ideato. I testi sono intensi e malinconici. Dal mio punto di vista, il disappunto e l’ansia arrivano dalla corrente, casuale e pericolosa amministrazione politica. Una rassegnazione che mi commuove. Si tratta di una canzone triste. 

The Sea And Cake – Any Day – Unboxing Vinyl

Il tuo contributo su “Any day” mi sembra meticoloso e sorprendente dal punto di vista della tessitura. Oraganico e diretto e allo stesso tempo con una qualità “sinfonica”, per il modo in cui hai impiegato gli effetti. Come hai raggiunto questo risultato e come lo porterai sul palco?

Archer Prewitt: Grazie. Ho dovuto concentrarmi sulla musica e le voci, tentando numerosi approcci. Esercizio ed errori. E ho impiegato molto tempo a cercare il tono giusto e le interazioni armoniche. Ho utilizzato la tastiera di un organo in combinazione con l’ebow utilizzato sulla chitarra per avvicinarmi ad una sezione archi o comunque a qualcosa di più etereo. Avere già le voci su cui lavorare è essenziale per creare spazio e atmosfera. I testi e il fraseggio melodico hanno in qualche modo indicato la direzione. Sul palco scelgo la parte più evidente di questa struttura, quella più forte e la faccio venir fuori. 

Per quanto riguarda il lavoro sui tuoi testi Sam, anche se la forma soggettiva è la migliore per avvicinarsi al lavoro che svolgi, all’interno di “Any Day” percepisco un senso di perdita e allo stesso tempo di rinascita…

Sam Prekop: Sono d’accordo in linea generale e soprattutto sul fatto che ci sia un pervasivo senso di perdita nei nuovi testi, scritti consciamente, guidati e organizzati con lo stesso tipo di coscienza. Per me questo processo consente di lavorare su canzoni interessanti ed evocare sentimenti e idee inconsuete. Spero sempre di esser sorpreso dai testi, per questo idee e sentimenti sono dentro un flusso, cambiano cosi come la canzone cresce, mentre si evolve la mia esperienza riguardo ad essa. Sento comunque di dover trovare un equilibrio tra le canzoni, una sorta di dialogo interno con i versi. Quindi è vero che le canzoni hanno una qualità malinconica, ma non nel senso di una sconfitta e forse, in ultima istanza, sono anche speranzose. 

Quale verso delle tue nuove liriche descrive meglio lo spirito di “Any day”?

Sam Prekop: “I had to cover the mountain, on and gone away, I had to follow the moonlight, falling against the ocean” (Sono tratti da “Cover the mountain” N.d.r.). Credo che questi siano i miei testi preferiti e credo che in qualche modo raggiungano quella ricerca di equilibrio di cui ti parlavo prima. Spero anche che si aprano verso un mistero che potrebbe rivelarsi bellissimo!

Credo che gli album dei The Sea & Cake contribuiscano ad evidenziare qualcosa di diverso in un regno del tutto speciale, situato tra l’esperienza reale e l’esigenza di quella interiore all’interno di un paesaggio urbano. Fuori dal tempo e perfettamente insita nel nostro tempo. Un’alchimia speciale.

Archer Prewitt: Per realizzare quello che dici abbiamo sempre avuto fiducia e interesse nella musica. È davvero un peccato che Eric non possa più lavorare con la band, ma andiamo avanti con la musica per trovare una via. Ognuno di noi apprezza le idee degli altri. Da questo punto di vista abbiamo trovato alcuni standard molto rigorosi e costruiamo canzoni in un modo del tutto particolare. E poi ci sono due costanti fondamentali, la voce e i testi di Sam.

Archer, come è cambiata la scena musicale di Chicago nel corso degli ultimi venti anni, sia in termini positivi che negativi? C’è qualcosa di nuovo dal tuo punto di vista che in qualche modo si connette con la vostra lezione e con l’esperienza l’eredità lasciata da altri musicisti attivi dagli anni novanta?

Archer Prewitt: Sembra che ci sia sempre stato un continuum salutare di persone che si mettono insieme, cercando di creare qualcosa di utile. Qualcosa di unico. Ho qualche dubbio che la nostra musica abbia influenzato qualche band nuova tra quelle attive adesso a Chicago, ma è assolutamente possibile. Tutti vogliono trovare la propria voce, e non potrei dirti con esattezza quanto e come sia cambiata la scena, perché non esco più molto. Gli show che frequento sono come tutti gli altri, gente entusiasta che beve. Bei tempi. 

Che tipo di contributo porterà Doug McCombs ai brani di “Any Day” durante i vostri prossimi show dal vivo?

Archer Prewitt: Doug ha portato un po’ di imprevisto e di improvvisazione ad alcune delle tracce eseguite dal vivo. Gli piace davvero il materiale e comunque cerca sempre qualcosa che possa piacergli. È un bassista davvero molto potente.

Le canzoni sul palco saranno più espanse rispetto a quelle su album?

Archer Prewitt: Quando suoniamo dal vivo tendiamo a dare una forma molto più rock ai brani, questo in generale. Molto volume ed energia, aspetto che credo possa sorprendere qualcuno. Nel complesso cerchiamo di non modificare troppo la struttura.

Progetti per il futuro?

Archer Prewitt: Vorremmo incidere presto un nuovo disco. Personalmente sto progettando un album solista, che è ancora in lavorazione. Tutte cose che richiedono ancora un po’ di tempo.

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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