venerdì, Novembre 14, 2025

Alpha di Julia Ducournau: recensione

Il deserto da cui Alpha proviene e che pervade tutti gli strati della vita individuale e collettiva, è entroterra psichico riemerso prepotentemente dai corpi ridotti allo stato minerale, vittime di una guerra inafferrabile tra la città notturna e l’identità di alcune comunità espulse. Tra queste, Alpha è l’origine, l’arché di una mitologia del mondo berbero, che presta il proprio corpo come superficie di iscrizione e mutazione del racconto. Sull'ultimo film di Julia Ducournau

Sto nel fragore
di un lido tormentato dalla risacca,
stringo in una mano
granelli di sabbia dorata.
Soltanto pochi! E pur come scivolano via,
per le mie dita, e ricadono sul mare!
(Edgar Allan Poe – Un sogno dentro un sogno – 1849 -)

Nel retro-futuro di Alpha tutto somiglia alla sostanza già vissuta eppure mai completamente elaborata di un trauma.
Ecco perché un virus che colpisce la popolazione e sembra seguire la fenomenologia del contagio simile agli anni ottanta dell’AIDS, non conserva quasi più niente di quell’iconografia popolare né della sua retorica, avvicinandosi casomai all’astrazione della campagna di prevenzione lanciata dal governo britannico nell’87 e inaugurata dall’ipovisione apocalittica di Nicolas Roeg, dove l’immaginario post-industriale si fondeva minacciosamente con i fattori mutageni dell’antropocene, senza alcuna figura umana all’orizzonte e un mondo di pietra che si sfaldava.

La dimensione simbolica diventa polisemica, nonostante la concentrazione evidente dei riferimenti autobiografici, e osserva il futuro dal passato, tramite il passaggio in una terra sospesa nello spazio del sogno, le cui coordinate sembrano radicarsi in una durissima esperienza bellica.
Il deserto da cui Alpha proviene e che pervade tutti gli strati della vita individuale e collettiva, è memoria ancestrale, entroterra psichico, matrice rimossa dal dominio dei complessi urbani, ma riemersa prepotentemente dai corpi ridotti allo stato minerale, vittime di una guerra inafferrabile tra la città notturna e l’identità di alcune comunità espulse.

Tra queste, Alpha è l’origine, l’arché di una mitologia del mondo berbero, che presta il proprio corpo come superficie di iscrizione e mutazione del racconto. Soffermarsi sulla semplificazione critica che ha associato il tatuaggio al segno della colpa, significa sottovalutare l’atto di fondazione e l’idea di corpo come archivio, che attraversa tutta la filmografia di Julia Ducournau. Nella fusione di sangue e inchiostro, la scrittura si lega indissolubilmente alla pelle, prima texture inquadrata dalla regista francese dove i fori delle siringhe ipodermiche diventano segni di una cartografia per unire i puntini delle proprie radici. 

La penetrazione dell’ago inchiostrato allora non sublima solamente la violenza di un atto sessuale, con quella prossimità pornografica che ritornerà più di una volta nella relazione con l’apparato medicale, ma designa il corpo come interfaccia tra linguaggio e mondo, attraverso tutti i segni con cui il secondo viene inciso su di noi.

Le convenzioni del body-horror vengono sovvertite con una scelta sottrattiva. Questa sposta la dimensione grafica della mutazione formale, nello spazio della rivelazione di un rimosso ormai fuori dai limiti del visibile.

Se allora il deserto è idea che cresce all’interno della contemporaneità per consentirci di articolare tutte le ansie legate al tempo, il vuoto e alla perdita, non solamente da una prospettiva ambientale, nella rifondazione della realtà veicolata da Alpha, definisce il limite tra ciò che è abitato e un’eccedenza sospesa.

Dove ogni wasteland indica una perdita simbolica di significato, la desublimazione del corpo nell’aridità della pietra svela il fragile esoscheletro della città, fata morgana in mezzo alla tempesta di sabbia, con lo smascheramento del simbolico e il ritorno della materia nuda.

La polvere invade fisicamente i corpi, impasta il sangue, soffoca il respiro, disattiva tutte le funzioni vitali come se rivendicasse un’alterità originaria.
L’annientamento della civiltà e delle sue fragili leggi rivela un agente esterno che minaccia la coesione, ma è anche il tempo sospeso del rito mentre dialoga con gli elementi di una tradizione animistica legata alla memoria custodita di un popolo.

Più del sogno incorporato in un altro sogno che riscrive tutte le volte la nozione di realtà, il verso di Poe su cui l’insegnante di letteratura di Alpha si sofferma, allude alla metamorfosi dell’identità nell’atomizzazione del fenomeno. Perdersi nel fragore della risacca, diventare sabbia, fondersi nel tempo più che percepirne lo scorrere, per ritornare all’indifferenziazione del tutto.

La polvere che dai corpi invade una città ricombinata dalla memoria, restituisce in egual misura l’individuo alla terra, ne annulla i confini facendolo diventare parte del paesaggio, come quell’immagine dove il volto di Mélissa Boros condivide la stessa materia corpuscolare della sabbia rossa, e davanti a lei si sgretola la sostanza di un ricordo lasciato finalmente libero nella spietata verità del divenire.

Dal metallo di Titane alla pietra che annichilisce la carne, dalla morchia all’inchiostro, Ducournau scrive ancora con i corpi l’atto di resistenza più radicale e intimo della sua filmografia, nel disperato accanimento contro la morte e la distruzione, nella prossimità impudica alla tenerezza dei gesti, nel tentativo impari di trattenere la carne al di qua della cenere.

Alpha di Julia Ducournau (Francia, Belgio 2025 – 128 min)
Sceneggiatura: Julia Ducournau
Interpreti: Mélissa Boros, Tahar Rahim, Golshifteh Farahani, Emma Mackey, Finnegan Oldfield, Louaï El Amrousy, Marc Riso
Fotografia: Ruben Impens
Montaggio: Jean-Christophe Bouzy

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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