sabato, Giugno 14, 2025

Des preuves d’amour di Alice Douard: recensione, Cannes 78

Due madri. Una biologica, l'altra potenzialmente adottiva, per le leggi che regolano la maternità delle coppie omosessuali sposate. Alice Douard, dopo una serie di bellissimi corti, approda al lungometraggio ed estende un precedente film breve intitolato "L'attente". Des preuves d'amour, visto alla 64/ma Semaine de la Critique a Cannes 78, è racconto morale declinato con la leggerezza della commedia, ma anche un commovente cinema dell'at-tendere.

Dai primi anni dieci, Alice Douard descrive il mondo femminile alla fine del percorso adolescenziale.
I suoi film brevi sono racconti formativi oltre che di formazione, perché attraversati da una libertà positiva nella definizione di alcune identità alla ricerca del proprio centro.
Non è diverso il suo primo lungometraggio anche se l’età di riferimento è quella adulta nel passaggio dalla dimensione di coppia alla responsabilità genitoriale.

Un tema che la regista francese aveva già affrontato con L’attente, cortometraggio del 2022 di cui Des preuves d’amour è un’estensione diretta.
Mentre il breve film precedente era costruito intorno alle dinamiche dell’attesa di due donne sposate, osservate da vicino nello spazio ospedaliero intorno alla sala parto, questo indaga dettagliatamente tutto l’iter sociale ed emozionale che precede e include la nascita di una bimba.
Ambientato poco dopo la legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso, acuisce lo sguardo sulla scelta della maternità da due prospettive opposte e convergenti per come possono verificarsi nell’economia di una coppia lesbica.

Senza affidarsi al valore didascalico della parola, Douard sceglie una drammaturgia viscerale capace di esaminare da vicino corpi e gesti, mentre elaborano l’autenticità di un legame così forte.
Tra le due madri, quella che non ospita la nuova vita, deve attraversare uno stigma pervasivo, anche quando solo accennato, teso a determinare il valore della maternità dal sangue e dai fluidi della gestazione.

La similarità biologica si confronta con le differenze consapevoli di una scelta e soprattutto attraverso due diverse costruzioni del sentimento materno.
L’attesa, movimento di sospensione narrativa intorno al quale girava L’attente, viene qui riempita da un duplice processo di trasformazione, il cui obiettivo è cercare un senso condiviso per colmare quel vuoto.

Douard parte da qui, sin dal confronto con il sistema giuridico francese che obbliga Céline, la partner della madre biologica interpretata da Ella Rumpf, all’adozione per il riconoscimento legale del figlio, e produce altre linee narrative, tra cui quella matrilineare.
La relazione di Céline con la madre pianista interpretata da Noémie Lvovsky, definisce un legame basato sull’assenza e sulla prioritizzazione della professione, la cui forza si basa sulle forme di un’intesa indicibile.

Douard le osserva nel loro scrutarsi, senza risolvere in una direzione o nell’altra le loro differenze incolmabili.
Eppure riesce ad individuare, tra il solco dell’appartenenza di sangue riflesso nelle performance pianistiche della madre e la presenza volontaria della figlia nella propria storia di maternità, un territorio possibile fatto di insicurezze, inversioni di polarità, scambio attivo, strenua resistenza agli stereotipi e vitale aderenza al senso profondo dei sentimenti.

Il piglio è quello di un Cinema che trova più strade possibili, attraverso le potenzialità del dialogo come strumento impiegato per avvicinarsi progressivamente alla rivelazione di uno stato interiore.
La superficie della parola allora, spesso fuorviante o semplicemente oppositiva, rivela altro rispetto ai volti e alle azioni dei personaggi, mentre cercano di negoziare la propria solitaria individualità in un contesto sociale condiviso e più aperto.

Visione positiva e costruttiva quella di Douard, ma assolutamente mai consolatoria, proprio per la capacità di evidenziare l’irriducibilità delle diverse identità personali in gioco.
Il tocco allora è quello del racconto morale, ma con la leggerezza della commedia, senza che questa divori il film con l’innesco situazionale, ma lasciando che il girare a vuoto, la sospensione, l’attesa come sentimento del futuro si riveli nella potenzialità di un continuo at-tendere, nell’accezione latina di orientarsi verso qualcosa.

Allora, come scrivevo, mentre il corto precedente si limitava all’incontro fortuito tra la madre non biologica e un futuro padre impaurito dal suo ruolo, qui il tempo si carica di maggiore intensità, tra volti e sentimenti che si succedono e affollano il tempo.

Attendere mostra un’oscillazione tra la paralisi di un percorso che potrebbe essere improvvisamente interrotto e la resistenza creativa a tutti gli ostacoli che si frappongono, da quelli burocratici fino all’annichilimento psicologico.

Il peso del tempo, proiettato indietro nella falda dei ricordi oppure tutto in avanti, nella prospettiva di un futuro condiviso è quindi inscritto nel volto riflessivo e nei movimenti tormentati di Ella Rumpf; nel modo in cui Noémie Lvovsky gestisce lo spazio, tra forza istintiva e razionalità tecnica, spaesamento rispetto alla quotidianità e volontà di controllo del proprio suono nel rapporto con la tastiera; nella fisicità di Monia Chokri, madre biologica nel film della Douard, capace di spezzare improvvisamente le convenzioni vivendo intensamente il presente.

Alice Douard è autrice di talento, che già aveva dimostrato le possibilità di una scrittura dinamicamente corale, ma allo stesso tempo aderente allo spazio vitale di tutti i personaggi in gioco, in alcuni bellissimi corti come Extrasystole e Les Filles. Des preuves d’amour conferma quelle sensazioni, nell’estensione di un racconto che si apre a molteplici possibilità, lasciando aperta più di una porta.

Des preuves d’amour di Alice Douard (Francia 2025 – 96 min)
Interpreti: Ella Rumpf, Félix Kysyl, Monia Chokri, Anne Le Ny, Noémie Lvovsky, Édouard Sulpice, Eva Huault, Julien Gaspar-Oliveri
Sceneggiatura: Alice Douard, Laurette Polmanss
Fotografia: Jacques Girault
Montaggio: Pierre Deschamps

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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