domenica, Maggio 5, 2024

sPAZIALE Festival, Mogwai / Anna Calvi, 12 -13 Luglio 2011, il report


Un pubblico più contenuto e pieno di curiosi quello per Anna Calvi, preceduta sul palco da un set del chitarrista e compositore torinese Paolo Spaccamonti, che inaugura il mood sofisticato ed oscuro della serata. La (meritata) notorietà di Anna Calvi carica di aspettative il pubblico torinese, se non altro per vedere confermate dal vivo le descrizioni lusinghiere con cui la stampa si è sbizzarrita quest’anno sul suo conto e per sentire quella manciata di pezzi del suo disco di debutto omonimo, che è a tratti strabiliante sentir canticchiare dalla folla. A molti sarà stato chiaro fin dai primi brani che non basta la combo femme fatale/chitarra a valere l’ormai trito paragone con Polly Jean Harvey, altri avranno scambiato i toni austeri, a tratti algidi, della buona prima metà del set per un carattere piuttosto schivo e una presenza scenica contenuta. In realtà quella di stasera è un’esibizione in evoluzione, una performance in ascesa che non può che confermare le doti dell’artista. Dopo la consueta intro Rider To The Sea, No More Words  tradisce un velo di stanchezza. Cantata con un filo di voce, trattenuta persino nell’apertura finale, quasi innica del pezzo, sembra più affidata ai fedelissimi compagni di trio, Mally Harpaz all’harmonium e percussioni e Dan Maiden-Wood alla batteria. Già con Blackout però la voce si riscalda e si intravede un grumo di passione. Vedere Anna con la sua Fender Telecaster, non c’è che dire, è un vero piacere, come conferma la successiva I’ll Be Your Man, per la quale la raggiunge sul palco un chitarrista di supporto. La tenuta da flamenco in chiave androgina per cui è nota nelle sue esibizioni è meno accesa del solito e appesantita da un giubbotto nero, complice il fresco da post-temporale che domina la serata, ma ci pensano le luci a ricreare l’ambientazione passional-romantica che è un tutt’uno col suo disco. A occhi chiusi e mano sul petto, Anna regala una First We Kiss splendidamente eseguita, in cui la voce esplode tonante sul finale. “And suddently from up here, everything’s clear, the love we had between us tonight, is here”: con queste ultime parole quasi profetiche inizia il vero climax della serata, con la cover Surrender e la b-side Moulinette. Suzanne & I, oltre a confermarsi favorita dal pubblico, è uno dei picchi di empatia tra i musicisti. Spesso e volentieri Anna ricorda quanto i tre lavorino al raggiungimento di un suono pieno e multiforme, sopperendo alla mancanza di un bassista e di altre strumentazioni: i cori sofferti di Dan e la fisicità di Mally all’harmonium aggiungono davvero molto alla performance. Quando Anna annuncia l’ultimo pezzo il pubblico si lamenta. Lei gentilmente sorride. In realtà tutti stiamo pensando la stessa cosa: “D’altra parte l’album ha solo dieci pezzi”. Dopo la strepitosa chitarra di Love Won’t Be Leaving Anna torna e bissa i virtuosismi con The Devil, probabilmente il picco della serata. Suggestiva o meno che sia l’idea che in quell’assolo di chitarra Anna veda strati di archi e altre strumentazioni, quel suo modo di colpire le corde freneticamente in senso circolare portando lo strumento sempre più vicino a sé rimane di indubbio fascino. Chiusura di rito con il flamenco in chiave Piaf di Jezebel: come agli eroi epici si “scioglievano” le ginocchia, c’è da scommettere che con quel finale un brivido sia passato lungo la schiena anche al più schivo degli spettatori. Il quid c’è, forte e chiaro.

Redazione IE
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