domenica, Maggio 5, 2024

Alessandro Baris – il suono dell’immagine, tra rimusicazione e forma pop: l’intervista

Alessandro Baris è cresciuto ad Esperia, a sud di Roma, ma le origini materne affondano le radici nel cuore degli Stati Uniti, tanto che l’elemento selvaggio dove e cresciuto e la fisiologia più ibrida del contesto americano, hanno sicuramente contribuito ad influenzare il suo lavoro, quasi sempre sospeso tra tecnologia e natura, ricerca e istinto. Dopo gli studi e la laurea in musica elettronica al conservatorio di Firenze, comincia la sua lunga avventura nella produzione e nella composizione, lavorando con alcune formazioni post rock ed elettroniche, tra cui Comfort e il progetto Collisions, quest’ultimo condiviso con Leonello Tarabella e legato all’impiego innovativo della manipolazione elettroacustica dei suoni in tempo reale.
Oltre ai live electronics Baris ha contribuito alla produzione per alcuni progetti più circoscritti in ambito pop, mantenendo sempre al centro ricerca e sperimentazione. Tra questi Young Boy condiviso con Joseph Desler Costa e il più recente Gold Mass, per il quale ha co-prodotto e scritto tutto il materiale; due anni e mezzo di lavoro dove ha contribuito ai suoni e alle parti di synth, basso, alcune chitarre e tutte le linee di batteria, collaborando con Paul Savage dei Mogwai.

L’attività di Baris in cui confluiscono tutte queste esperienze è quella legata alla rimusicazione del patrimonio cinematografico delle origini. Dal 2007 ha allestito le “live soundtracks” per “Voyage dans la lune” (Meliès), “Metropolis” (Fritz Lang), “Der Golem” (Wegener), “Faust” (Murnau), “The Passion of Joan of Arc” (Dreyer) ed è stato premiato nel contesto di festival importanti come il Moviemento di Napoli e il Rimusicazioni di Bolzano dove ha portato  “Un Chien Andalou” (Bunuel/Dalì) e “Berlin Symphony of a Great City” (Ruttmann).

Indie-eye, da sempre attento alla relazione tra suono e immagine, attraverso i due portali che dal 2005 ne costituiscono l’ossatura (Il portale Cinema e il portale Videoclip, il primo nel suo genere in Italia) ha “interrotto” Alessandro per un ricca e stimolante conversazione, proprio mentre sta portando sui palchi internazionali la rimusicazione de “Il Gabinetto del Dr. Caligari”, progetto che condivide con Beppe Scardino e Gabriele Evangelista.

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[La foto di copertina è di Mauro Boni ]

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Alessandro Baris, Beppe Scardino, Gabriele Evangelista – The Cabinet of Dr. Caligari, trailer

Vorrei cominciare a parlare del tuo rapporto con le immagini per il lavoro che svolgi sulla rimusicazione del patrimonio cinematografico delle origini. Come lavori alle colonne sonore dei film muti, tra improvvisazione e scrittura?

Ogni volta è un lavoro diverso ma sin dall’inizio ho sviluppato un mio approccio; in primo luogo guardo il film e contestualmente scrivo quella che chiamo “regia sonora”, un canovaccio attraverso il quale suddivido il film in una struttura delle scene. In un secondo momento mi soffermo su ciascuna di esse e seguendo gli input che mi arrivano dalla dinamica ed ambientazione delle immagini, dallo stato d’animo dei personaggi e dalla trama, scrivo dei temi per alcune scene mentre per altre mi affido all’improvvisazione con una connotazione specifica sulle sensazioni che deve evocare, il tutto in relazione alla mia personale interpretazione del film.

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f4bc42″ class=”” size=””]Non ascolto mai la colonna sonora originale di un film prima di musicarlo, lo faccio di proposito proprio per non ricevere una mediazione sonora del film prima di sviluppare il mio commento musicale.[/perfectpullquote]

L’ho fatto solo in un’occasione con “Un chien Andalou” di Bunuel/Dalì, e devo dire che in quel caso ho trovato geniale la scelta di utilizzare come sonoro la sospensione ed il lirismo cupo del “Tristano ed Isotta” di Wagner in contrapposizione al ritmo ed alla melodia quasi scherzosa di alcuni tanghi argentini, del resto il film stesso si smentisce di continuo. Da qualche parte ho letto che durante la prima di “Un Chien Andaloù” Bunuel era nascosto dietro lo schermo da dove mandava il sonoro e si era munito di sassi che all’occorrenza avrebbe tirato sul pubblico qualora questo avesse fischiato il film.

I mondi sonori che esplori vanno dal Jazz all’ ambient. Come li scegli per interagire con un film, puoi farci alcuni esempi?

Mi lascio guidare totalmente dall’immaginario sonoro che mi evoca il film in tutti i suoi aspetti. A questo poi sicuramente si aggiunge il mio background musicale e tutte le sue suggestioni che mi hanno attraversato negli anni. La combinazione di questi due elementi crea la sonorizzazione alla quale contribuiscono anche la sensibilità e bravura dei musicisti con cui ho la fortuna di lavorare di volta in volta. Volendo fare un esempio più specifico al momento sto portando dal vivo in pianta stabile “The Cabinet of Dr. Caligari” in trio con Beppe Scardino (C’mon Tigre, Calibro 35) ai fiati ed elettronica e Gabriele Evangelista (Rava, Bollani) al contrabbasso.
Il film è di una pasta davvero speciale sia per la trama che per le scenografie dalle forme zigzagate e dai colori ora caldi ora glaciali.
Ho pensato così di creare la sonorizzazione attraverso le sonorità di un trio jazz, utilizzando temi tesi e tempi dispari, ai quali si contrappone un elettronica cupa a tratti ambient ed a tratti più ritmica; dove utilizzare l’uno o altro elemento è studiato in base alle scene singole ognuna delle quali ha delle proprie caratteristiche visive ed emotive. L’unico filo conduttore della rimusicazione è la follia del protagonista il quale ci racconta una storia d’orrore che alla fine del film si scopre essere frutto della sua mente malata.

Il contesto di un evento di rimusicazione come lo vivi, in rapporto con il pubblico, e come lo vive il pubblico, in rapporto con le immagini e la tua musica?

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f4bc42″ class=”” size=””]La centralità dell’evento per me è il film; non lo vedo mai come un concerto anzi meno si viene notati dal pubblico e meglio è, ed è anche per questo che stiamo al buio ai lati dello schermo.[/perfectpullquote]

Quello che mi auguro ogni volta è che il pubblico non venga distolto dalla performance musicale ma che allo stesso tempo sia trasportato e guidato nel film attraverso il sonoro e le sue suggestioni.
A mio modo di vedere la combinazione delle immagini con la sonorizzazione deve creare un “terzo stato” che offra una visione del film diversa da quelle che si avrebbe nel guardarlo con la colonna sonora originale. Forse è pretenzioso ma non avrebbe senso altrimenti.

Fuori dalla centralità della parola, il cinema muto affidava il valore dell’espressione alla musica. Quella del musicista cinematografico era davvero una professione. Come ti rapporti, anche storicamente, a queste origini?

In realtà non ci penso forse per via del fatto che il contesto storico e la condizione odierna del musicista sono completamente differenti.
Grazie alla mia decennale collaborazione e con il Cinema Arsenale di Pisa (uno dei cinema d’essai più longevo d’Italia) e con altre realtà Italiane ed Europee ho avuto la possibilità di lavorare molto nell’ambito delle sonorizzazioni ed approfondire la conoscenza del cinema muto ma è una delle tante cose che porto avanti come musicista. Sicuramente per me è un contesto molto stimolante e formativo che ha avuto un ruolo importante e continua ad averlo ma la mia natura e la mia voglia di misurarmi con altri contesti mi porta anche altrove.

L’organico che utilizzi per i tuoi progetti di rimusicazione è variabile? Puoi raccontarci che tipo di formazione utilizzi, dalla più piccola alla più grande?

Non sono mai andato oltre il trio, spesso per una questione di budget; quando arrivano le commissioni bisogna stare entro certi limiti. In un paio di occasioni ho suonato in solo e nella maggior parte dei casi in duo e trio, in formazioni con violoncello, violino, contrabbasso, pianoforte, arpa e fiati; la strumentazione che ho scelto di volta in volta è stata quella che reputavo più adatta alla lettura sonora del film che avevo in mente. L’unica costante, oltre alla batteria che è il mio strumento principale, è stata l’elettronica, in dose diversa ogni volta.

Hai mai pensato di attingere al repertorio sopravvissuto delle cosidette collane di musica per orchestrina, oppure per te è essenziale comporre musica originale?

No non ci ho mai pensato anche perché il comporre musica originale è necessario per me, l’atto creativo è la parte più piacevole e difficile e dunque stimolante.
Mi è capitato invece in un’occasione di chiedere ad uno dei musicisti con cui ho lavorato, un piccolo accenno rielaborato ad una delle suite per violoncello di Bach ed al requiem di Mozart.

Collisions “Masses and Sea motions” – Dir: Davide Abate & Collisions

Sei interessato anche agli aspetti legati alla musica concreta o che comunque possa produrre rumori e suoni che si avvicinano ai suoni del reale, per sottolineare alcune caratteristiche dell’immagine?

Assolutamente no, è un approccio che personalmente trovo banale e che toglie carattere alla sonorizzazione.
Sono altri gli aspetti del film che mi interessa sottolineare e che il cinema muto offre in abbondanza; mi riferisco alla forza delle immagini ed agli spunti emotivi e psicologici. Questi elementi mi catturano ed ispirano a tal punto che per me non ha alcun senso riprodurre il suono o il rumore del reale.

Qual’è il film a cui sei più legato?

La Passione di Giovanna d’Arco” di Dreyer, è un film pregno, vero, non consolatorio. La protagonista Renée Falconetti, i cui occhi sono stati in grado di urlare, sorridere e parlare pur senza il sonoro, ne usci psicologicamente devastata; è stato il prezzo da pagare per un interpretazione da fuoriclasse accanto alla quale troviamo inoltre la partecipazione straordinaria di Antonin Artaud. Se si vuole vedere una riproduzione del misticismo su pellicola allora non c’è di meglio, così come è sul marmo con l’Estasi di Santa Teresa del Bernini.

E quello su cui vorresti lavorare?

“La Jetée” di Chris Marker. Un cortometraggio di fantascienza in bianco e nero datato 1962, al quale è ispirato il più famoso “L’esercito delle dodici scimmie”. Non ci sono immagini in movimento, fatta eccezione per brevissimi frammenti, ma bensì una sequenza di fotografie dall’inizio alla fine con una voce narrante fuori campo; é una tecnica narrativa decisamente insolita per un film e per questo ancor più affascinante per una sonorizzazione.

In “Masses and sea Motions”, il video di 11 minuti realizzato per Collisions, replichi in qualche modo l’esperienza open air dei Pink Floyd a Pompeii, attraverso un connubio molto suggestivo tra ambient, kraut rock e psichedelia, vicina per spirito ai suoni tribali e “world” di O’Rang, il progetto parallelo ai Talk Talk, curato dal batterista Lee Harris e da Paul Webb a partire dagli anni novanta. Lo scenario è quello del Teatro Del Silenzio, una struttura particolarissima eretta a Lajatico e che accoglie rarissimi spettacoli. Ci puoi raccontare la storia del video girato dal vivo e il modo in cui la musica reagisce con l’ambiente?

L’idea mi è venuta dalla conoscenza di “Koyaanisquatsi” di Godfrey Reggio con le musiche di Philip Glass, il “Live a Pompeii” dei Pink Floyd ed il più recente “Forever Still” dei Beach House. Avevo sentito parlare del Teatro del Silenzio ed avevo visto alcune foto del luogo, così mi sono recato sul posto con Leonello Tarabella ed il regista Davide Abate per un sopralluogo e quando lo abbiamo visto dal vivo eravamo tutti e tre affascinati dell’idea. La maestosità del luogo e la sua quasi totale assenza di suono mi hanno colpito molto, rievocano i luoghi della mia infanzia; è un posto in cui puoi toccare l’indifferenza della natura nei confronti dell’ umanità e dei suoi affari.
Ero molto stimolato dall’idea di cercare di inserire una performance come quella di Collisions, con una strumentazione così futuristica come quella interattiva che utilizziamo per i live electronics, in un contesto così fermo nel tempo. Ci sono voluti cinque mesi di preparazione per arrivare pronti a girarlo e suonarlo tutto dal vivo. Non c’era margine di errore, avevamo circa 20 minuti di crepuscolo a disposizione quindi non era possibile replicare due volte un live che dura 11 minuti e se anche avessimo voluto fare una seconda esecuzione, con l’avvicinarsi del buio avremmo perso gran parte dello scenario. Quindi è proprio il caso di dire buona la prima.

Berlin – Die Sinfonie der Großstadt – cineconcert by Alessandro Baris + The Somnambulist

Le tue produzioni esplorano le possibilità tra sintesi elettronica e Jazz con un ampiezza di spettro e un’attenzione al contrasto tra organico e inorganico, con quella forza e quella creatività che ha contraddistinto i migliori anni novanta. Rimane comunque una forte comunicatività pop. Penso a “Young Boy” e “Gold Mass“, progetti diversi per stili e influenze, ma caratterizzati da un’anima pop molto precisa. E’ importante per te mantenere questa base legata al “genere” (Synth Pop, Trip hop, Jazz) per poi elaborarla in forme più libere e sperimentali?

Ti ringrazio per il paragone, gli anni novanta rappresentano forse il momento migliore della creatività musicale degli ultimi 40 anni. Ho trascorso la mia vita cercando di nutrirmi di quanta più musica possibile purchè mi comunicasse qualcosa, ho una libreria piena di dischi e audiocassette e tuttora continuo ad ascoltarne molta.

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f4bc42″ class=”” size=””]La novità non esiste, tutto è un ritorno. Mi interessa molto la contaminazione tra i generi, la trovo vitale per me ed è per questo che mi sono cimentato in contesti musicali anche molto diversi tra di loro.[/perfectpullquote]

Non mi interessano l’atto consolatorio ed i luoghi comuni, cerco di dare vita a tutto quello che mi attraversa, siano esse sensazioni legate al mio disagio di esistere o alla mia leggerezza nell’essere, in ogni caso sollevato da qualsiasi solennità e micro-megalomania. Quello che cerco di comunicare quando lavoro ad un disco può essere a seconda dei casi comprensibile o incomprensibile, le due cose non si escludono per me, lo stesso vale per quello che ci accade nella vita.
La musica può essere anche decorativa, mentecatta e ruffiana ma non mi sono mai rapportato ad essa con queste finalità. La mia natura mi porta a prediligere la musica strumentale in quanto trovo che l’armonia sonora conti più del contenuto, e questo ha caratterizzato il grosso della mia produzione.

Nel caso di Young Boy e Gold Mass ho cercato comunque di seguire il mio gusto nel comporre ed arrangiare il lavoro in accordo con le esigenze degli altri musicisti.
In Young Boy ho lavorato con Joseph Costa dei L’Altra per cui le nostre lunghe esperienze si sono fuse in qualcosa di nuovo per entrambi, mentre per Gold Mass ho traghettato il lavoro nell’elettronica e in quelle sonorità che io già conoscevo bene, creando quel mondo sonoro e quegli stati d’animo che sentivo adatti alla sua voce.

Quali sono i tuoi progetti futuri nella relazione tra immagine e suono?

Al momento sto lavorando ad un disco solista per il quale, una volta pronto, vorrei realizzare dei videoclip ed utilizzare dei visual dal vivo. Ci sono dei visual artist con i quali vorrei collaborare, hanno idee fresche e suggestive e la tecnologia per l’animazione video oggi offre degli strumenti notevoli. Sono rimasto molto colpito ad esempio dai video realizzati da vari artisti per la musica di Kelly Moran e da quelli di Sic Est e Maurizio Anzeri per i C’Mon Tigre. Mi è piaciuto anche l’ultimo video del singolo solista di Kazu Makino co-diretto da Paride Ambrogi che pur senza l’utilizzo di animazione è molto suggestivo ed in forte relazione con un elemento a me così caro come la natura. Di recente ho visto dei visual live molto belli al Long Now festival di Berlino; tutti questi input mi aiutano a riflettere ed elaborare idee in vista di questo nuovo lavoro che pubblicherò.

[perfectpullquote align=”full” bordertop=”false” cite=”” link=”” color=”#f4bc42″ class=”” size=””]Per quanto riguarda i videoclip è fondamentale per me che l’approccio e l’idea di fondo non abbia nulla a che vedere con la minestra riscaldata e pacchiana del videoclip che narra una storia in cui lo spettatore possa consolarsi ed immedesimarsi.[/perfectpullquote]

Abbiamo in cantiere anche un nuovo video con Collisions, è solo una questione di tempo e le cose belle ne richiedono molto.

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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