lunedì, Ottobre 7, 2024

Melt Yourself Down: balera globalizzata

Da qualche anno a questa parte la scena jazz inglese funge da ricettacolo per un manipolo di artisti visionari, decisi a prestare le proprie competenze e la propria strumentazione agli ambiti più svariati. L’ottica è quella di una progressiva contaminazione fra i generi e il fine ultimo quella musica totale già teorizzata in passato da teste pensanti quali Can, John Zorn e Bill Laswell. In tale contesto il nome di Leafcutter John salta fuori con una certa frequenza.

Dopo averci deliziati con le evoluzioni sperimentali dei suoi Polar Bear, il nostro torna oggi in veste di produttore e manipolatore di suoni dei Melt Yourself Down. Il combo – che annovera una bassista, un batterista, un percussionista, due sassofonisti ed un vocalist – è tutto volto alla ricerca del beat definitivo e fa degli affondi etnici il proprio punto di forza. Gli intenti estetici vorrebbero i sei al servizio del dio Anubi ma, a ben guardare, i Melt Yourself Down attingono con disinvoltura alle tradizioni popolari di ogni parte del mondo, dando vita ad una musica da balera che si rivela appetibile a qualunque latitudine.

La natura globalizzata del loro suono viene ulteriormente accentuata dal canto, che fa ricorso ad idiomi di volta in volta differenti, mentre gli interventi di Leafcutter John rendono il prodotto finale in linea con le odierne dinamiche da dancefloor. Ciò che del progetto affascina maggiormente è la capacità di gestire con gusto l’interazione fra i vari strumenti che, nell’economia dei brani, assolvono tutti a funzioni tanto ritmiche quanto melodiche. Così nella quadratissima Fix my Life l’elemento portante sono i sassofoni, che caricano a testa bassa su melodie mediorientali, mentre la spina dorsale dell’esasperato afrobeat Release! è un incessante giro di basso. Nelle pur diversissime Free Walk e Mouth to Mouth (lieve e sospesa la prima, crudelmente oppressiva la seconda) il ritmo poggia soprattutto sui fiati e sulle percussioni; il basso si limita ad abbozzare qualche figura melodica mentre la voce – che nei brani più tirati rimanda ai seminali Liquid Liquid – si carica di valenza sciamanica. Un’ottima prova, decisamente sopra la media in quanto a colore ed originalità.

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Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco

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