martedì, Marzo 19, 2024

Moostroo: l’inquietante post-punk di provincia

Moostroo potrebbe sembrare una pronuncia alla Piero Pelù di “mostro”, invece è una band, e ora anche un disco, che canta di mostri.

Sorto dalle ceneri dei Jabberwocky, gruppo fautore di un’interessante patchanka orobica, il trio formato da Dulco Mazzoleni, Francesco Pontiggia e Igor Malvestiti conferma una volta di più il fermento musicale di ottimo livello che contraddistingue in questi ultimi anni la provincia bergamasca, sulla scia dei Verdena e di molti altri artisti di cui abbiamo parlato su queste pagine, come gli ormai disciolti Bancale, Caso o Il Garage Ermetico.

Come per gli ultimi citati, al centro delle liriche dei Moostroo, tutte opera di Dulco, c’è la descrizione della loro terra d’origine ai tempi della crisi, con le sue contraddizioni tra ricchezza materiale che si sta sgretolando e povertà morale che non accenna a diminuire (ad esempio in Valzerino di Provincia e in Underground), tra presunta tranquillità e inquietudini interiori (come in Autocomplotto), e più di un richiamo al leghismo e alle sue derive securitarie propagandistiche (soprattutto in Silvano pistola e Il prezzo del maiale). Il quadro che emerge è abbastanza desolante, accompagnato perfettamente da un tappeto sonoro inquietante e grezzo, un post-punk quadrato e avvolgente capace di sciogliersi in ottimi ritornelli (vedi la già citata Underground) così come di mantenere invece una tensione palpabile in altre occasioni grazie al gran lavoro della chitarra acustica elettrificata di Dulco e del basso a due corde di Francesco.

Per una volta dunque significato e significante vanno a braccetto, l’inquietudine dei testi e quella della musica avanzano di pari passo e fanno capire in maniera diretta e senza possibili fraintendimenti il messaggio di fondo, ed è una gran cosa, perché è ora di dire basta a chi canta storie di precari con il sorriso sulle labbra e la speranza sempre a portata di mano. Ben vengano gruppi come i Moostroo, che sanno scrivere belle canzoni, alcune anche con un’anima pop non così nascosta, suonano come degli schiacciasassi quando decidono di picchiare e soprattutto mettono tanta onestà in ciò che fanno, sublimata dall’autoaccusa del brano finale, Mi sputo in faccia, perché essere autoindulgenti è il più grande errore che si possa fare di questi tempi.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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