sabato, Luglio 27, 2024

Linea 77 – oh! – l’intervista @indie-eye

Dopo cinque anni di rivoluzioni ed esperimenti i Linea 77 sono tornati con un disco lungo, intitolato però in maniera assai breve Oh!. Il suono è quello diretto e senza fronzoli degli esordi, il cantato come ormai d’abitudine è sempre in italiano, il tutto è quindi un mix perfetto per essere portato sui palchi della Penisola, cosa che avverrà nei prossimi mesi. Aspettando quindi di vederli impegnati in concerto abbiamo incontrato i Linea 77, e in particolare Dade e Nitto, le due voci della band, per una lunga chiacchierata presso gli uffici milanesi della Metatron. Abbiamo avuto così occasione di capire la genesi del nuovo album, di esplorare il loro rapporto con Torino, la loro città, e di sentire cosa pensano della difficile situazione che vive la musica in Italia. Ecco cosa ci hanno raccontato.

Questo è il vostro primo album, LP lo avrebbero chiamato una volta, dopo ben cinque anni, 10 infatti era uscito nel 2010. Nel frattempo avete sperimentato con diversi formati, EP e singoli.cosa vi ha spinto ad abbandonare il formato lungo e cosa invece vi ci ha fatto tornare?
D: tutta la rivoluzione che s’è stata dopo 10, il nostro ormai penultimo album: c’era infatti stata la separazione con uno dei nostri cantanti storici, che è Emi, dopodiché sono successe miliardi di cose all’interno della band e anche a livello personale. Abbiamo cercato di sperimentare un po’ a quel punto con la nostra produzione e abbiamo fatto appunto un EP, che era La speranza è una trappola. Oltre a fare un EP abbiamo pensato anche di uscire singolarmente con ogni canzone a distanza di tre settimana l’una dall’altra ed è stata una mossa vincente, nel senso che la gente ha apprezzato molto. Dopodiché era in previsione un altro EP, che era Ci eravamo tanto armati, che però è andato perso in quella disgrazia accaduta nel 2013. Quell’accadimento in realtà ha portato a tutta un’onda creativa, scaturita da delusione e rabbia, che ci ha portato a fare Oh!, che come hai detto è un LP. Per quanto ormai la pubblicazione di un album, di un supporto, sembra morta o compromessa del tutto, per noi in realtà non è così. Abbiamo anche fatto una cosa molto figa, che non facevamo da tempo, che è stampare in vinile, ci sarà uno special pack di 500 copie bianche, limitate e numerate a mano, con all’interno il CD e la possibilità di scaricare i pezzi in MP3, quindi tre formati in uno. Sta avendo abbastanza successo questa cosa.

Ho letto che le canzoni del disco sono pensate per essere suonate live e quindi sono dirette e senza troppa sperimentazione. Come mai questa scelta?
D: volevamo dare nuova linfa ai nostri concerti. Ci siamo stufati di fare e rifare alcune canzoni che per i nostri fans sono importanti, e anche per noi sono importanti, però suonarle per anni e anni dopo un po’ diventa dura. Quindi volevamo un disco da poter suonare non dico interamente, ma quasi interamente dal vivo, anche perché è il primo disco dove tutti e sei i componenti della formazione hanno partecipato alla stesura dei brani. È un po’ come se fosse il nostro primo disco, quindi era importante farlo in maniera che fosse portabile dal vivo.

Quindi come saranno i concerti in arrivo nei prossimi mesi?
D: Oh! ci sarà quasi tutto, poi un best of dei nostri senatori, le canzoni che non puoi togliere, in più stacchi strumentali e siparietti divertenti e non, per cercare di fare un concerto un po’ diverso e sotto un certo punto di vista anche rilassato. Non vogliamo prendere in maniera troppo seria la cosa, visto che sono 18 pezzi e il concerto dura un’ora e mezza, vorremmo creare un clima intimo, sentirci un po’ tutti a casa.
N: con uno che ti urla in faccia, come sempre. Più o meno quando guardi la televisione è la stessa cosa, anzi più violenta ancora.

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Il singolo di lancio è Presentat-arm. Perché la scelta è caduta su quel pezzo?
D: perché secondo noi era il pezzo più rappresentativo di questo disco. Di solito quando scegliamo il primo singolo cerchiamo quello.
N: unisce un po’ tutte le anime, da quella melodica a quella più violenta.
D: noi abbiamo varie sfaccettature e Presentat-arm le contiene praticamente tutte: c’è una struttura abbastanza complessa, ci sono due strofe, due pre-ritornelli, i ritornelli, la parte C o bridge come si usa dire, il finale, c’è l’urlato, c’è il melodico, c’è il mezzo rappato. C’è anche l’intro, che sarà probabilmente l’intro dei concerti. Quindi ci sembrava la canzone più forte come primo singolo, però ne vogliamo fare uscire parecchi, almeno quattro o cinque.

Anche in questo disco, come già avvenuto molte volte in passato, ci sono delle collaborazioni. Una è quella con Franz Goria dei Fluxus su Non esistere, che è una cover/omaggio del pezzo della sua band. Come è nata l’idea di omaggiare i Fluxus e di farlo con Franz coinvolto nell’operazione?
N: perché loro hanno sempre rappresentato un punto di riferimento per noi, quando avevamo sedici ed eravamo sotto ai loro palchi. C’è questa leggenda del loro concerto al Barrumba, un locale di Torino, dove c’era un muro di suono che ti spostava lo sterno, me lo ricordo ancora oggi. Quella tra l’altro era una formazione particolare perché c’erano anche Taz e Mathieu dei Negazione, quindi c’era Torino rinchiusa in un concerto, è stato davvero bellissimo. Poi loro sono sempre stati capaci di raccontare Torino, sia la Torino industriale che la depressione che c’era nella provincia. Con Franz quindi ci siamo trovati subito in sintonia, dovevamo già partecipare a questa compilation di cover dei Fluxus, però per il delirio che era successo proprio in quei giorni con C’eravamo tanto armati non siamo riusciti a partecipare. Poi parlando con Franz ci ha suggerito di fare Non esistere, noi abbiamo accettato, felicissimi, e abbiamo deciso di metterlo nel disco perché è un pezzo che rappresenta molte cose.

Restando sempre in tema di cover e di Torino, se doveste scegliere cinque canzoni uscite da Torino, quali scegliereste?
D: Il cielo su Torino dei Subsonica, non è la loro canzone migliore, non è quella che ci piace di più, ma va citata perché parla di Torino. Poi direi Non esistere dei Fluxus, Gli anni migliori dei Belli Cosi, Ti ho visto in piazza nella versione originale dei Truzzi Broders.
N: io direi Il partigiano Johnny degli Africa Unite.
D: per chiudere dico La tipa della casa occupata dei Fichissimi.

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E com’è Torino oggi, dal punto di vista musicale e non solo, rispetto a quando avete cominciato una ventina di anni fa?
D: Torino è abbastanza sempre uguale, c’è sempre molto fermento a livello creativo e musicale soprattutto. Ovviamente sono cambiati i nomi, c’è una realtà tutta diversa, c’è un sottobosco di artisti molto florido. È una città che si rinnova continuamente. C’è questo festival che si chiama “Amici di Piero”, che si fa ogni anno per beneficenza al Cacao, in pieno centro, dove le “vecchie glorie” di Torino, tra cui ormai ci siamo anche noi, si ritrovano, ed è bello perché ci si rivede tutti; io ultimamente la vivo, non dico come il passato, ma come un presente di Torino che ha ormai un passato importante, sono state delle generazioni importanti che però non sono l’attualità. Poi c’è tutto un sottobosco di band indipendenti e di cantautori molto florido, come dicevo. Noi abbiamo deciso di fondare un’etichetta a Torino anche perché eravamo bombardati continuamente, anche involontariamente, da questa spinta creativa. Noi abbiamo cercato di dargli una voce, infatti l’INRI Fest, non perché sia nostra, è uno degli avvenimenti torinesi più importanti a livello underground. Poi ci sono sempre stati molti festival, come il NOfest!, che è stato importantissimo per la città. Ci sono miriadi di band, potrei citartene quante ne vuoi.

E l’Italia invece come la vedete? Che spazi ci sono oggi per una proposta come la vostra?
D: per una proposta come la nostra non c’è nessuno spazio, nel senso che se dovessimo iniziare oggi, se fossimo sconosciuti e tentassimo di emergere non ci considererebbe nessuno. Non riusciremmo a suonare in giro, perché mancano proprio gli spazi. Quando abbiamo iniziato noi c’era un circuito di centri sociali che spaccava e potevi suonare in tutta Italia in centinaia di centri sociali, che magari non ti pagavano, dormivi male, però suonavi e quando sei giovane vuoi suonare, non ti interessa altro. Adesso come adesso i centri sociali praticamente sono inesistenti, i locali sono pochissimi e perlopiù sono delle birrerie che sembra quasi che ti facciano un favore a farti suonare, ma solamente se porti amici che bevono, e ti pagano giusto le spese ma “ti danno un sacco di visibilità” con l’evento su Facebook. Per quanto invece riguarda noi, come Linea 77 oggi, siamo un po’ più in difficoltà che in passato; mi ricordo anni d’oro in cui riuscivamo a fare 100-120 concerti l’anno.
N: è un po’ dovuto anche al delirio che vive il paese, non è tanto legato alla realtà dei Linea 77 quanto alla realtà musicale italiana.
D: comunque i Linea 77 non possono andare a suonare dappertutto, non possiamo andare nelle piazze dei paesi a Capodanno.
N: anche se l’abbiamo fatto ed è stata un’esperienza surreale, in Sardegna con Kid Creole and The Coconuts.
D: ci basiamo ormai su quel territorio di locali che ancora ci credono, però vediamo ogni anno uno o due che spariscono. È un po’ triste come cosa, anche perché conosciamo un po’ tutti, ci conosciamo personalmente e vedere crollare attività che prima credevano così tanto nella musica è una cosa che ti intristisce parecchio. Stiamo cercando di rimboccarci le maniche e di andare un po’ dappertutto, però non è per niente facile.

Tornando invece al disco, per la prima volta collaborate con un rapper, En?gma. Com’è stato confrontarsi direttamente con l’hip-hop, che comunque è stata un’influenza ed era già stato presente nella vostra musica?
D: noi singolarmente abbiamo sempre fatto collaborazioni con il mondo del rap: Nitto ha fatto un sacco di pezzi con dei rapper, io nel mio disco solista del 2006 ho messo i Cor Veleno, Fabri Fibra, Caparezza. Quindi è un mondo che conosciamo molto bene e con cui non abbiamo mai avuto problemi a collaborare. Diciamo che siamo molto selettivi perché ci piace un certo tipo di hip-hop, quello che ha molto contenuto, ed En?gma ne è la rappresentazione perfetta, perché è un ragazzo molto sveglio, molto colto, molto umile, che ha le idee ben chiare e un’attitudine giusta, almeno per quanto ci riguarda, infatti siamo andati subito d’accordo. Eravamo suoi fan, perché ascoltavamo i suoi dischi, poi ci siamo conosciuti e il pezzo è venuto molto facilmente.

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Per la parte video del disco collaborate con Alex Infascelli…
D: non più, in realtà.

Cos’è successo?
D: Alex è una persona che conosciamo da tanti anni, non come amici ma conoscevamo il suo lavoro. Lo rispettavamo molto, anzi lo rispettiamo ancora molto, abbiamo provato a collaborare con lui, lui ha fatto un video per noi ma non eravamo d’accordo su un tot di cose e abbiamo scelto di non farlo uscire. Era un bel video, però non era quello che volevamo. Volevamo collaborare un po’ di più con lui, invece lui è stato drastico, dicendo “o si fa così o niente” e noi abbiamo scelto la seconda opzione, non ci piacciono questi diktat.

Quindi per Presentat-arm e per i prossimi video come fate?
D: il video che abbiamo fatto di Presentat-arm è andato molto meglio, perché abbiamo fatto cento volte le visualizzazioni che avremmo fatto con il suo. Ripeto, non abbiamo niente contro Alex però le cose non sono andate in porto, quindi abbiamo deciso che i videoclip ci hanno rotto le palle, quindi cercheremo di farli innanzitutto senza spendere soldi, perché ci sembra stupido.
N: infatti ci sarà la trilogia dei video a costo zero. Presentat-arm era il primo e ne arriveranno altri due.
D: magari anche più di due. Ormai il videoclip inteso come playback della band più storiella a parte mischiata nel montaggio non ha più senso. In generale il videoclip per una band non è più un mezzo promozionale.
N: soprattutto perché non c’è più il media che ti trasmette il video, in TV non li passa più nessuno.
D: su Youtube puoi metterli, ma magari il fan lo vede una volta massimo due e poi si scarica l’MP3. Però se ci pensi per una band un video costa dai due ai cinquemila euro, sono soldi buttati. In più farli è una rottura di coglioni e spesso il montaggio fa schifo, quando ci arrivavano i video quasi sempre il montaggio era pessimo, perché non hanno musicalità. Quindi ci siamo rotti di combattere con tutte queste cose e li facciamo noi, perché ci divertiamo e quando ci divertiamo vengono bene, vedi La musica è finita, Presentat-arm, L’involuzione della specie e i prossimi.
N: più che altro si trasmette subito questa cosa del divertimento, anche a chi lo guarda, lo recepisce subito. Sfido chiunque abbia visto La musica è finita a dire che non si è fatto un paio di risate.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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