sabato, Aprile 20, 2024

Mariam The Believer: legami di sangue, l’intervista

Uscito a Gennaio 2013 per il solo mercato scandinavo, Blood Donation è il primo album solista di Mariam Wallentin, talentuosa interprete di origini Iraniane, nota come metà del progetto Wildbirds & Peacedrums condiviso insieme al marito Andreas Werliin e conosciutissimo anche oltreoceano grazie al successo di critica e pubblico dei due album sulla lunga distanza pubblicati tra il 2007 (Heartcore) e il 2008 (The Snake) a cui si è aggiunto due anni dopo Rivers, raccolta degli Ep successivi del duo, registrati tra la primavera e l’estate 2010. All’impatto radicale di quest’esperienza che delineava un’arena creativa libera e improvvisativa, situata tra il tribalismo di Andreas e l’incredibile duttilità vocale di Mariam, si sostituisce un progetto apparentemente più pop, almeno in quella concezione alchemica che non teme l’accostamento di tradizioni diverse con un’urgenza comunicativa e coesiva maggiore. Blood Donation vede nuovamente Andreas Werliin alla batteria insieme ad una band affiatata composta da Jo Berger Mhyre al basso e Thomas Hallonsten (Exploding Customer, Fire! Orchestra, Tape, Time Is a Mountain ) alle tastiere e all’organo. Mariam canta e suona una Gibson SG immacolata e mantiene il controllo totale sul progetto, non solo assegnandogli un moniker personale come Mariam The Believer, ma scrivendo e producendo tutti i brani e fondando un’etichetta indipendente, chiamata “Repeat until death“,  per ora diffusa solamente in Scandinavia. Blood Donation fa fede al suo titolo, è una raccolta di brani fatti di ossa e sangue attraverso il sincretismo di molteplici tradizioni, un canto devozionale radicato laicamente alla terra ma che non teme di confrontarsi con l’idea di un donar(si) capace di spezzare la durezza della materia. Sia che si tratti di soul o del suo doppio in forma più improvvisativa e libera, scrutato da diversi osservatori, situati tra l’Iran, la musica afro-americana e il folk scandinavo, per Mariam c’è la chiara necessità di trovare un punto di contatto che scardini la gerarchia verticale delle influenze, verso una concezione della musica liquida e trasparente. Blood Donation uscirà anche per il mercato Europeo in una forma più estensiva il prossimo 7 ottobre 2013 grazie a Moshi Moshi Records, occasione per non perder tempo; abbiamo raggiunto Mariam Wallentin con i mezzi che la connettività ci mette a disposizione per chiederle alcune cose sulla gestazione di Blood Donation; il risultato è questa conversazione generosa e sanguinante.

Tutte le foto sono di KK+ TF, Klara Källström & Tobias Fält

Mi piacerebbe sapere qualcosa in più sul nome del tuo nuovo progetto solista, Mariam The Believer, perchè hai scelto questo moniker?

Avevo bisogno di un nome che fosse personale ma allo stesso tempo forte, qualcosa a cui aggrapparsi. C’è molta oscurità intorno a noi e anche dentro di noi, ma la speranza è comunque presente, come fosse un piccolo bagliore, qualcosa che va oltre e che scorgiamo appena. Ho pensato quindi a quella nota espressione che dice “La speranza è l’ultima a morire”. Combattere i propri demoni e allo stesso tempo battersi per quello in cui si crede. “Mariam The Believer” quindi si riferisce a qualcosa di assolutamente personale e intimo ma comunque forte e universale.

Quando hai cominciato a pensare alla possibilità di un progetto solista, che andasse al di là dell’esperienza Wildbirds & Peacedrums?

È da un po’ di tempo che ci penso, ma il pensiero è rimasto aspettando il momento giusto per crescere. Ho fatto molte altre cose in parallelo a Wildbirds & Peacedrums, come ospite in progetti altrui, come performer freeform e via dicendo. Ma dopo il 2011, quando con Andreas abbiamo pensato di dedicarci una pausa relativamente ai concerti dal vivo per focalizzarci su altri progetti, allora è arrivato il momento giusto per dedicarmi a questa nuova avventura. Io e Andreas siamo quel tipo di artisti che non amano particolarmente fossilizzarsi su una sola cosa, non possiamo proprio. Per quanto tu possa amare un progetto, questo prima o poi rischierà di diventare statico oppure, a un certo punto del suo percorso, se ti trovi a fare la stessa cosa ogni giorno, sin troppo inquadrato , e di conseguenza non avrà più aria al suo interno. Abbiamo bisogno di essere continuamente sorpresi dal passo successivo, di esprimere colori diversi attraverso la nostra parte più intima. Ciò di cui le persone sono fatte, è un corpo unico ma fatto da diverse emozioni, spazi, livelli. Per me Wildbirds è un colore, Mariam The Believer uno diverso. Non siamo creature monodimensionali

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Mi piace molto il titolo che hai scelto di dare al tuo primo full lenght come Mariam The Believer, “Blood Donation” , mi sembra anche che nelle nuove canzoni che hai scritto ci siano molti riferimenti al sangue, al sanguinare, ai percorsi e alle radici del sangue, qualcosa che allude in modo complesso alla multietnicità, come fosse un punto di vista liminale e in continuo movimento, che cosa ne pensi?

Per me, principalmente, è una questione legata al donare. Donare sangue ha sempre un forte significato, anche di natura simbolica perchè è offrire qualcosa che viene direttamente da te, dal tuo interno, dal tuo corpo! Come cantare del resto, esattamente come cantare, un atto che si concretizza dalla parte più interna al tuo corpo e che tu doni, liberi. Quello che ci unisce e ci connette come esseri umani, è un cuore che pompa sangue caldo, non ha importanza come siamo, chi siamo o cosa abbiamo fatto. Siamo fatti di ossa e di sangue e di percorsi emozionali complessi. E per ricevere abbiamo bisogno di dare

A proposito di condivisione, puoi raccontarci qualcosa sul processo produttivo che ha attraversato la lavorazione del tuo album e sui musicisti coinvolti nel progetto “Blood Donation”?

Abbiamo registrato tutto in tre giorni, nell’autunno del 2011 in un piccolo studio a Stoccolma che è di proprietà di un amico, ha una serie di equipaggiamenti analogici assolutamente ottimi. Ho poi trasferito il lavoro in un secondo studio, più piccolo, anche questo di un amico, lo stesso che è proprietario di una piccola, grande, etichetta indipendente come  Häpna!
Durante l’estate del 2012 ho lavorato alle voci aggiuntive, ho aggiunto delle parti di chitarra e ho mixato e prodotto tutto quanto insieme ad Andreas in circa tre settimane.
Andreas suona la batteria in “Blood Donation”, insieme a lui c’è un fantastico bassista norvegese, Jo Berger Mhyre e quello che per me è il miglior tastierista in circolazione, Thomas Hallonsten. Tutti buoni amici insomma, anche perchè avevo bisogno di sentirmi sicura, di fidarmi dei musicisti con cui collaborare, di sentire che loro stessi si stavano divertendo in modo creativo anche se si trattava della mia musica. È un aspetto importante, quel tipo di legame basato sulla fiducia e che punta al centro, all’essenza delle cose, passando per la condivisione. E anche in questo senso, potrei parlare di sentimento famigliare.

Mariam The Believer – invisible giving

“Blood Donation”, secondo me, è un’esperienza musicale ricchissima e complessa; da un certo punto di vista l’album contiene le tue composizioni più immediate ed emozionali, con un range molto ampio di influenze che proviene in parte da quello che conosciamo della produzione Wildbirds & Peacedrums, per prendere direzioni molteplici inclusa l’improvvisazione, il pop, il Jazz, la musica tradizionale intesa anche in un’accezione free-form. Come sei riuscita a elaborare un mondo sonoro così ricco attraverso i processi di scrittura, arrangiamento e improvvisazione?

Posso solo dirti che il mio metodo è cercare di stare sempre all’erta, avere un approccio aperto, che significa impulsività quando questa arriva, ma subito dopo estremamente testarda e determinata quando sento che una certa scelta è quella giusta. Sono cresciuta ascoltando molto pop, rock e soul, e quando ho raggiunto la mia tarda adolescenza sono rimasta stregata dal free jazz, poi sono arrivati il noise, la drone music. Faccio parte di quella generazione di persone che è cresciuta con molte cose diverse e non è affatto strano per me mettere insieme tutto quello che mi piace. I generi diventano come dei confini bizzarri per alcune persone, la buona musica per me è semplicemente buona musica, non mi importa da dove viene. Allo stesso tempo, per essere credibile e onesta anche verso te stessa, è necessario che ci sia qualcosa che possa unire e mettere insieme tutte queste influenze che incontri nel tuo percorso. Sei continuamente influenzato dalle persone che incontri, dai luoghi che visiti, dall’arte che fruisci; mettere insieme queste cose con le tue emozioni e con il tuo pensiero su questa esperienza multiforme ti consente di creare qualcosa di personale ma anche in grado di stabilire una connessione con l’ascoltatore. Personalmente ho bisogno di improvvisare, ho bisogno dei testi, ho bisogno degli accordi, ho bisogno del ritmo.

Parli spesso di Alice Coltrane come una delle tue fonti di ispirazione principali, penso comunque che il tuo modo di avvicinarti alla tradizione afro-americana, incluso il gospel e la musica devozionale, abbia caratteristiche molto personali che passano anche dalle tue radici medio orientali; mi viene in mente un brano immediato come “The String of Everything”, probabilmente il brano più pop di “Blood Donation”, dove il “core” cambia continuamente dal pop, al soul, ai suoni del medio oriente in un modo impercettibile, oppure ancora, “invisible giving” che sembra una versione tribale e oscura di una canzone di Nina Simone, che ne pensi?

Il mio sentimento più forte, quando canto o compongo, viene molto spesso da una malinconia di fondo, la stessa che sta alla base del blues, del soul, della musica folk svedese o della canzone classica Iraniana. In tutto il mondo c’è una sorta di “blues” che appartiene alle radici specifiche di quel luogo specifico, esattamente come ognuno di noi porta dentro di se le proprie personali sofferenze. Per me si tratta proprio di abbracciare questo sentimento, ma allo stesso tempo di combatterlo e di interrogarmi su di esso.

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Questo mi porta a chiederti del lavoro sulla tua voce, uno degli aspetti più importanti della tua musica, nel progetto Wildbirds & Peacedrums ti confronti con la batteria di tuo marito come se tu fossi un’orchestra full range, in Blood Donation duelli con una strumentazione multiforme. Cosa è cambiato nel tuo approccio?

La mia voce è la stessa, viene dallo stesso corpo, dalla stessa mente, dalla stessa essenza, ma lo spazio musicale che mi circonda mi da semplicemente possibilità di espressione diverse. Forme diverse dell’ombra, questo dipende sempre dalla posizione del sole, se sorge oppure se tramonta. Ed è una cosa eccitante, trovarsi in habitat musicali completamente diversi, assolutamente necessari per cambiare il tuo modo di vedere le cose e per affrontare nuovi luoghi. Considerato che canto ormai da molto tempo e che conosco la mia voce piuttosto bene, anche se credo che sia in continuo sviluppo, sento molto bene dove vuole andare e come potrebbe suonare.

In “Blood Donation” suoni la chitarra, il suono mi sembra davvero stupefacente, quando hai cominciato a suonarla?

Ti ringrazio per il complimento; non sono sicura di poter dire che “suono la chitarra”, ho solo imparato quello che sentivo necessario imparare, per il momento conosco quanto basta per sentirmi libera all’interno di questi brani, anche suonando semplici accordi ma cercando di rendere il suono del tutto personale, cosa che da un significato preciso al tutto. Ho comprato la mia prima chitarra un anno fa, una Gibson SG bianca, poco prima di cominciare a lavorare questo album, sostanzialmente la imparo strada facendo, durante i concerti dal vivo.

Puoi dirci qualcosa sulla distribuzione di “Blood Donation”; al momento è uscito per un’etichetta indipendente, che è la tua etichetta, chiamata “repeat until death”; l’album sarà distribuito anche oltreoceano così come è stato per gli album di Wildbirds and Peacedrums? Ed inoltre, oltre al tuo, hai in progetto di distribuire i lavori di altri artisti con la tua nuova etichetta?

Abbiamo inaugurato l’etichetta a Novembre 2012, per il momento “Blood Donation” è l’unico album realizzato. C’è in programma un Ep, in autunno, per un progetto chiamato Huntress Bow, un nuovo duo free-punk che condivido con un altro cantante, e poi pubblicheremo nella primavera 2014 il nuovo album di Wildbirds & Peacedrums. L’idea per il momento è quella di produrre il nostro materiale e solo per il mercato Scandinavo, abbiamo molti progetti a cui pensare. Avere il controllo di tutti i passaggi è fondamentale, ci piace, ma francamente non vogliamo cominciare a trasformare la prassi dell’etichetta in qualcosa di troppo strutturato, pensandoci molto e rimanendo inchiodati in ufficio con tutti gli aspetti che ne conseguirebbero, abbiamo molti concerti e molti aspetti creativi da affrontare e a cui vogliamo dare priorità. Al di là di questo, può darsi che in futuro questa realtà possa produrre altri artisti, da queste parti ci sono molte cose che meriterebbero attenzione. Il nome dell’etichetta, “Repeat until death” è ispirato al nuovo documentario su George Harrison, questo è uno dei suoi mantra Hare Krishna citato alla fine, da ripetersi fino alla morte, la stessa cosa che si dovrebbe fare con la grande musica, ascoltarla fino a quando non si muore, e forse anche oltre la morte, chi può dirlo.

Hai suonato da poco a Londra in una serie di concerti ravvicinati, mi piacerebbe tu ci raccontassi il tuo live-set e se stai pensando di organizzare un tour europeo più esteso, includendo magari anche l’italia!

I concerti Londinesi sono andati benissimo, un’ottima partenza per far conoscere questi brani fuori dalla Scandinavia, Londra è una città che mi piace molto; la mentalità, la diversità e l’ampio raggio di influenze. In tre giorni diversi abbiamo fatto tre concerti e suonato in una chiesa, in un seminterrato adibito per concerti e in un rock club di questi tradizionali; tutti i concerti hanno funzionato alla grande e hanno dato ai miei brani una nuova dimensione. Il live-set è identico a quello dell’album, io alla chitarra e alla voce e il resto della band batteria, basso e tastiere. Ho l’opportunità di suonare con musicisti dal grande talento e condivido con loro la gioia di portare alla vita queste canzoni. Mi piace molto, tra l’altro, come rendono dal vivo e spero di poter fare un tour Europeo il prossimo autunno dopo la distribuzione Europea dell’album (N.D.R. l’album uscirà per il mercato europeo il prossimo ottobre sulla londinese Moshi Moshi Records). Mi piacerebbe venire in Italia, mi piace molto il vostro paese, la natura, il cibo, le persone.

Mariam The Believer – somewhere else

E il futuro di Mariam Wallentin cosa riserva; lavorerai ad un secondo capitolo come “Mariam The Believer” o produrrai qualcosa di nuovo come Wildbirds & Peacedrums?

Entrambe le cose naturalmente, abbiamo appena finito un nuovo album dei Wildbirds & Peacedrums, che è molto eccitante, anche perchè abbiamo ricostituito il progetto al fine di cercare veramente la nostra essenza, anche rispetto alle produzioni passate, facendo tutto da soli questa volta, per quanto riguarda tutti i processi creativi, dalla registrazione, alla produzione fino al missaggio. Per quanto riguarda “Mariam The Believer” vedremo quando cominciare con un nuovo capitolo, ho molte idee in questo momento e ho bisogno di capire con quale cominciare per prima (ride). Ma ho una vita davanti e credo sia un tempo sufficiente per poter fare tutto quello che desidero. Per me è una sfida continua, con me stessa, con il mondo che mi circonda, e cerco di dare il più possibile anche in relazione alle piccole esperienze e sentimenti che fanno parte della mia vita; in questo senso faccio tutto quello che posso.

Mariam The Believer – the string of everything

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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