mercoledì, Dicembre 11, 2024

Suzanne Vega conquista il pubblico toscano: la recensione del concerto all’Estate Fiesolana

Grande successo di Suzanne Vega all'Anfiteatro Romano di Fiesole per una delle date dell'Estate Fiesolana. Accompagnata dalla chitarra di Gerry Leonard, già con David Bowie, dà vita ad un'intensa riscrittura del suo repertorio. Oltre ad alcune delle sue canzoni più note, tra cui una splendida versione di Tom's Diner, colpisce la doppia dedica al popolo Ucraino: chi ha un sasso in tasca, può vincere. Il report del concerto

I motivi per cui Suzanne era vestita di nero e non con i colori dell’estate, lo ha spiegato attraverso uno dei brani della sua produzione più recente, parte del dittico prodotto da Gerry Leonard, con il quale Vega ha condiviso il palco dell’Anfiteatro di Fiesole. I never wear white è arrivata quasi alla fine del set, ma conteneva una chiave per leggerlo. Il nero è per i segreti, i fuorilegge e i danzatori; per i poeti dell’oscurità. Il cappello a cilindro indossato all’inizio e alla fine della selezione, ha lo stesso potenziale simbolico di quello che Marlene Dietrich sfoggia in Marocco di Josef von Sternberg, ma rispetto al cross-dressing della Diva, Suzanne Vega gioca con il contrasto tra il controllo del crooner e la leggerezza della costruzione poetica, l’assunzione del punto di vista e il suo dissolversi in decine di storie possibili, evanescenti come il filo di vento che agita il suo vestito durante la serata.

E in questa levità c’è tutto il mistero contenuto nei versi di Marlene on the wall con cui introduce il concerto. Dietrich osserva i frammenti di una storia amorosa dal poster di una camera e non ci è consentito conoscere altro in quello scambio impossibile di sguardi, se non taglio e intensità di parole che possono racchiudere violenza anche nell’apparente gentilezza del tocco.
Prossimità e solitudine condividono lo stesso spazio, mentre la sintesi sottrattiva dello spettro colorimetrico, li contiene tutti. Suzanne riesce ancora a cantarli con una voce di velluto, incredibilmente immutata e forse più presente e carnale rispetto alla seducente labilità a cui ci ha abituati con le registrazioni in studio.

L’approccio confidenziale, orientato ad un sincero abbraccio verso il pubblico viene costantemente mitigato da un’attitudine a raffreddare l’eccesso di empatia con l’intelligenza del motto di spirito.
Privilegerò in particolar modo canzoni del mio vecchio repertorio“. E mentre si presume che il solco percorso sia quello della celebrazione, considerati i quasi quarant’anni dalla pubblicazione del primo album, Suzanne fotografa con ironia una necessità vitale: “Per lo meno le conoscete tutte, vedo che il pubblico è più rilassato quando eseguo brani più vecchi“.

Anche quando vengono rivelate connessioni autobiografiche, Suzanne gioca con l’astrazione. Il senso di svuotamento lasciato dal dialogo a distanza tra Gipsy e In Liverpool, al di là e oltre le occorrenze intime che ha voluto raccontarci, rivela il lavoro del tempo sui sentimenti, dove le occasioni per ricordare un amore scompaiono insieme ai tratti di una città derealizzata.

Perdita, disillusione, disorientamento, abbandono sono i temi che Suzanne mette insieme per il concerto fiesolano. Sono i suoi, del resto. Il cuore di questa osservazione della realtà interiore pulsa fino a diventare politico, nella doppia dedica che indirizza al popolo ucraino e che con grande costanza continua a proporre nei suoi live, a partire dal concerto newyorchese di beneficenza allestito il 10 marzo 2022.

Rock in this pocket (Song for David) ancora una volta e con grande forza è il punto di vista che si erge contro l’abuso e la violenza. La pietra che nascondiamo in tasca può essere scagliata contro chi oscura il nostro orizzonte esistenziale e quella canzone scritta nel 1992 come inno alla rivendicazione del proprio spazio, diventa l’assunzione del divino nel gesto di resistenza individuale.
Last Train From Mariupol, che ha eseguito subito dopo è invece un’instant song, scritta durante il tour con Gerry Leonard per reagire allo stupro reiterato della Federazione Russa su territorio ucraino. Su quel treno, Dio ancora una volta non si manifesta e lascia quelle terre insieme ad un popolo costretto all’esilio.

Una concretezza sorprendente in questi anni di pacifismo metafisico, trasmessa attraverso la sintesi tagliente del linguaggio di poesia.

I temi cari a Vega tornano tutti, incluso quello sottile e mai pienamente rivelato della violenza come linea rossa che attraversa molte delle sue liriche, ma acquisisce una dimensione militante espressa con la forza e la semplicità diretta delle anti-war song, quelle vere.

E oltre a quelli espliciti, Vega anticiperà e tornerà sugli stessi temi con The Queen and the Soldier e When Heroes Goes Down, dove personale e politico si intrecciano per davvero.

In Italia c’è una tradizione diversa, più ipocritamente pacifista e non è scontato che i codici della canzone di resistenza disossate dagli orpelli ideologici, vengano compresi a tutte le latitudini.

Chi scrive l’ha trovato necessario, fondamentale e perfettamente inscritto nel percorso artistico di Vega. Ciò che infatti colpisce è la capacità di piegare il discorso politico entro il proprio ecosistema poetico, una cornice sempre aperta che mantiene un grado di possibilità interpretativa amplissima, anche quando i tratti sono quelli apparenti della folk-song tradizionale.

Da questa, sin dagli esordi, Suzanne Vega ha distillato altre possibilità, vicine al minimalismo di Philip Glass, ma anche di XTC e Talking Heads, se si pensa ad un album come Solitude Standing, imprinting di quell’architettura sonora che attraverso il fascino spiraliforme della ripetizione, rivela il proprio codice genetico.

La title track arriva più o meno a metà del live e rappresenta uno dei miracoli del connubio felicissimo insieme a Gerry Leonard. Il chitarrista che ha definito parte del suono di Bowie da Heathen in poi, rilanciando alcune intuizioni di Robert Fripp in una forma più fisica e intima, lavora sul palco con un’ampia pedaliera e soprattutto, gioca con le infinite possibilità della Loop Station. La utilizza con modalità essenziali, ma efficaci, talvolta supportando l’ordito degli intrecci chitarristici più ricchi nel songwriting di Vega, altre volte costruendo soundscapes aperti ed onirici.

Solitude Standing subisce per esempio una contrazione più intima rispetto all’assalto ritmico della versione su disco, la splendida revisione di Some Journey al contrario si espande, mentre When Heroes Goes Down, ennesimo brano tratto da 99.9F°, si fonde con Lipstick Vogue di Elvis Costello, in un omaggio annunciato che consente a Leonard di lavorare su quella forma urgente che caratterizzava il sound del 1978, ma anche alcuni aspetti in nuce nell’album più elettronico tra quelli prodotti da Mitchell Froom.

Suzanne imbraccia l’acustica, e la domina con un senso liberatorio del controllo. Un’attenzione registica a tutto l’insieme che dialoga con lo spazio tra compostezza e fisicità. Disattende quindi chi vorrebbe dipingerla come una narratrice distante, un’icona sottile come l’aria, un’autrice distaccata.

Di sangue, dolore e cuori alla deriva nello spazio di una città tanto affascinante quanto indifferente come quella che emerge dalle proteiformi descrizioni newyorchesi, si può parlare con forza anche senza le posture di un artista contrito, perennemente trafitto.

Vega al contrario trasmette una gioia non riconciliata, un sentimento d’equilibrio che nega gli eccessi dell’euforia, respirando pienamente la vita, anche quando ci ricorda il colore preferito, accennando uno straordinario movimento erotico in punta di sandali e quel black, black, black ripetuto con il soffio seduttivo di un respiro.

Prima ancora che a Bilinda Butcher e a tutto quello che ne è derivato, dovremmo riconoscere a Suzanne Vega il potere evocativo di una voce al limite con il sussurro, capace di sollecitare tempi e spazi dell’interiorità.

In Vega e soprattutto sul palco, la canzone è la storia e la storia è la canzone. Un’avvitamento chiarissimo con il nero del vestito di cui parlavamo, dove la dimensione allegorica viene costantemente ricondotta alla sua libertà laica, grazie alle possibilità dell’osservazione.

E cos’è del resto Tom’s Diner, se non la scaturigine di racconti possibili, generati da uno sguardo confinato nell’angolo e lasciati liberi appena l’occhio intercetta il successivo. Fino a quando non si comprende di esser già inclusi nella visione, osservati dall’esterno, come i frammenti di una vita, ormai parte di altre storie di cui non possiamo controllare lo sviluppo.

Suzanne ha riscritto radicalmente la canzone insieme al looping e allo stoppato di Leonard. Una sintesi emozionale che consente all’artista newyorchese di mormorare le liriche, sulla scia di un jazz’n’rap essenziale, discreto e appartato che rivela la circolarità della struttura.
L’Anfiteatro di Fiesole esplode e cerca di riempire con la partecipazione del battito quello spazio ritmico e tensivo miracolosamente creato dai due artisti.

Il mormorio di cui parlavamo riflette incredibilmente il “doo do doo” di Walk on the wildside, il primo dei tre bis fortemente richiesti che Vega concederà al suo pubblico.

Quello scorcio eminentemente newyorchese è un controcampo rispetto al punto di vista incorporato nel Diner di Tom. Le due canzoni si annodano in termini armonici e ondeggiano su vocalizzazioni simili. Commuove allora la dedica che è anche riappropriazione di un’eredità culturale, definizione della propria identità ed infine, resistenza radicale alla dittatura delle cover. Perché Suzanne riscrive continuamente il suo e l’altrui repertorio.

Ciò che lega il suo passato al presente irripetibile di un live, è il seme di un’esperienza che defamiliarizza ciò che possiamo e desideriamo riconoscere.

La radice dell’emozione, sta proprio in questa idea di movimento.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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