Garbo “sulle cose che cambiano”, foto-intervista in occasione dell’uscita del cofanetto “L’altra zona”

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In occasione dei trent’anni di carriera di Garbo, esce L’altra zona, un cofanetto nel quale la sua casa discografica, Discipline, ha riunito gli ultimi lavori del musicista.
Incontriamo il protagonista alla FNAC di Milano, qualche ora prima della presentazione ufficiale della nuova uscita per provare a ripercorrere con lui alcune tappe importanti della sua lunga attività artistica e fare un po’ il punto anche sull’attualità. Le foto dell’articolo sono di Francesca Pontiggia.

Come nasce l’idea di far uscire questo cofanetto che riunisce in buona sostanza la gran parte del lavoro pubblicato per Discipline?

Diciamo che nasce da un’idea che è venuta a me e agli altri soci di Discipline per documentare la scadenza di questi non pochi anni di carriera. Nelle note interne dico anche che è un luogo comune dire “sembrava ieri”, nonostante questo, realmente, trent’anni non sono pochi, ho attraversato un bel po’ della storia di questo paese non solo come essere umano, osservatore, ma anche come musicista.
Negli ultimi anni sono stati ristampati da Emi e Universal i miei lavori degli anni ’80 per cui documentare anche quest’ultima parte della mia storia musicale ci è sembrata una cosa intelligente da fare. Suonando in giro vedo che ci sono ragazzi che si sono da poco avvicinati alla mia musica per cui se hanno quelle ristampe e ora acquistano questo cofanetto sono in possesso, più meno, di tutta la mia discografia.

Non solo hai attraversato un po’ di storia di questo paese, ma anche un po’ di storia discografica. Ci racconti della tua esperienza personale nell’affrontare il mondo della discografia italiana dagli ’80 a oggi?

Quando iniziai, cioè nell’81, (firmai nell’80 con Emi e pubblicai nell’81), c’era un’economia completamente diversa, c’era di fatto benessere, era più facile affrontare il mercato e più difficile diventare un artista perchè non c’era la possibilità di autoprodursi, dovevi fare il disco, costava, dovevi andare in sala d’incisione e quindi dovevi avere un contratto discografico perchè queste spese potessero essere sostenute. Oggi c’è più affollamento, uno può, appunto, anche autoprodursi da casa per cui non c’è scrematura, non devi essere “scelto” per affrontare questo lavoro. Allora, inoltre, c’era molta più possibilità di fare concerti, ancora prima di pubblicare il primo disco io andai in tour con Franco Battiato, aprivo i suoi live nei live de La voce del padrone, il tour anticipò l’uscita del suo disco e del mio. Il rapporto con le persone, col pubblico, era diverso: quando uscì il primo lavoro già molti mi conoscevano.
Era un metodo all’americana: prima live poi disco, e io da Battiato imparai moltissimo, è stata un’esperienza formativa per me, anche se ora non siamo più direttamente in contatto, il nostro legame artistico e anche affettivo è importante.
Con la fine degli ’80 scemava quest’idea anche sociale di movimento, quel qualcosa, ad esempio la new wave, che era molto palpabile in tutta Europa. Crollava l’idea di appartenenza a qualcosa, si stava deteriorando come il mercato che dal punto di vista qualitativo ed economico era in fase di decadenza. Cresceva la solitudine, anche nel fare arte e nasceva l’idea di staccarsi dalle major, tant’è che Discipline, ad esempio, nacque per la prima volta nel 1991. Io cercavo maggiore autonomia e mi sono permesso di fare dischi, alcuni dei quali anche contenuti nel cofanetto, di ricerca, che un mercato delle major non avrebbe permesso.