lunedì, Aprile 29, 2024

Radiohead – The King Of Limbs (XL recordings, 2011)

Ancora una volta a sorpresa, quasi dal nulla, senza annunci particolari né campagne stampa di mesi, arriva il nuovo disco dei Radiohead, The King Of Limbs. Come per In Rainbows Thom e compagni scelgono ancora la via dell’auto-promozione via internet, vendendo direttamente dal loro sito il disco (per ora in formato mp3 o wav, tra qualche settimana in forma fisica); una strategia che non tutti possono permettersi, ma che nel loro caso darà quasi sicuramente ottimi frutti, vista l’ampiezza e la fedeltà della fan-base.
Veniamo però alla musica, che è ciò che conta realmente. The King Of Limbs si pone nel filone inaugurato con Kid A, con il suo rivoluzionario uso dell’elettronica e di ritmiche e tempi inusuali; filone che poi è stato portato verso soluzioni di volta in volta diverse, passando dalla cupa e claustrofobica sintesi di Amnesiac alle spinte rock di Hail To The Thief e alla bellezza semplice ma ricercata di In Rainbows. Il punto di forza dei Radiohead all’interno di tutti questi dischi è stata la loro capacità di far coesistere le spinte intellettuali e di ricerca musicale con la pura meraviglia delle canzoni, riuscendo a creare un ponte tra cuore e mente con pochi eguali nella storia della musica rock.
In questo nuovo album questo equilibrio tra anima e pensiero pare invece affievolirsi; sia chiaro, sempre di grande musica si tratta, con soluzioni geniali e straordinarie praticamente in ogni brano e un certo grado di tensione e pathos che riesce comunque ad emergere. Non si giunge però mai ai vertici di partecipazione sia mentale sia viscerale che caratterizzavano le canzoni degli episodi precedenti, se non in paio di occasioni, poste nella seconda metà del disco; è come se ci fosse stata una pacificazione eccessiva nell’animo di Thom Yorke e soci, diventati meno capaci di esprimere le inquietudini e i sentimenti, cosa che invece era sempre riuscita perfettamente alla band di Oxford. The King Of Limbs scorre dunque senza sussulti particolari fino alla sesta traccia, Codex, dove la musica torna a colpire con forza chi ascolta, puntando sulla semplicità, con solo il piano e la voce di Thom a reggere le fila del brano, con un finale che si libra leggero verso il cielo; poi arriva anche Give Up The Ghost, altra perla di pura bellezza, questa volta con anche una chitarra acustica (usata anche in funzione percussiva) a partecipare ai magici intrecci architettati dai cinque inglesi, a sommuovere l’anima per poi darle la pace.
Purtroppo il resto non è sugli stessi livelli; la prima metà del disco insiste soprattutto su sperimentazioni percussive e ritmiche, alcune di matrice kraftwerkiana, come ad esempio nel primo brano, Bloom, altre più vicine al lavoro solista di Yorke, con Feral che sembra un out-take di The Eraser, Little By Little che invece convince maggiormente, col suo crescendo emotivo accompagnato da percussioni insistenti, e Lotus Flower, il singolo, che privilegia il lato freddo dell’elettronica, con la sola voce del leader della band a trasmettere un po’ di calore umano (oltre che con la sua danza nel video, imperdibile), cosa che accade anche in Separator, posta in chiusura a compendiare pregi e difetti dell’intero album, tra perfetti break elettronici e suoni sognanti che conquistano però solo in parte.

Radiohead official

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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