venerdì, Ottobre 4, 2024

Calibro 35 – S.P.A.C.E. – la recensione

Marte è a Ovest. In questa immagine un po’ fantasiosa è possibile riassumere, seppur parzialmente, l’ultimo lavoro di Gabrielli, Martellotta, Cavina, Rondanini e Colliva. Sette anni di carriera e cinque dischi sono un’enormità e di per sé sufficienti ad instillare ai detrattori il dubbio che la band dovesse per forza arrivare ad un punto di svolta, sebbene unicamente sotto l’aspetto della produzione discografica, giacché nessuno ha mai avuto da ridire sull’indubbia qualità dei live proposti, finalmente, con buona regolarità anche fuori dei nostri confini. Ebbene, la risposta è arrivata puntuale.

Al sospetto di fare sempre lo stesso genere, i Calibro 35 hanno replicato cambiando… “generi”: dopo il poliziottesco e l’indagine sul cinema del brivido (da riscoprire da questa parte), sono arrivati la fantascienza ed il western, anticipati da un bellissimo video che ha accompagnato il primo singolo, Bandits On Mars, riguardo al quale il collettivo pratese John Snellinberg che lo ha firmato, ci ha raccontato alcuni segreti sulle fasi di realizzazione. Da qui l’immaginifica premessa, e non solo.

I Calibro 35 frantumano il precedente “genere” in mille altri con stupefacente linearità e fedeltà non solo a se stessi ma anche a quell’immaginario sonoro e visivo che proprio loro ormai hanno contribuito a creare; e soprattutto lo fanno piegando i modelli al loro stile e non il contrario: in pratica, una band “hypnagogica” a posteriori, per usare un termine à la page e assolutamente tra virgolette.

Come sovente accade nell’opera della band, la contaminazione non è mai esplicita o didascalica, ma si manifesta sotterraneamente e per richiami con esiti felicissimi. Talvolta infatti è sufficiente un pulsare di basso, quasi fosse un sonar, o un cluster di piano Rhodes o di un farfisa a disegnare lo Spazio profondo – come nei brani capo e coda del disco, 74 Days After Landing e Serenade For A Satellite, a ideale chiusura di un cerchio – negli intermezzi prettamente rumoristici quali Brain Trap, nelle scale dissonanti prettamente morriconiane di Universe Of 10 Dimensions o, ancora nel tema di synth, che un tempo avrebbe eseguito un sassofono, di Bandits of Mars, su quel funky oramai di immediata riconoscibilità che è il loro marchio di fabbrica.

Ad eccezione della scarica di Thrust Force le loro consuete tirate si fanno volutamente meno trafelate e più rarefatte all’interno della scaletta: si veda la genialità con cui Colliva mixa la batteria di Rondanini, leggerissima ma con molto tiro, altrove invece molto più presente. Qui l’organico di fiati è sovente rinforzato dagli interventi della tromba di Paolo Raineri e del trombone di Francesco Bucci, sia in Ungwana Bay Launch Complex (ed ecco il western di cui si diceva) che in S.P.A.C.E., in dialogo col flauto di Gabrielli mentre la chitarra di Martellotta (molte tastiere anche per lui a questo giro) torna protagonista in Violent Venus. Ma c’è spazio anche per vere e proprie sperimentazioni generate da improvvisazioni o da un lavoro collettivo del gruppo, che si lancia anche in un inedito territorio trip–hop a metà strada fra Jack Nietzsche e Portishead.

Tutta questa pletora di materiale e di suggestioni trova comunque un ordine e una sintesi tanto ben organizzati da risultare addirittura originale, con il punto apicale in An Asteroid Called Death, quasi un’invenzione a due (in senso musicale) in cui nel dialogo sinuoso per imitazione tra basso e tastiera spicca l’intervento corale degli OoopopoiooO, ovvero Vincenzo Vasi e Valeria Sturba, recentemente protagonisti di un’intervista qui su IE.

Più che musicisti o compositori si può affermare che i Calibro 35 siano diventati a loro modo “registi” di film mai girati, che non vediamo su uno schermo ma di cui in realtà anche inconsciamente sappiamo moltissimo. L’artigianato italiano “trans–genere” di cui sono fieri portabandiera trova una sublimazione pressoché definitiva in un disco eccezionale e al vertice della loro produzione.

Il video di Bandits on Mars raccontato dal collettivo John Snellinberg

Francesco D'Elia
Francesco D'Elia
Francesco D'Elia nasce a Firenze nel 1982. Cresce a pane e violino, si lancia negli studi compositivi e scopre che esiste anche altra musica. Difficile separarsene, tant'è che si mette a suonare pure lui.

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