sabato, Luglio 27, 2024

Sasso – Aquila, il video di Donato Canosa: intervista

Aquila è il nuovo singolo di SASSO e un videoclip diretto da Donato Canosa, artista lucano di stanza a Torino. Il found footage magmatico al servizio di un vero e proprio mockumentary. Il video e l'intervista

Anthony Sasso, torinese doc, comincia presto ad avvicinarsi alla musica. Chitarrista autodidatta smuove la scena della sua città con alcune formazioni, tra cui i Milena Lovesick. Sarà il progetto Anthony Laszlo, per cui scrive, a farlo conoscere in tutta Italia con le 50 date del primo tour insieme ad Andrea Laszlo De Smone. Il suo progetto solista cova lungo tutte queste prestigiose esperienze, con 150 tracce inedite scritte e mai pubblicate a partire dal 2009. SASSO prendi quindi forma in sala prove, con il produttore Alberto Moretti e la collaborazione di Zevi Bordovach alle tastiere (Andrea Laszlo De Simone e Francesco Bianconi dei Baustelle), Francesco Cornaglia alla batteria (I Monaci del Surf) e Marco Gervino alla chitarra (NonostanteClizia e Tsao!).

Aquila è il nuovo singolo, uscito a fine gennaio, che conta sulla collaborazione di Eleonora “Èlia” Ceria ai cori femminili delle parti strumentali ed Enrico Gabrielli al sax tenore.

Il brano è anche un videoclip realizzato da Donato Canosa, concepito con le strategie di un found footage magmatico, ma con la narrazione immaginale del mockumentary, dove lo scambio semantico tra finzione e cinema del reale è una questione di avvitamenti e punti di vista.

Sasso – Aquila, il video di Donato Canosa (N. B. Il video è soggetto alle restrizioni di YouTube sui limiti di età. Può quindi essere visionato solo loggandosi alla nota piattaforma con il proprio profilo e non è possibile incorporarlo. Per visionarlo è possibile cliccare sull’immagine)

Sasso su Facebook

Donato Canosa: il videoclip è uno spazio di libertà, l’intervista su AQUILA

Donato Canosa è un vidomaker lucano che vive e lavora a Torino. Consegue nel 2008 la laurea specialistica in Arti Visive e Discipline dello Spettacolo all’Accademia Albertina di Belle Arti e nel 2011 l’attestato di Tecnico superiore di produzione e post-produzione per il cinema e il video. Sin dal 2004 lavora nel contesto della produzione audiovisiva, realizzando videoclip, videoinstallazioni, advertising per committenze culturali, documentari, animazione. Tra gli artisti con cui ha collaborato in ambito videomusicale, ci sono Willie Peyote, Andrea Laszlo De Simone, Niagara, Tomat. La sua videografia si può guardare sul sito ufficiale donatocanosa.com.

In occasione della realizzazione di “Aquila” per SASSO, lo abbiamo intervistato.

Puoi raccontarci idea e concept del video? Come l’hai sviluppata insieme a SASSO?

La prima volta che ho visto Anthony Sasso e Riccardo Chiara per discutere del video di “Aquila” erano gli ultimi giorni precedenti il secondo lockdown, i ricordi vividi delle città deserte incontravano quel senso di lieve asfissia per le nuove e imminenti restrizioni. Abbiamo colto quel momento per chiuderci in casa e lavorare su noi stessi. “Aquila” è per Sasso un pezzo molto importante e intimo, volevamo che il lavoro ci appartenesse profondamente,  quindi gli ho chiesto cosa pensasse della possibilità che scrivessi un mio testo da associare alle immagini. Ha risposto subito con entusiasmo e ci siamo messi al lavoro. La durata del pezzo ci ha consentito di provare ad organizzare una narrazione simile ad un breve documentario, forma espressiva alla quale sono molto legato. Ne è nato un mockumentary, un finto documentario che rievoca le tappe dell’origine del Pianeta e la nascita e l’evoluzione dell’uomo.

Cosa ti interessava di questa forma narrativa?

Mi affascina l’idea che il macroscopico e il microscopico si assomiglino e che l’evoluzione dell’essere umano nella storia dell’universo sia simile a quella del singolo individuo, dall’infanzia all’età adulta e alla vecchiaia. È una compressione temporale che si ripete in un loop infinito e senza tempo.

E come avete reso questa compressione?

Ci siamo focalizzati sulle parole-chiave del messaggio da trasmettere, lasciando al fruitore un ampio margine di interpretazione personale. Il tono generale del lavoro è a volte ambivalente, ma svela comunque un forte desiderio di automiglioramento. Abbiamo inserito i nostri riferimenti cinematografici, musicali e artistici. Conosco Anthony e Riccardo da molto tempo, siamo ottimi amici ed è stato piuttosto semplice e naturale stabilire una sintonia di intenti.

Mockumentary. Finzione e cinema del reale. Molto cinema, documentario naturalistico. Tra questi elementi e un’idea combinatoria di found footage c’è qualcosa che hai filmato oppure si tratta esclusivamente di un lavoro di montaggio?

Ho deciso che non avrei filmato nulla. Eravamo chiusi in casa e ho preso alla lettera il “dogma”, come se stessi giocando con un amico immaginario di nome Lars Von Trier. Ho preferito manipolare lo sterminato catalogo visivo che già esiste: frammenti di film, documentari, trasmissioni televisive, materiali di repertorio.

Qundi non solo un lavoro di montaggio…

Certo, è stato un lavoro di montaggio ma anche di scrittura. Sono partito proprio da un testo che ho scritto come se fosse una seconda voce, una sorta di duetto con SASSO. Organizzando il materiale sotto forma di mockumentary abbiamo potuto inserire delle interviste impossibili di personaggi, alcuni noti e altri no, a cui sono associate le parole del mio testo. Ho immaginato un racconto intimo e personale che fosse allo stesso tempo un racconto collettivo, una condivisione di desideri e paure che attraversano orizzontalmente qualunque persona.

Per quanto il lavoro sia molto distante da quello con l’animazione, pensando al tuo “Loop Alpha”, che è disegno animato materico e pulsante, o al pittorico “Malerba”, la matericità, nell’enorme lavoro combinatorio che hai fatto, emerge anche in questo caso…

Il primo audiovisivo che ho realizzato come autore e regista è stato “Immune alla pioggia”, un lavoro acerbo che riguardo con tenerezza, raramente. Un personaggio disegnato viveva negli spazi di un modellino fotografato. Un lavoro combinatorio e materico. Ho frequentato studi artistici, il disegno mi accompagna da molti anni ma non sono un animatore. Nel 2016 ho realizzato “La cacciata del malvento”, il mio primo documentario, per raccontare una storia che mi appartiene profondamente, attraverso l’unico linguaggio audiovisivo che ho ritenuto idoneo per farlo. Un passaggio naturale. So che potrebbe sembrare un po’ strano questo mio modo di rapportarmi all’animazione e al documentario, ma seppure siano codici molto diversi, la loro incredibile forza espressiva mi dà la libertà di alternare la materia della carta, della grafite e del colore al materiale umano che la realtà ci offre. Sono per me i linguaggi più congeniali per restituire le cose come vorrei.

Hai realizzato anche installazioni video, lavorando sulla temporalità dell’immagine, ma anche dei “pezzi” di internet/game art (Tomat – Titan). In questo senso, il videoclip, che è uno spazio ibrido capace di accogliere molteplici convergenze e linguaggi, include elementi di visual art. Anche il video per SASSO, per l’ipertrofia e la sostanza mutante del montaggio, ha elementi visual molto forti, anche se provengono da un immaginario legato al cinema del secolo precedente…

Credo sia frutto di un mix di suggestioni accumulate negli anni. Il cinema, la storia dell’arte e l’ampio spettro delle arti visive sono una parte importante della mia formazione e dei miei interessi personali. Inizialmente per il video di Sasso avevamo alcune visioni nate dall’ascolto del pezzo: paesaggi, cieli, semplici gesti della quotidianità. Progressivamente ha preso forma il concept generale del lavoro e la ricerca delle immagini più rappresentative di ciò che si voleva raccontare. Alcune parole di Russell hanno ispirato l’inizio del viaggio, poi ci sono Tarkovskij, Pasolini, Picasso, Ferré e altri personaggi che hanno influenzato il nostro rapportarci agli elementi visivi e poetici. Ho cercato di creare un racconto che fosse fuori dal tempo, non è passato, né presente, né futuro ma comprende tutti questi piani temporali. Il trattamento delle immagini è andato in questa direzione, i frammenti dei film in bianco e nero della prima metà del ‘900 sono stati ricolorati tramite software che sfruttano le attuali tecnologie dell’intelligenza artificiale, mentre al found footage contemporaneo ho cercato di dare un aspetto vintage, come se fossero ormai fuori moda, convertendoli in bianco e nero e poi ricolorandoli allo stesso modo. Un tentativo di azzerare la loro radice temporale e restituire una medesima matrice pittorica. Per circa tre quarti della durata del video abbiamo questi quadri animati che si susseguono con un ritmo piuttosto equilibrato, poi nell’ultima parte, dopo il passaggio dal mondo magico-religioso a quello tecnologico e industriale, il ritmo accelera come i tempi della Storia e l’immagine assume le forme dei contributi tipici della visual art.

Cosa rappresenta per te lo spazio del videoclip contemporaneo, sia in termini negativi, che positivi?

Sicuramente è uno spazio di libertà, almeno per come lo vorrei per me. Il videoclip può davvero essere uno luogo ibrido di sperimentazione, è una forma breve di comunicazione audiovisiva molto fertile e immediata. Non credo sia il caso di aprire qui il lungo e triste discorso sull’attenzione che il nostro Paese rivolge alle sfere della cultura, però in Italia c’è un’attitudine che rende difficile riuscire a sostenersi economicamente lavorando solo ai videoclip un po’ più liberi dalle richieste imposte da un certo tipo di mercato mainstream. In ogni caso è comunque stimolante e divertente muoversi all’interno di spazi diversificati. Negli ultimi anni ho visto molti videoclip interessanti che riescono a diffondersi e ad essere valorizzati grazie al lavoro delle realtà specializzate come la vostra, oppure grazie ai demoni preziosi dei social network, sempre che non vengano sommersi dall’alta marea della sovraproduzione. È un dato di fatto che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito ad una crescita importante dei volumi di materiale audiovisivo e una proporzionale riduzione dei budget a disposizione per realizzarli. Diversi teorici e pionieri del cinema si auspicavano questa diffusione democratica del mezzo grazie alla quale anche io posso fare le cose che mi piacciono. Se questi fossero ancora vivi sarebbe interessante sapere cosa ne pensano.

Grazie per il tuo contributo Donato

È stato un piacere rispondere alle vostre domande e vi ringrazio moltissimo per lo spazio che mi avete dedicato!

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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