sabato, Aprile 20, 2024

Behind Enemy Lines – una conversazione con Mark Stewart

L'intervista a Mark Stewart, straordinaria mente dietro il progetto Pop Group. In esclusiva per indie-eye

Poeta della working class britannica, terzomondista per vocazione, funky come Super Fly e animato dalla vis polemica di un Nietzsche o di un Marcuse. Se state pensando ad un supereroe non siete molto lontani dalla verità, dato che le risorse di Mark Stewart sembrano davvero illimitate. Alla fine degli anni ’70 il nostro – ancora minorenne – miscelava punk, funk, jazz e dub in una delle band più influenti di tutti i tempi, i fantasmagorici Pop Group. Nel decennio successivo arrivava a teorizzare uno stile avanguardista, fusione di industrial e hip-hop, che avrebbe costituito la principale fonte di ispirazione per tutto il Bristol Sound. Pur muovendosi da sempre ai margini del music business Stewart ha raccolto le lodi di mostri sacri come Nick Cave, Daddy G e David Bowie, ed è percepito alla stregua di un guru dalle nuove generazioni post-punk, che ai suoi esperimenti sonori devono praticamente tutto. Nell’ultimo lustro è stato tributato il meritato rispetto alla carriera dell’uomo in ben due occasioni, da prima con la compilation Kiss the Future, edita da Soul Jazz nel 2005, quindi con il documentario On/Off di Tøni Schifer, presentato in anteprima all’East End Film Festival nell’Aprile del 2009. Non per questo il nostro è rimasto a crogiolarsi sugli allori: alla fine di un anno caratterizzato da rivolte e collasso del sistema finanziario sono arrivati prima l’inattesa reunion del Pop Group, quindi un album solista nuovo di pacca.

Graziato da una vena compositiva particolarmente felice, The Politics of Envy (Future Noise Music, 2012) è altresì valorizzato da una produzione curata fin nei minimi dettagli. Le innumerevoli diramazioni del suono black vengono affrontate da una prospettiva elettronica, in un mélange sonoro impregnato di umori apocalittici. Così Vanity Kills, Codex e Want chiudono i conti con quella dubstep che negli ultimi anni ha infiammato il Regno Unito, mentre Method to the Madness e Apocalypse Hotel rallentano ulteriormente il passo, andando a riesumare un sound debitore del trip hop più oscuro. Ma c’è anche spazio per il funk-rock barricadero di Autonomia, in cui Stewart mantiene vivo il sogno in compagnia di Bobby Gillespie (Primal Scream), e per il dub di Gang War, dove è il venerando Lee “Scratch” Perry a sputare diamanti sugli Dei della Guerra. In tale contesto incuriosiscono particolarmente gli affondi pop: la gemma Sterotype – con un eccellente cammeo di Keith Levene (ex P.I.L.) alla chitarra – la house caciarona di Gustave Says e il sensuale electroclash Baby Burgeois, in cui Stewart inveisce contro i corporate cocksuckers su una base ritmica che potrebbe facilmente sedurli. La splendida Letter to Hermione – Bowie d’annata riletto in chiave ambient-wagneriana – varrebbe da sola il prezzo dell’acquisto. Rinfrancati da tanta abbondanza abbiamo contattato Mark Stewart per interrogarlo circa la genesi del disco, rimanendo piacevolmente sorpresi nel trovare all’altro capo del telefono una persona di una disponibilità disarmante.

Indie Eye: “L’album si è sviluppato a partire da un progetto artistico che avevo intenzione di portare avanti assieme a Kenneth Anger… nonostante alla fine non se ne sia fatto più niente, lo spirito di Anger aleggia ancora in ogni traccia”. Questo è quanto hai dichiarato alla stampa circa l’origine di The Politics of Envy. Puoi dirci qualcosa di più al riguardo?
Mark Stewart: Dunque, di recente ho organizzato un evento per celebrare la carriera di Kenneth in Portogallo… è stato il mio modo di rendere omaggio alla generazione che mi ha preceduto… il lavoro di Kenneth negli anni ’40 e ’50 è stato realmente di rottura, ha dovuto combattere a lungo prima di riuscire ad essere ascoltato. Durante l’evento c’è stato un concerto e lui ha suonato il theremin, finendo poi per fare lo stesso sul mio disco. L’idea, in origine, era quella di collaborare ad una stesura cinematografica e musicale del suo libro Hollywood Babylon. Non è detto che il progetto non si realizzi prima o poi, ci stiamo ancora lavorando… avere tanti ospiti sul disco rappresenta anche un tentativo di ricreare quel clima di collaborazione che si respirava alla Rough Trade nei tardi anni ’70… incidevamo tutti per la stessa etichetta, collaboravamo, stampavamo split singles insieme e via dicendo… in effetti ho finito per coinvolgere nelle registrazioni un sacco di gente conosciuta in quel periodo…  IE: Sì, ho notato. A più riprese fanno capolino personaggi come Keith Levene (P.I.L.), Youth (Killing Joke), Tessa Pollit (Slits), Gina Birch (Raincoats), Richard Hell (Voidoids)… figure mitiche della scena post punk di fine anni ’70… sarei curioso di sapere che tipo di relazione hai mantenuto negli anni con queste persone, e cosa vi unisce oggi.

MS: Diciamo che anche se non c’è stata una corrispondenza su base giornaliera ho seguito le carriere di tutti loro, e in questi anni abbiamo mantenuto un ottimo rapporto. Keith (Levene) secondo me è il personaggio più rappresentativo di tutto il post-punk inglese… è uno dei membri fondatori dei Clash… e poi il suo lavoro alla chitarra nei Public Image Limited! Incredibile! E proprio quando era all’apice della fama e avrebbe potuto cogliere i frutti di quello che aveva seminato si è ritirato dalle scene! É così punk che non gliene è mai fregato un cazzo! Nel corso degli anni ha rifiutato diverse proposte, senza preoccuparsi troppo di chi gliele stesse facendo… parlo di gente del calibro dei Red Hot Chili Peppers… ha sempre preferito dedicarsi ai suoi assurdi progetti cyberpunk… vederlo lavorare in studio è incredibile, è proprio uno scienziato pazzo! Mi ricorda mio padre… Un paio di anni fa mi aveva proposto di mettere su un gruppo, ma all’epoca ero impegnato nella produzione di un album Hip Hop a New York… chi sa… Gina Birch invece è diventata regista e ha fatto alcuni video con Cat Power… sai, le Raincoats sono ancora molto popolari in America grazie alla pubblicità che ha fatto loro Kurt Cobain… Tutte queste persone sono una specie di famiglia per me… quando ti trovi a condividere certe esperienze a 17 anni si crea un legame difficile da sciogliere.

IE: Rispetto ad altri tuoi lavori The Politics of Envy sembra più sbilanciato verso il pop. La produzione è incredibilmente curata, e non mi stupirei se episodi radio-friendly come Baby Bourgeois o Stereotype facessero capolino su MTV…

MS: In effetti è proprio quello che sta succedendo! Ho sempre aspirato ad una produzione qualitativamente impeccabile per tutti i miei progetti. Per quanto riguarda il pop, invece… dunque, mi sembra che alcune delle cose che facevo anni fa – cose che magari all’epoca erano considerate estreme, di rottura – abbiano gradualmente fatto breccia nel gusto dell’ascoltatore medio… in qualche modo quei suoni sono diventati lo standard, tanto che adesso caratterizzano musica di largo consumo… mi viene in mente un fenomeno come la dubstep, o un gruppo come i Croockers, tanto per citare una realtà italiana… questa roba oggi è considerata commerciale, eppure è interessante… non mi sono mai preoccupato troppo di stabilire un confine netto fra pop e avanguardia, in genere seguo tutto quello che attira la mia attenzione… Conosci i Massive Attack? Mezzanine era un album moooolto strano, eppure è il disco che li ha fatti definitivamente sfondare sul mercato… e lo stesso discorso potrebbe valere per i Nine Inch Nails in America… se un artista produce buona musica e il music business decide di investire tempo e denaro per promuoverla, beh, non mi sembra un problema… se la casa discografica dei New York Dolls non avesse portato il gruppo a suonare in Europa probabilmente adesso lavorerei in una fabbrica… tempo fa ho avuto una discussione al riguardo con un amico di Berlino, che suona in una punk band molto politicizzata ed è assolutamente restio a qualunque coinvolgimento con il mercato… io mi opponevo dicendo che, se posso mantenere il controllo artistico sulla mia musica, disporre di un canale di diffusione più ampio va solo a mio vantaggio… mi fa sentire una sorta di agente segreto punk, infiltrato fra le linee nemiche…

IE: In un passaggio di ON/OFF dichiari: “può capitare che per tre anni me ne stia alla larga dal music business e frequenti solo i miei amici muratori, comportandomi da persona perfettamente normale, per poi tornare alla musica quando sono nuovamente interessato”. Come si svolge la tua vita nel quotidiano quando non stai registrando un album e non sei in tour?

MS: Beh, in realtà continuo ad occuparmi di musica, o di arte in generale… recentemente ho contribuito a fondare un network artistico ispirato al Dada, i New Banalists… ho lavorato con i Living Colour… ho aiutato alcuni amici a portare avanti i loro progetti, producendo album e così via… quello che intendevo dire è semplicemente che non sono interessato a stare tutto il tempo con altri musicisti, per andare ai party o per fare cose trendy insieme… sai, “la vanità uccide” (Vanity Kills è la traccia di apertura di The Politics of Envy)… preferisco di gran lunga stare in un pub ad ascoltare i miei amici raccontare le loro vite piuttosto che parlare sempre di me!

IE: La recente reunion del Pop Group è un avvenimento che abbiamo seguito con grande interesse. Come mai avete scelto proprio Bologna per il vostro debutto dal vivo dopo così tanti anni?

MS: Ho una forte legame con la città di Bologna, è un posto dove mi sento a casa tanto quanto a Bristol o ad Amburgo. Tutto il carrozzone Rough Trade fece tappa lì alla fine degli anni ’70… c’era questo ragazzo, Red Ronnie (sic!), che organizzava continuamente manifestazioni musicali… e poi l’esperienza di Radio Alice … ho ancora un sacco di amici lì, persone veramente in gamba.

IE: A proposito di reunion, ho letto da qualche parte che sei stato fortemente critico riguardo al ritorno sui palchi dei Gang of Four.

MS: No, non io, è stato Gareth (Sager, chitarrista del Pop Group) a fare queste dichiarazioni!

IE: Stavo appunto per chiederti come fosse possibile conciliare tale critica con la vostra reunion…

MS: Mi trovi perfettamente d’accordo!

IE: Ci sono date in programma con il Pop Group quest’anno?

MS: Soltanto una: suoneremo a Maggio al Primavera Sound, a Barcellona.

IE: E per quanto riguarda invece il tuo tour solista?

MS: Non posso ancora darti informazioni precise perché sto organizzando il tour in tempo reale, ma sicuramente promuoverò il disco in Europa, America e Giappone.

IE: Avremo la possibilità di vedere qualcuno degli ospiti che suonano sul disco anche dal vivo?

MS: non ci saranno collaborazioni stabili al tour, ma è molto probabile che i diretti interessati partecipino al concerto quando il tour toccherà la loro città. Quindi Richard Hell si unirà a me a New York, i Massive Attack a Bristol e così via… tutti tranne Kenneth Anger, ovviamente: anche se super cool, si tratta pur sempre di una persona anziana… sai, per come la vedo io il live e l’album sono due dimensioni completamente diverse… quando registro tendo ad essere un po’ più pop e radio friendly mentre dal vivo è tutto molto fisico, si scatena una sorta di delirio psichedelico! Adesso ho questa sezione ritmica che rende in maniera eccezionale le basi dell’album, sembra dubstep suonata con veri strumenti… ascoltarli mi fa uscire di testa!

IE:Considerata l’ondata di post-punk revival degli ultimi 10 anni possiamo supporre che tu abbia una folta schiera di epigoni. Chi vedi come tuo legittimo erede sulla scena attuale?

MS:Thein Sein (attuale presidente della Birmania)!

 

Mark Stewart in rete

 

Federico Fragasso
Federico Fragasso
Federico Fragasso è giornalista free-lance, non-musicista, ascoltatore, spettatore, stratega obliquo, esegeta del rumore bianco
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