giovedì, Maggio 2, 2024

Low Frequency Club – Mission (Foolica Records, 2012)

Quali siano le vicende, gli aneddoti o le situazioni che stanno dietro la realizzazione di un album, è una di quelle sane curiosità che spesso sorgono durante l’ascolto di un disco. È probabile che se questa domanda fosse posta ai tre artefici dell’album, la risposta che ne avremmo è che sono stati i mondi immaginari e immaginati a segnare le vie di Mission. A distanza di due anni da West Coast, i Low Frequency Club si ritrovano in studio per la registrazione di otto pezzi, risultato delle registrazioni autunnali fra 2011 e 2012, sempre in uscita per Foolica Records. Chi ha avuto modo di apprezzarli con West Coast, inizialmente si troverà spiazzato dalle sonorità di Mission e dalla mancanza dei suoni da party disco che lo connotavano. Dal mix fra Motown e elettronica francese, si passa all’elettricità degli anni ’90. I suoni si fanno laminati, le tracce sembrano essere la perfetta colonna sonora per dei blitz nei dintorni del Bronx,  pezzi metropolitani da paesaggio industriale. E se si pensasse che è tutto qui, un ricalco nostalgico di sonorità che, ormai, si possono classificare come vintage, sarebbe un vero abbaglio. Alla rigidità teutonica dei suoni campionati, si affiancano le pulsazioni calde, di sapore quasi afro, della batteria di Bonito, un medley che richiama quello raggiunto da Nneka. Più che una sequenza di pezzi, Mission appare come un concept; si inizia con Intro e il suo minutaggio parsimonioso e contenuto, poi, senza apparenti interruzioni, si passa all’attacco di Buried Animals. Altra differenza rispetto al passato, dal momento che la prima voce è quella di Giorgi (basso, samplers) e non di Yoky (voce, chitarra e tastiere). Un battito cardiaco in crescendo segna l’andamento di Burn In Hell (da cui è stato realizzato l’omonimo video) per esser poi aspirato da un turbine di suoni sintetici straboccanti. Più funkeggianti sono Overlover e la sincopata divagazione di John (forse un voluto richiamo alla reinterpretazione di Johnny Come Home del 2010). Infine, a bilanciare lo smilzo 0:55 di Intro,chiude Mission la title track di oltre sei minuti, con le sue suggestioni atmosferiche e sibilanti. Un disco che si offre all’ascolto leggero e senza corpo e si mostra un lavoro artistico a 360 gradi; astratto e sfuggente ma capace di trasmettere un’incredibile slancio d’energia.

Giulia Bertuzzi
Giulia Bertuzzi
Giulia vede la luce (al neon) tra le corsie dell'ospedale di Brescia. Studia in città nebbiose, cambia case, letti e comuni. Si laurea, diventa giornalista pubblicista. Da sempre macina chilometri per i concerti e guadagna spesso la prima fila.

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