sabato, Luglio 27, 2024

The Jim Jones Revue; la foto-intervista

The Jim Jones Revue è finalmente arrivata in Italia per un tour, una serie di date per promuovere il secondo album, l’ottimo Burning Your House Down (recensito su Indie-Eye da questa parte), che li ha portati a calcare palchi prestigiosi (e li porterà su molti altri ancora) e in molte delle classifiche di fine anno, come già accaduto con il loro esordio. Abbiamo incontrato Jim e Rupert Orton prima della loro data al Bloom di Mezzago, dove hanno dato ancora una volta dimostrazione di energia e forza, nel nome del rock’n’roll. [Le foto dell’articolo sono di Francesca Pontiggia ]

Benvenuti su Indie-Eye e in Italia. Pronti per lo show di stasera e per le altre date nel nostro paese?

Sì, siamo prontissimi. Finora abbiamo fatto solo una data in Italia, lo scorso anno a Siena, ma non era stato un grande show, per una serie di problemi e anche perché non c’era moltissimo pubblico. Stavolta invece siamo molto più carichi e tutto sta andando per il verso giusto; già ieri sera a Fidenza il concerto è stato ottimo ed il pubblico eccezionale; siamo convinti che sarà lo stesso stasera qui al Bloom e poi nelle altre date.

Partiamo dall’inizio della storia della band. Qual è stata la scintilla che ha dato vita alla Jim Jones Revue?

Per me quello non era un periodo molto fortunato; dopo aver girato il mondo con la mia band precedente, gli Hypnotics, era da un po’ che le cose non andavano particolarmente bene, con molti alti e bassi. Suonavo abbastanza in giro con i Black Moses, ma già da un po’ stavo pensando di finire quell’esperienza. Poi io e Rupert ci siamo incontrati in questo locale, il Not The Same Old Blues Crap, di cui lui curava la programmazione, che era una delle migliori di Londra tra l’altro, con una serie di concerti uno migliore dell’altro. Abbiamo parlato un po’ e abbiamo deciso di provare a tirare su un gruppo, senza particolari pretese, basandoci sulla considerazione che oggi praticamente nessuno suona rock’n’roll guardando agli anni ’50, a Little Richard, a Jerry Lee Lewis, insomma al piano-driven rock’n’roll. Nel giro di qualche giorno abbiamo trovato gli altri tre membri della band, tutti trovati tra le nostre conoscenze precedenti, quindi senza particolari difficoltà, abbiamo affittato una semplice sala prove a Londra e una volta lì abbiamo semplicemente iniziato a suonare alcuni standard rock’n’roll, se non sbaglio il primo in assoluto fu proprio Hey Hey Hey Hey, che poi è finita nel primo disco e che ancora oggi suoniamo ad ogni concerto. Non so cosa sia successo, ma ci accorgemmo subito che stavamo suonando esattamente come volevamo, da subito, ci guardavamo ed eravamo soddisfatti al 100% di quello che stavamo facendo, già durante la prima canzone. Era una cosa che non mi era mai capitata prima, e credo nemmeno agli altri del gruppo, di capirsi al volo e avere già un suono fin dal primo istante, una cosa davvero incredibile. A quel punto, dopo non più di un paio di prove, nel giro di una settimana, abbiamo fatto il primo concerto, proprio al club dove ci eravamo incontrati io e Rupert. Era un periodo che il club andava bene, quindi c’era molta gente anche se per noi era la prima data in assoluto, la gente era lì perché si fidava della qualità del club. Quindi il locale era pieno quando siamo saliti sul palco, non avevamo ancora pezzi nostri quindi suonammo una mezza dozzina di standard. Già dopo il primo brano la folla esplose, l’avevamo conquistata subito. Era fantastico perché tutti erano come rapiti dalla musica, si muovevano, ballavano, prestando davvero attenzione alla musica, non come capita a volte che la gente poga e fa casino senza sentire davvero la musica. Già dopo il concerto venne gente a parlarci e a offrirci altre date, addirittura ci offrirono di andare a Barcellona il mese successivo. Quindi abbiamo fatto una lunga serie di date in quasi tutti i club di Londra e da lì in poi in tutto il mondo. Per esempio a gennaio saremo al Big Day Out in Nuova Zelanda e Australia, suoneremo assieme a Stooges, Grinderman, Black Keys o anche i Primal Scream. Tutto questo è accaduto in poco più di due anni, non ce lo saremmo mai aspettati quando entrammo in quella sala prove… Quindi non si può parlare di una vera e propria scintilla, è stato qualcosa che è andato crescendo sempre più, fino ad ora.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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