venerdì, Aprile 26, 2024

Ariana Delawari, l’intervista esclusiva

Come hai incontrato David Lynch, e che tipo di influenza ha avuto il suo intervento sul suono complessivo del tuo lavoro?

Ho incontrato David dieci anni fa; fui invitata alla proiezione privata di un cortometraggio a casa sua. Non avevo realizzato veramente che tutto stesse accadendo proprio nella sua casa, e mentre mi giravo intorno camminando avevo questa strana sensazione di esserci già stata. Molto strano davvero, mi sentivo in un certo senso come se fossi a casa mia. Quando ho incontrato David si è rivelato come una persona gentilissima, un cuore davvero buono. Dieci anni più tardi, sua moglie Emily lo ha accompagnato al mio primo vero show al Silverlake Lounge. Ero nervosissima, sapevo che sarebbe venuto quella notte. Dopo lo show David disse a Emily che avrebbe voluto produrre il mio album; in realtà non ci credevo veramente. E’ stato solo quando abbiamo finito tutte le registrazioni che David è diventato parte del progetto, ovvero da quando abbiamo cominciato a lavorare insieme per “Suspend Me”. Ero d’accordo con tutte le sue osservazioni e I suoi consigli, che sono davvero poco consueti e incredibili per una collaborazione di tipo creativo. avevo la sensazione che sapesse esattamente che cosa volevo ottenere; penso che tu possa sentire davvero la sua influenza nel modo in cui l’album è stato mixato. Ha tirato fuori I suoni che erano già li in un certo senso e ha aggiunto una presenza di tipo quasi spettrale, minacciosa che penso sia del tutto appropriata per la storia dell’album.

Anche se il suono di Lion of Panjshir è un mix di influenze diverse, sembra che ci sia un elemento comune che potrei definire come una scultura di tempo e spazio; per esempio brani come “San Francisco”, o la bellissima “Be Gone Taliban” e ancora “The East” provengono da un mondo sonoro che possiamo riconoscere (tradizione, psichedelia etc.) ma si spingono oltre, verso territori astratti. Qual’era la tua idea iniziale quando hai scritto le canzoni? Hai pensato ad alcuni arrangiamenti con questo approccio in mente?

Sono influenzata da moltissimi e diversissimi generi musicali. Scrivo le canzoni con il mio cuore; ogni brano ha il suo mondo particolare. Il mio è un background legato alla recitazione, alla realizzazione di film e alla pesia, cosi quello che scrivo ha spesso la forma dell’immagine o quella del racconto. Non penso realmente in termini di stile, genere, arrangiamento. Scrivo quello che ho nell’animo e che voglio sentire. Il mio album parla di paesaggi in fondo. I paesaggi, concreti, della California e di Kabul e il paesaggio della mia vita. Tutte le storie contenute nell’album provengono dalla mia vita, sia dalla mia prospettiva che da quella delle persone che ho incontrato in Afghanistan. “San Francisco” è il brano che ha dato inizio a tutto il viaggio; ero in viaggio con un amico quando ho sentito questo bisogno di intraprendere un viaggio musicale. Ho scritto “The East” dalla prospettiva di un bimbo in un campo militare, reclutato per unirsi ai Telebani; gli stessi che vanno negli accampamenti e che avvicinano le madri vedove per convincere I loro figli. Le madri non posseggono niente, quindi questo si prospetta come l’unica alternativa. I Talebani e le persone che hanno creato I Talebani, approfittano in modo assoluto del popolo Afghano a vari livelli; I bambini subiscono un vero e proprio lavaggio del cervello. Ho scritto la canzone “Be Gone Taliban” da una mia personale prospettiva; ho fatto un sogno dove venivo braccata dai Talebani e dove volavo sopra l’Afghanistan; quindi, si, è un brano scritto dal mio punto di vista ma il mio nome, Ariana, è anche il nome antico dell’Afghanistan, quindi la prospettiva cambia, è anche quella della terra stessa. In questo senso è assolutamente vero, c’è una scultura mutante di tempo, spazio e punti di vista. Mi piace guardare le cose da angolature differenti; penso sia la via che conduce alla pace. E non solo nell’atto di vedere ma anche in quello che ci permette di sentire. Sentire realmente prospettive differenti nei nostri cuori. Invece di isolare un gruppo etnico ed etichettare le persone come “terroristi” abbiamo bisogno di scavare molto a fondo e di capire come possa formarsi questo modo di pensare; solo cosi è possibile comunicare tra di noi. Le persone si macchiano di un crimine casualmente; è qualcosa che nasce dall’incomprensione e dalla rabbia; è necessario capire perchè tutto ciò si è sviluppato nel nostro mondo; dopodichè è necessario lavorare insieme. E’ quello che sto cercando di fare con la ma musica; o almeno è la mia intenzione. Ho molti amici con bimbi bellissimi che vivono nei campi profughi; per loro desidero un futuro splendido, non certo pieno di paura e orrore. Questo ovviamente colpisce qualsiasi paese, non solamente l’Afghanistan; siamo un solo popolo, un solo universo.

Riguardo a “Supend Me”; la sola traccia dell’album interamente prodotta da David Lynch; ci sembra puramente lynchiana per quel mood astratto e fuori dal tempo che delinea, ma allo stesso tempo pensiamo sia totalmente tua, nel modo in cui utilizzi il tuo talento vocale per dipingere l’incontro tra due mondi musicali; Hai scritto il brano a Los Angeles o a Kabul?

Ho scritto “Suspend Me” molti anni fa; non avrebbe dovuto essere nell’album inizialmente. C’erano altre canzoni nella tracklist che avevamo registrato e che avrebbero dovuto essere incluse nell’album. “Suspend Me” è una di quelle canzoni che ho scritto a Los Angeles molto tempo fa. Quando David mi disse che voleva produrre una mia canzone, sapevo bene che quella canzone avrebbe dovuto essere “Suspend Me”. Quando l’ho scritta pensavo ad un elemento trascendente; non avevo ancora cominciato a meditare. Sono convinta che sia la canzone a trovarci e a guidarci. lavorare con David è stato molto bello, perchè l’ha portata verso un nuovo livello; ha lavorato con me sulla struttura della canzone e ha portato un nuovo elemento di sorpresa. Robert, Joachim e Paloma l’hanno suonata con me; in un certo senso questo è un ponte verso le altre canzoni dell’album.

Mi ha molto incuriosito un brano come “we lived on a whim”; di che cosa parla? La struttura del brano mi ricorda un po’ il songwriting di John Cale, soprattutto in quella capacità di disegnare brani pop semplici ed ossessivi; che cosa ne pensi?

Non ne ho idea; è una canzone che viene dalla mia vita e dalle mie esperienze; ho cominciato a comporla al pianoforte, cominciando dalla musica; poi ho aggiunto I testi. Ho composto le note che desideravo sentire e suonare e ho scritto le parole che venivano dal mio animo; non conosco cosi bene la musica di John Cale e non ho mai ascoltato a lungo I Velvet Underground se non di recente; io credo che la musica si muova molto a livello subcosciente e soggettivo, e allo stesso tempo sia connessa al nostro spirito collettivo; nasce dallo stesso luogo. (continua nella pagina successiva…)

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è un videomaker, un Giornalista iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana e un Critico Cinematografico iscritto a SNCCI. Si occupa da anni di formazione e content management. È un esperto di storia del videoclip e del mondo Podcast, che ha affrontato in varie forme e format. Scrive anche di musica e colonne sonore. Ha pubblicato volumi su cinema e new media.

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