venerdì, Marzo 29, 2024

Io?Drama, intervista @ Festa democratica di Osnago 4-09-2011

In questo caso avete scelto un brano più solare rispetto a Il testamento di un pagliaccio, Musabella. C’è solarità nei suoni, come detto, però nel testo si coglie comunque un senso di abbandono e solitudine. Questo tema emerge anche in altri brani, ad esempio in Quello che lasci. Come mai questo tema è così centrale nella vostra poetica?
Musabella è un cavallo di troia, è stata fatta apposta perché mi sono accorto mentre la stavo scrivendo che a livello testuale aveva quel qualcosa che poteva arrivare alle orecchie di tutti. In realtà il concetto è attuale, non dico politico, ma parla comunque della società, parla di resistenza, il tutto travestito da amore che finisce. In Quello che lasci o in altri pezzi il tema dell’abbandono e della solitudine c’è perché quando penso all’umanità, quando penso all’uomo, mi viene spesso di pensarlo solo. In realtà non so rispondere, perché quasi non mi accorgo che parlo di quello, forse c’è una necessità di farlo da parte mia, forse anche Milano non aiuta da questo punto di vista. Forse venendo da quel mondo e non sopporto un certo tipo di ingiustizia e di discriminazioni, però visto che il mondo ne è pieno la denuncia poi mi viene automatica.

Un altro pezzo con una forte visione politica è sicuramente Nel naufragio. Come è nata invece questa canzone?
Questa è una bella storia. Tramite una ragazza, un’educatrice che seguiva molto gli Io?Drama, sono entrato in contatto con il sito www.trasgressione.net, che è un gruppo che gira per le carceri di Bollate, San Vittore e Opera per cercare di parlare con i detenuti attraverso l’arte, attraverso il teatro e la poesia. Sul sito ho trovato una poesia, scritta da Walter, che diceva “adesso fredda solitudine/mi dovrai fare compagnia come non mai”, che poi è quello che dico nel ritornello. In quel momento vivevo una situazione che era fuori dalla galera ma mi richiamava a quello e mi è venuta questa sorta di connessione mentale tra me e questo detenuto, che tra l’altro non ho ancora conosciuto, mentre ho conosciuto tutti gli altri del gruppo. È stato un sfogo scrivere il testo, è la canzone con più parole in assoluto che abbiamo, ed è quella che ho scritto nel minor tempo. È stato davvero uno sfogo, è ciò che volevo dire, senza mediazioni, anche se utilizza delle metafore.

In rete si trova anche un video di questa canzone, girato davanti a uno stand di Letizia Moratti prima delle elezioni milanesi. Sono stati molti i musicisti milanesi che hanno fatto sentire la loro voce in quel periodo, molti di più che in passato. Secondo voi perché?
Perché probabilmente Pisapia si è avvalso di un impianto mediatico molto superiore rispetto a quelli che l’hanno preceduto. La verità è che, anche se noi abbiamo cercato in qualche modo di dare il nostro contributo, Pisapia alla fine ha vinto non con una schiacciante maggioranza, ma con una maggioranza mediatica eclatante. Evidentemente si è circondato di gente estremamente capace; ha fatto concerti, ha preso i gruppi che potevano tirare, con un certo stile, li ha portati in piazza, ha fatto una serie di feste e manifestazioni. Ha creato quel fermento, ha attizzato il fuoco a poco a poco. Credo sia dovuto alla sua personalità, che era ,sia fisicamente sia nel modo di parlare, molto diversa da quella del classico politico, e questo gli ha dato qualcosa in più, che ha incoraggiato la gente.

Nello stesso periodo avete anche partecipato alla manifestazione di Piazza Fontana contro la chiusura dei locali, come La Casa 139. Secondo voi cambierà qualcosa in questo campo o tutto resterà come prima?
Quasi certamente non cambierà niente. Un conto è continuare a sperare, quello non cambia; il fatto che si continui a sperare e a lottare perché le cose cambino è una realtà; ma è anche un fatto che Milano è un filo diretto con Roma e con il resto d’Italia. Non basta dunque Milano per avere una svolta, servirebbe una cosa molto più estesa. Milano non può diversificarsi molto dagli altri solo perché ora c’è Pisapia.

Parlando invece di stasera, suonate in acustico. Come mai vi proponete in questa veste? Qual è la dimensione che preferite per il live?
Suonare in acustico stasera ci è sembrata una cosa spontanea, dato che suoniamo con Il Pan Del Diavolo, che ha fatto dell’acustico la sua essenza. Dunque, per una questione di coerenza sonora della serata abbiamo scelto l’acustico, anche se potevamo scegliere l’elettrico. Non è un problema, dato che portiamo avanti da un paio d’anni anche il live acustico, con due chitarre, un violino e un timpano, una cosa molto tribale dunque. Non neghiamo però che la nostra natura è quando suoniamo in cinque, perché componiamo così.

Come abbiamo appena detto, dopo di voi suonerà Il Pan Del Diavolo. Vi sentite parte di una “nuova scena italiana”? O ci sono almeno gruppi con cui sentite una maggiore affinità?
Non crediamo, non ci sembra di far parte di una corrente culturale o cose del genere. È un momento storico in cui c’è molta solitudine ed individualismo, come dicevamo prima. Non c’è una corrente, come magari succedeva negli anni Sessanta o Settanta, dove c’era un forte fermento culturale che andava poi a sfociare anche nella musica. Ora invece, anche a causa delle grandi case discografiche, c’è stata omologazione e al tempo stesso isolamento e individualismo. Detto questo, sentiamo delle affinità con altri gruppi, per esempio i Grenouille, Arturo Fiesta Circo, The Unders e altri gruppi che abbiamo incontrato sulla strada, come i Ministri, Il Teatro Degli Orrori. Vediamo queste band e ci accorgiamo di poter remare tutti nella stessa direzione, ci piacerebbe dirti che facciamo parte di una stessa corrente, ma non è così. Crediamo che questa cosa sia più sui giornali che nella realtà dei fatti.

Progetti futuri? State lavorando già al terzo disco?
Abbondantemente. Abbiamo già un bel po’ di pezzi e abbiamo registrato in pre-produzione. Ora continuiamo con i live e aspettiamo di passare alla fase produttiva vera e propria.

Qual è la direzione di questi brani? Saranno il proseguimento di un percorso continuo o ci sarà qualche scarto?
C’è un percorso continuo; la sonorità su cui stiamo lavorando è la somma di ciò che si poteva sentire in Da consumarsi entro la fine, con un piacevole ricordo di ciò che era Nient’altro che madrigali, quindi quella vena più arrogante, più menefreghista nel senso buono: suoniamo più d’istinto. Le canzoni seguono il solco di Da consumarsi entro la fine, però stiamo ripescando quell’approccio spontaneo e un po’ sperimentale che avevamo nel disco precedente.

Fabio Pozzi
Fabio Pozzi
Fabio Pozzi, classe 1984, sopravvive alla Brianza velenosa rifugiandosi nella musica. Già che c'è inizia pure a scrivere di concerti e dischi, dapprima in solitaria nella blogosfera, poi approdando a Indie-Eye e su un paio di altri siti.

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