venerdì, Aprile 26, 2024

Il Cliente di Asghar Farhadi: la recensione

La coerenza estrema di una ricerca cinematografica che traghetta sul grande schermo i ritmi e le nervature etico-esistenzialiste di una drammaturgia al pari di quella di Ibsen o di Čechov rende possibile collocare la poetica di Asghar Farhadi all’interno di un discorso sull’umano che assegna alla figura femminile un ruolo centrale ed edificante, laddove la vulnerabilità maschile di fronte alle trasformazioni sociali è la frana nella cementazione civile. La recensione de Il Cliente

Teheran, Emad e Rana sono marito e moglie nella vita e sulla scena. Giovani, colti e innamorati, sono ideali fratelli degli ex compagni universitari in gita sul mar Caspio di About Elly e figli dei coniugi incapaci, nonostante l’amore, di comunicare in Una separazione (Guarda la video intervista ad Asghar Farhadi realizzata da Michele Faggi per Indie-eye, in occasione dell’uscita di “Una separazione”). Asghar Farhadi, dopo la parentesi aperta e chiusa con Il passato, al contempo il meno ‘iraniano’ e il meno riuscito dei suoi film, torna a ciò che sa fare meglio, tallonare con discrezione, ma senza indecisioni, il crollo di un’impalcatura in un lungometraggio, Il Cliente, che dal cedimento di un palazzo prende allegoricamente avvio.

Quando, infatti il rischio della caduta costringe Emad e Rana, entrambi attori teatrali, lui pure amatissimo insegnante, a lasciare la loro abitazione per un’altra, la segnalazione di un collega li spinge ad affittare un appartamento abitato fino a quel momento da una donna di dubbia reputazione. Una sera in cui è sola in casa, in attesa del ritorno del marito da teatro, Rana, convinta che a suonare sia stato lui, apre la porta e viene aggredita nella doccia da un cliente dell’ex inquilina ignaro del cambiamento. L’episodio è l’innesco del cortocircuito, la frizione che produce uno scollamento tra la pellicola del reale e la sua sostanza: Farhadi si serve di strumenti d’indagine non invasivi per grattare la facciata di una coppia, e ancor più, di una società apparentemente risolta, ma più profondamente lacerata da un’asimmetria – quella tra i sessi – mai ricomposta.

L’offesa recata alla moglie è l’evento che fa riemergere nel marito il latente di un codice d’onore che l’educazione ha messo all’angolo, senza riuscire, tuttavia, a strappare dalle radici del pensiero. Il passo in più che l’autore di questo film, candidato all’Oscar, fa è suggerire che al grado zero della questione non ci sia la biologia, ma la cultura: Emad è un uomo perbene ed è impossibile colpevolizzarlo davvero, ma il suo bisogno di punire l’aggressore della moglie, il desiderio di vendetta, non è grumo atavico di orgoglio virile, ma interiorizzazione a un livello profondo di un modello culturale maschiocentrico e sordo alle ragioni ‘femminili’ del perdono e dell’accudimento.

La coerenza estrema di una ricerca cinematografica che traghetta sul grande schermo i ritmi e le nervature etico-esistenzialiste di una drammaturgia al pari di quella di Ibsen o di Čechov rende possibile collocare la poetica di Farhadi all’interno di un discorso sull’umano che assegna alla figura femminile un ruolo centrale ed edificante, laddove la vulnerabilità maschile di fronte alle trasformazioni sociali è la frana nella cementazione civile.

In quest’ottica va letta l’ispezione di cui il cinema di questo straordinario regista quarantenne si fa carico, nella fiducia che intercettare i contrattempi relazionali sia il primo passo verso la rifondazione culturale. In tal senso, Il Cliente non è un film riuscito solo nelle meccaniche di una scrittura tesa e affilatissima, che salda intimismo e thrilling, ma anche nell’aspirazione che sottintende.

Menzione d’onore ai due attori protagonisti, senza i quali ciò non sarebbe possibile, già coppia, anche se mancata, in About Elly: lui è Shahab Hosseini premiato allo scorso festival di Cannes, lei Taraneh Alidoosti, protagonista di una recente e mediatica polemica anti-Trump. Entrambi sono esecutori magistrali di una crisi silenziosa che avanza senza pathos nelle coscienze di due interpreti che, recitando tutte le sere Arthur Miller, si specchiano nelle loro stesse maschere.

Carolina Iacucci
Carolina Iacucci
Classe 1988, è dottoranda in letterature comparate e, occasionalmente, insegnante di lettere antiche e moderne. Nei suoi studi accademici, si è occupata di Euripide e Bergman, poeti greci classici e contemporanei, Shakespeare e Karen Blixen. Appassionata di filosofia, cinema e giornalismo.

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